LA NASCITA DELL’ORDINE
AL MERITO DELLA REPUBBLICA ITALIANA

Il dibattito parlamentare
1949-1951

INDICE

Comunicazione al Senato della Repubblica del disegno di legge «Istituzione dell’Ordine cavalleresco al Merito della Repubblica Italiana e disciplina del conferimento e dell’uso delle onorificenze»

Relazione della I Commissione permanente del Senato della Repubblica sul disegno di legge

Discussione del disegno di legge in aula

– Seduta del 24 ottobre 1950
– Seduta del 25 ottobre 1950
– Seduta del 10 novembre 1950
– Seduta del 17 novembre 1950

Trasmissione del disegno di legge approvato dal Senato della Repubblica alla Presidenza della Camera dei Deputati

Discussione del disegno di legge nella I Commissione della Camera dei Deputati in sede legislativa

– Seduta del 26 gennaio 1951
– Seduta del 9 febbraio 1951
– Seduta del 14 febbraio 1951

Il 14 maggio 1949, il Governo comunica alla Presidenza del Senato della Repubblica il disegno di legge «Istituzione dell’Ordine cavalleresco al Merito della Repubblica Italiana e disciplina del conferimento e dell’uso delle onorificenze». Il disegno di legge governativo è presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri De Gasperi, di concerto con il Ministro degli Affari Esteri Sforza, con il Ministro di Grazia e Giustizia Grassi e con il Ministro del Tesoro Pella.

