La Fondazione Insigniti OMRI esprime la sua profonda solidarietà alla popolazione dell’Emilia-Romagna, in particolare all’area bolognese, colpita da una nuova ondata di maltempo e alluvioni. Il pensiero va ai familiari e agli amici del giovane tragicamente travolto dalla piena del torrente nella zona di Pianoro. La Fondazione ringrazia di cuore tutti i soccorritori impegnati a fornire supporto e assistenza in queste ore difficili.

Alluvioni: Cosa possiamo fare per ridurre le esondazioni che causano vittime e ingenti danni

Mi fa piacere condividere l’articolo pubblicato oggi su Il Tirreno, a firma dell’Ing. Paolo Ghezzi, cofondatore e Consigliere di Amministrazione della Fondazione Insigniti OMRI, nonché Responsabile Scientifico del Master GECA “Gestione e Controllo dell’Ambiente: management delle transizioni verso l’economia circolare e la decarbonizzazione” presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Ecco il testo dell’articolo per una più agevole lettura:

I recenti eventi alluvionali, che hanno devastato ampi territori, evidenziano ancora una volta la vulnerabilità idrogeologica del nostro Paese. Le cause di queste tragedie vengono sempre più frequentemente attribuite ai cambiamenti climatici in atto, che sono al centro di un costante approfondimento da parte della comunità scientifica.

Ma è chiaro a tutti che non sia sufficiente fare riferimento solo alla più frequente intensità di questi fenomeni.

Sarebbe necessaria un’analisi critica e obiettiva dell’operato di chi, negli ultimi decenni, ha gestito la pianificazione, le misure di salvaguardia e la prevenzione del territorio, indipendentemente dal colore politico. Occorrerebbe interrogarsi anche sull’entità degli investimenti nella prevenzione del rischio idrogeologico, che sono francamente insufficienti, nonché sui vincoli burocratici, sugli elevati costi di gestione e sulla frammentazione delle competenze amministrative, distribuite tra vari ministeri, enti regionali e locali.

La mia riflessione su questi temi deriva da tre decenni di esperienza tecnica e amministrativa, senza che, realmente, abbia assistito a un incisivo cambio di approccio in linea con la portata epocale del fenomeno, che ogni anno colpisce sempre più violentemente territori e popolazioni. In questi decenni, la prevenzione e la riduzione del rischio idrogeologico sono state al centro del dibattito politico e dell’agenda dei diversi governi, senza però che siano stati sufficientemente sviluppati nuovi assetti di governance e di policy in linea con la gravità del problema.

Credo che per affrontare efficacemente i dissesti idrogeologici siano necessari strumenti giuridici adeguati, capaci di superare le attuali criticità burocratiche e operative, offrendo soluzioni strutturali e non emergenziali. La gestione dell’emergenza ci pone di fronte a eventi catastrofici che possiamo solo cercare di limitare negli effetti e nei danni al suolo, con tempestività decisionale e di azione. Affidiamo la nostra speranza a un sistema di protezione civile e a comunità pronte a reagire e collaborare. È, tuttavia, la pianificazione territoriale e la gestione del territorio che consentirebbero di limitare i danni al suolo, anche di fronte agli indiscutibili eventi estremi sempre più frequenti e intensi.

Per questo, già in passato, abbiamo sottolineato la necessità di un “patto generazionale” che vada oltre le visioni di parte e che si proponga di realizzare un assetto territoriale nazionale in grado di mettere in sicurezza i tanti territori oggi a rischio. Un piano che faccia sintesi delle numerose esigenze frammentate e disperse, permettendo di realizzare una pianificazione seria, da finanziare anno dopo anno, senza dirottare finanziamenti su scelte politiche contingenti. Serve affiancare normative di settore che possano accelerare, o almeno non ostacolare, le procedure autorizzatorie, riducendo le burocrazie che rallentano i processi.

Altrettanto fondamentale è la pianificazione di un’adeguata formazione e la preparazione dei tecnici coinvolti, mirando a creare, nel prossimo decennio, una nuova classe dirigente e di operatori capaci di garantire un approccio multidisciplinare alla valutazione dei problemi complessi, con una conoscenza approfondita delle tecniche di recupero territoriale e di lotta al dissesto idrogeologico. Per questo approccio sistemico, servirebbero misure più drastiche e coraggiose, nonché meno frammentazione delle competenze e delle responsabilità decisionali. Un patto al 2050 che ci guidi verso una comunità più sicura, con una diffusa cultura della prevenzione. È quindi prioritario trovare forme incisive di accompagnamento immediato verso un percorso di transizione culturale, capace di oltrepassare le barriere tecniche, ideologiche, economiche e burocratiche, che sembrano impedire al Paese di affrontare in anticipo gli effetti di eventi climatici sempre più estremi.