Il 22 aprile del 1946, su proposta del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, il principe Umberto di Savoia, allora luogotenente generale del Regno, emise un decreto che dichiarava il 25 aprile 1946 festa nazionale. Il provvedimento, pubblicato in Gazzetta con il visto del Guardasigilli Palmiro Togliatti, fu accolto con un ampio consenso e precedette formalmente la nascita stessa della Repubblica. La data, celebrata come festa della Liberazione, venne poi definitivamente stabilita con una legge nel maggio 1949.
Il 25 aprile fu scelto in riferimento al giorno in cui il Comitato di Liberazione dell’Alta Italia proclamò l’insurrezione generale.
Nei primi anni la Liberazione fu celebrata con uno spirito unitario, in sintonia con la politica di solidarietà nazionale promossa dai partiti che avevano partecipato alla Resistenza.
Il clima cambiò nel 1948 dopo l’uscita dal governo delle forze di sinistra e la loro sconfitta alle elezioni del 18 aprile.
Le celebrazioni finiranno così per distinguersi tra gli eventi organizzati dal governo e quelli promossi dalle opposizioni di sinistra, creando una divisione tra le forze che si richiamavano all’antifascismo.
Nel 1950, per la prima volta il Presidente della Repubblica partecipò alle manifestazioni. Fu Luigi Einaudi a consegnare alla città di Reggio Emilia la Medaglia d’Oro al Valor militare.
Nel 1955, in occasione del decimo anniversario, il Governo rivendicò la gestione delle celebrazioni dandone una connotazione solenne e patriottica. Anche il Presidente Einaudi fu coinvolto, assistendo il 24 aprile a Genova alla cerimonia con le rappresentanze dei comuni italiani insigniti della medaglia d’oro. Il giorno successivo a Milano, prese parte alla manifestazione ufficiale, preceduta dalla messa dell’arcivescovo Montini, futuro papa Paolo VI.
Il 22 aprile del 1955, Giovanni Gronchi, allora Presidente della Camera e capo dello Stato dall’11 maggio, tenne un discorso di alto profilo civile e politico sulla Liberazione. L’Aula, per acclamazione, approvò la pubblicazione del testo negli albi di tutti i comuni d’Italia, segnando così il ritorno delle celebrazioni condivise.
Negli anni Sessanta, con il consolidarsi del centrosinistra, si è assistito a una progressiva istituzionalizzazione della ricorrenza. Pietro Nenni, nel 1965, intervenne a Milano, in occasione del ventennale, affermando che la Resistenza era ormai parte integrante del patrimonio della nazione.
Negli anni successivi al 1968, si è osservata una distanza generazionale, con una parte del movimento studentesco che contestava le manifestazioni ufficiali, parlando del 25 aprile come di un’ occasione mancata e di resistenza tradita.
In un’Italia sconvolta dal sequestro di Aldo Moro, il 25 aprile del 1978, è vissuto come un momento di rinnovata solidarietà tra i partiti presenti nel Parlamento.
L’elezione di Sandro Pertini ha simboleggiato un segnale di ritrovata intesa tra le forze antifasciste, con il Presidente che ha costantemente sottolineato il legame tra i valori della Costituzione e l’esperienza della Resistenza.
Nel 1992, il 25 aprile coincise con le dimissioni del Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga.
All’inizio della cosiddetta Seconda Repubblica, le manifestazioni del 25 aprile furono influenzate dal clima politico. Si era diffusa una percezione di crisi della Repubblica nata dalla Resistenza, alimentando discussioni sul ruolo dell’ antifascismo nel nuovo panorama politico e sul significato delle celebrazioni della Resistenza.
Nel 1995, in occasione del cinquantesimo anniversario della Liberazione, il Presidente Scalfaro ha ricordato l’evento parlando a Milano, in Piazza Duomo, dove ha sottolineato l’importanza di considerare il 25 aprile come un evento che coinvolge l’intero popolo italiano.
Secondo il Capo dello Stato, la pacificazione può avvenire soltanto attraverso la condanna senza riserve della dittatura e riconoscendo il valore supremo della democrazia e della libertà.
Scalfaro ha ribadito più volte l’importanza di distinguere le responsabilità storiche da una visione di riconciliazione umana, in cui tutti sono commemorati in modo rispettoso.
Dal 2000 e negli anni successivi, i Presidenti della Repubblica hanno mirato a promuovere una lettura condivisa e fondativa della Festa della Liberazione, ribadendo il legame inscindibile tra la Resistenza, la scelta della Repubblica dopo il referendum del 2 giugno 1946 e l’entrata in vigore della Costituzione, fondamentale legge dell’Italia libera e democratica.
Questa pedagogia civile emerge chiaramente se consideriamo gli elementi condivisi della memoria sulla Liberazione.