Onorevoli Senatori – Prima del mutamento delle forme istituzionali, l’ordinamento cavalleresco italiano si ispirava all’articolo 78 dello Statuto Albertino che, nel mantenere gli ordini cavallereschi esistenti nello Stato sardo nel 1848, attribuiva al Re la potestà di «creare altri Ordini e di prescriverne gli statuti». Il sovrano esercitava tale potestà in via di prerogativa e, cioè, come titolare di un potere autonomo, al quale il Governo partecipava soltanto indirettamente e limitatamente. Tale partecipazione, anzi, sino alla fine del secolo scorso è quasi del tutto mancata, dato che, per l’istituzione di nuovi ordini e la disciplina di quelli esistenti, fu largamente seguita la forma del «motu proprio» con esclusione, cioè, della proposta governativa, anche nel caso di ordini non dinastici ma nazionali: basti ricordare, in proposito, l’istituzione dell’Ordine della Corona d’Italia (regio decreto 20 febbraio 1868, n. 4251).
Il mutamento delle forme istituzionali ha, in pratica, sospeso l’attività degli ordini cavallereschi, anche di quelli a carattere non dinastico, dato lo stretto loro collegamento con l’istituto monarchico. Prima dell’emanazione della nuova Costituzione, si è solo provveduto, per particolari esigenze, a istituire un nuovo ordine (Stella della Solidarietà Italiana – D.L. 27 gennaio 1947, n. 703, ora sostituito da D.L. 9 marzo 1948, n. 812), a modificare la denominazione di altri esistenti (Ordine Militare di Savoia, trasformato in Ordine Militare d’Italia – D.L. 2 gennaio 1947, n.4) e a sopprimere, per evidenti ragioni politiche, l’Ordine dell’Aquila Romana (D.L. 5 ottobre 1944, n. 370).
La Costituzione ora dispone che il Presidente della Repubblica (articolo 87, ultimo comma) «conferisce le onorificenze della Repubblica» Questa norma, accogliendo nel nuovo ordinamento dello Stato l’istituto delle onorificenze – ossia di quelle attestazioni ufficiali di benemerenza che autorizzano l’uso di speciali titoli e decorazioni – comporta anzitutto la necessità di istituire un nuovo ordine cavalleresco di carattere generale, destinato, cioè, a ricompensare cittadini e stranieri che abbiano comunque acquisito titoli di benemerenza verso la Nazione.
La norma costituzionale rende ovviamente possibile la previsione di altre particolari distinzioni onorifiche, per premiare benemerenze conseguite in determinati campi della vita sociale e politica del Paese, a somiglianza di quanto avveniva in passato. Tale scopo potrà essere conseguito con l’istituzione di ordini nuovi o con la trasformazione di ordini preesistenti, come già in parte avvenuto. La revisione degli ordini particolari è infatti contemplata da un’apposita disposizione dell’unito disegno di legge.
L’articolo 1 istituisce l’Ordine cavalleresco al Merito della Repubblica Italiana, destinato a dare una particolare attestazione a coloro che acquistino speciali benemerenze verso la Nazione. L’ampiezza della formula consente, come si è già detto, che l’Ordine possa essere conferito anche a stranieri.
L’articolo 2, primo comma, stabilisce che Capo dell’Ordine è il Presidente della Repubblica, cioè la stessa suprema autorità cui spetta il conferimento delle onorificenze.
Gli organi preposti al governo dell’Ordine sono il Consiglio, la Giunta e il Cancelliere. La composizione del Consiglio ha una duplice derivazione: i membri di esso sono per metà designati dal Parlamento e per metà scelti tra alti funzionari dello Stato e cittadini eminenti. Viene così assicurata al nuovo ordine repubblicano una situazione di prestigio non certo inferiore a quella degli ordini preesistenti.
L’Ordine viene distinto nelle cinque classi tradizionali, mantenendosi qualifiche ormai radicate nel costume sociale e corrispondenti a quelle accolte in legislazioni straniere più affini alla nostra (articolo 3). È prevista, altresì, per altissime benemerenze, la possibilità di conferire la decorazione di «Gran Cordone», intesa come una distinzione eccezionale all’infuori delle cinque classi ordinarie, da riservarsi a personalità di rango preminente, nazionali e straniere (articolo 3, secondo comma).
Il conferimento delle decorazioni, per quanto non più riconducibile al concetto di prerogativa, su cui fondavasi nell’ordinamento monarchico, costituisce pur sempre manifestazione di un potere assolutamente discrezionale che il Capo dello Stato esercita in quella sfera di attribuzioni che si concretano in particolari provvedimenti a titolo di grazia. Ciò pone il conferimento delle onorificenze su un piano diverso da quello degli ordinari atti amministrativi. Necessariamente, lo stesso principio vale per la revoca, sempre che questa non consegna automaticamente a condanna penale.
A tale particolare profilo risponde anche la forma dei provvedimenti di concessione e di revoca, disciplinata negli articoli 4 e 5, i quali, peraltro, nel prescrivere rispettivamente il parere della Giunta e del Consiglio dell’Ordine, assicurano adeguata tutela del decoro dell’Ordine stesso e dell’onore dei cittadini.
Per quanto poi riguarda speciali forme di conferimento, corrispondenti a quelle del motu proprio monarchico, il secondo comma dell’articolo 4 rinvia allo Statuto dell’Ordine.
Tale Statuto – da approvarsi con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dell’Ordine (articolo 6) – conterrà, inoltre, tutte le norme necessarie per l’organizzazione ed il funzionamento dell’Ordine, comprese le norme relative alla sua segreteria.
Le forme e le caratteristiche delle decorazioni e il numero massimo delle nomine saranno invece stabiliti con apposito decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri e il Consiglio dell’Ordine (articolo 3, terzo comma).
Lo stesso disegno di legge contiene alcune norme per la disciplina generale del conferimento e dell’uso delle onorificenze.
Il principio accolto è che il conferimento delle distinzioni cavalleresche è prerogativa dello Stato, salvo il tradizionale riconoscimento delle onorificenze straniere o di ordini riconosciuti dallo Stato: principio che è in armonia con l’articolo 87 della Costituzione, il quale, a differenza dello Statuto Albertino (articolo 78), non fa nemmeno accenno al mantenimento di ordini preesistenti, quale ne sia la natura.
D’altronde, l’istituzione delle onorificenze della Repubblica comporta la necessità di una adeguata protezione giuridica, a tutela del prestigio di tali distinzioni non meno che della pubblica buona fede, siccome nello stesso nostro ordinamento avviene per altre distinzioni, quali, ad esempio, le dignità ed i titoli accademici.
Questa esigenza è ancor più vivamente sentita di fronte al moltiplicarsi dei cosiddetti ordini liberi o indipendenti, aventi le più disparate origini e denominazioni, in parte ricavate da ordini già da lungo tempo estinti e talora ricollegati a non chiare tradizioni storico-araldiche.
Più di una volta il Governo ha diramato precisazioni ufficiali per avvertire che simili ordini non potevano considerarsi che come istituzioni di mero fatto, senza alcun riconoscimento da parte dello Stato, così come non erano riconosciute le distinzioni da essi conferite. Tuttavia, per motivi di facile intuizione, con il mutamento delle forme istituzionali e la conseguente interruzione del conferimento di onorificenze ufficiali, il fenomeno è andato assumendo proporzioni sempre più allarmanti.
L’abuso che attualmente vien fatto di queste pretese distinzioni onorifiche, per fini quasi sempre speculativi, non ha soltanto dannose ripercussioni d’ordine interno, ma nuoce anche gravemente al prestigio d’Italia, sminuendo la dignità e il valore delle nostre onorificenze presso le altre Nazioni.
Il disegno intende risolvere radicalmente questo problema, fornendo al giudice una norma che non esisteva nel precedente ordinamento e la cui mancanza ha dato luogo ad alcune perplessità della giurisprudenza, che hanno permesso il perpetuarsi di abusi a scapito delle onorificenze conferite o riconosciute dallo Stato e, più ancora, a danno della pubblica fede.
Da taluno si è obbiettata la necessità di una discriminazione tra i vari ordini così detti liberi o indipendenti, sotto il profilo dell’opera di assistenza e di utilità sociale che alcune di queste istituzioni perseguono. Potrà il Parlamento vagliare se tale obiezione meriti accoglimento, al fine di riservare eventualmente un trattamento diverso da alcuna delle istituzioni in parola, sulla base di criteri obbiettivi e determinati e nei limiti compatibili con quella doverosa tutela delle onorificenze della Repubblica, cui si è sopra accennato.
Ai criteri suindicati si informano le disposizioni degli articoli 7, 8 e 9 del disegno di legge.
L’articolo 7 stabilisce che i cittadini italiani non possono accettare da uno Stato estero onorificenze, decorazioni o distinzioni cavalleresche se non sono autorizzati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per gli Affari Esteri. È questo un principio tradizionale della nostra legislazione che, già fondato sull’articolo 80 dello Statuto Albertino, è stato poi recepito e sviluppato in altre leggi anche dopo il mutamento delle forme istituzionali (vedasi, da ultimo, il Capo IV del Titolo III, allegato A, decreto legislativo 30 maggio 1947, n. 604, sulle tasse per le concessioni governative).