Per i Presidenti l’identità del 25 aprile si basa sull’assunto che liberazione dal nazifascismo sia stata il risultato dell’impegno non solo degli Alleati e delle formazioni partigiane, ma anche di un’ampia parte della popolazione civile, nonché degli atti di coraggio di molti appartenenti alle Forze Armate che, dopo l’8 settembre 1943, scelsero di schierarsi contro i tedeschi ed i fascisti, rischiando la morte o l’internamento nei campi di concentramento.
Carlo Azeglio Ciampi, eletto nel 1999, si impegnò nella promozione di una celebrazione del 25 aprile improntata su una prospettiva patriottico-risorgimentale. Per il Presidente, la Resistenza rappresentava la rinascita della Patria l’8 settembre 1943 non segnò la morte della patria, bensì la sua rigenerazione e la rifondazione dello Stato.
La politica della memoria ha visto un ulteriore sviluppo con Giorgio Napolitano, che ricorda la Resistenza nel suo discorso di insediamento del 15 maggio 2006, sottolineando l’importanza di affrontare la storia della Repubblica con spirito di verità.
Secondo Napolitano, è importante ricostruire la storia della Resistenza in tutta la sua complessità e completezza, evitando di nascondere le ombre ma anche di compiere false equiparazioni.
Pur riconoscendo il rispetto e la pietà dovuti a tutti i caduti, ricorda l’importanza e il valore della scelta di coloro che hanno combattuto per la liberazione dalla dittatura.
Il Presidente Sergio Mattarella, sin dal suo insediamento nel 2015, ha richiamato il contributo dei suoi predecessori nel consolidare l’identità nazionale.
In un’intervista rilasciata ad Ezio Mauro alla vigilia delle celebrazioni del 2015, ha sostenuto che il 25 aprile rappresenta l’esito di un autentico moto popolare. Ha altresì affermato che il termine “resistenti” non deve limitarsi ai soli ai partigiani, ma deve includere anche i militari che si opposero all’arruolamento nelle brigate nere, nonché tutte le donne e gli uomini che rischiarono la vita per nascondere un ebreo, per aiutare un militare alleato o sostenere chi combatteva.
Anche Mattarella respinge l’idea dell’armistizio del 1943 come morte della patria, sostenendo invece che l’8 settembre segna un momento cruciale per la nascita della Resistenza. In quelle drammatiche circostanze gli italiani hanno compreso che il riscatto nazionale poteva avvenire solo attraverso una rivolta morale contro il nazifascismo.
Il Presidente ha espresso una posizione decisa sul presunto mito della Resistenza tradita, richiamando e condividendo le parole di Napolitano, che nel 2008 a Genova aveva criticato l’uso distorto e dannoso del concetto. Mattarella chiarisce che tale distorsione ha alimentato posizioni ideologiche pseudo-rivoluzionarie, contrarie all’ordine democratico-costituzionale emerso dai valori della Resistenza.
Il Capo delo Stato enfatizza il carattere intrinsicamente antifascista dell’identità nazionale, rinnovato dalla Resistenza e fissato nei principi dalla nostra Costituzione.
Il Presidente mette in luce il valore della rivolta morale che ha spinto i cittadini a resistere agli occupanti come strumento di riscatto e di riconquista del proprio destino, contrapponendosi a un regime che aveva lacerato il senso stesso di umanità radicato nella coscienza di ogni persona.
Per Mattarella una vera pacificazione si fonda sulla verità storica e sull’attribuzione chiara delle responsabilità. Richiama le parole di Italo Calvino: “tutti uguali davanti alla morte, non davanti alla storia”. L’umana pietà non consente di equiparare i due schieramenti: da un lato si combatteva per la libertà, dall’altro per la sopraffazione.
Attraverso i discorsi del 25 aprile, spesso si rivolge alle generazioni più giovani. Le sue parole sono ricche di riferimenti all’attualità, con una particolare attenzione sull’importanza della Costituzione come fondamento della nostra democrazia e sulla costruzione dell’Europa, un processo ancora in corso che ha garantito più di settant’anni di pace e prosperità.
Negli ultimi venticinque anni, i Presidenti della Repubblica hanno visitato luoghi drammaticamente simbolici della storia della Resistenza in Italia e all’estero, seguendo l’invito di Piero Calamandrei a compiere un pellegrinaggio “dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità”, poiché sono i luoghi che hanno visto nascere la Repubblica e la nostra Costituzione.
(*) Costantino del Riccio, Presidente del Comitato Consultivo per la comunicazione istituzionale della Fondazione Insigniti OMRI, per 30 anni al Quirinale (dal settennato del Presidente Scalfaro) e per 15 anni Vicario del Direttore dell’Ufficio stampa del Presidente della Repubblica.