Vengono, tuttavia, fatte salve le norme vigenti per l’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche della Santa Sede, del Sovrano Militare Ordine di Malta e dell’Ordine Equestre del S. Sepolcro. Per le prime, espressamente dispongono l’articolo 41 del Concordato con la Santa Sede, il regio decreto 10 luglio 1930, n. 974, e gli articoli 1 paragrafo I, lettera c) e 33 e seguenti del regio decreto 7 giugno 1943, n. 652; per le seconde, è prevista l’equiparazione alle onorificenze nazionali, in conformità di una lunga tradizione dal citato capo IV del Titolo III dell’Allegato A del decreto legislativo 30 maggio 1947, n. 604; le ultime, infine, sono disciplinate dalla lettera d) del paragrafo secondo dell’articolo 1 e dell’articolo 35 del citato regio decreto 7 giugno 1943, n. 652.
Posta tale disciplina per le onorificenze di Stati esteri, della Santa Sede e di ordini riconosciuti dallo Stato, il disegno pone in via assoluta il divieto ad enti, associazioni e privati di conferire onorificenze, decorazioni o distinzioni cavalleresche, comminando per i trasgressori sanzioni penali (articolo 8, primo comma).
Analogo divieto viene posto per l’uso delle onorificenze illecitamente conferite, ma la sanzione è minore, attesa la minore gravità del fatto (articolo 8, secondo comma).
Per entrambe le trasgressioni è prevista la pubblicazione della sentenza di condanna (articolo 8, terzo comma).
Ultimo problema che il disegno ha dovuto affrontare è quello della sorte degli ordini preesistenti al mutamento delle forme istituzionali e delle onorificenze già conferite. A ciò provvede l’articolo 9, il cui primo comma riguarda l’Ordine della SS. Annunziata. La soppressione di questo ordine e delle sue onorificenze può ritenersi già implicitamente avvenuta per il loro evidente ed esclusivo carattere dinastico, tant’è che le relative decorazioni furono ritirate dall’ex sovrano all’atto dell’abbandono del territorio nazionale. Si è ritenuta peraltro necessaria un’espressa istituzione, per esigenze di completezza e per evitare ogni possibile dubbio in proposito.
Il secondo comma dell’articolo 9 stabilisce la soppressione dell’Ordine della Corona d’Italia e la cessazione del conferimento delle onorificenze cavalleresche dell’Ordine Mauriziano. La norma risponde a logiche esigenze, perché la continuazione di tali ordini (a parte quanto stabilito per l’Ordine Mauriziano dalla disposizione XIV transitoria della Costituzione) non potrebbe essere sancita se non con le opportune trasformazioni, per adeguarli alla forma repubblicana dello Stato; ma a ciò non si è creduto di addivenire, non solo per intuitive ragioni di opportunità, ma anche perché il nuovo Ordine «Al Merito della Repubblica» verrà ad assolvere, in pratica, le stesse finalità degli ordini predetti, rendendone superfluo il mantenimento. Più esattamente, per l’Ordine Mauriziano si parla di cessazione del conferimento delle onorificenze, anziché di soppressione come per l’Ordine della Corona d’Italia, in quanto il primo, secondo la citata disposizione transitoria della Costituzione, continua a sussistere come persona giuridica pubblica, sebbene con più limitate finalità. La disposizione riguarda le «onorificenze cavalleresche» dell’Ordine Mauriziano: in tal modo si è fatto salvo il conferimento della «Medaglia Mauriziana al Merito Militare dei dieci lustri» che, per le disposizioni da cui è regolata, costituisce una decorazione militare e non una onorificenza cavalleresca. L’attuale sua disciplina sarà modificata in conformità del nuovo ordinamento repubblicano, al che potrà eventualmente provvedersi con le norme di attuazione della legge, previste dall’articolo 11.
La soluzione accolta per gli Ordini Mauriziano e della Corona d’Italia non riguarda le relative onorificenze già conferite. La cessazione già sancita dell’attività di questi ordini non può, infatti, avere efficacia anche per il passato, nel senso di invalidare le onorificenze legittimamente concesse secondo l’ordinamento del tempo. Ovvia conseguenza è la liceità dell’uso, anche per il futuro, delle onorificenze stesse, che viene perciò espressamente fatto salvo dal secondo comma dell’articolo 9. Né è da temere che la coesistenza dei titoli e delle decorazioni dei vecchi ordini con quelli di nuova istituzione possa determinare inconvenienti degni di nota. Il problema è essenzialmente di tradizione e di costume e lo stesso prestigio che circonderà le nuove onorificenze della Repubblica varrà a risolverlo, senza incresciose ripercussioni, anche nell’ambito dei rapporti sociali.
Per gli altri ordini ed onorificenze diversi da quelli suaccennati, provvede il terzo comma dell’articolo 9, autorizzando il Governo ad emanare, entro un anno dall’entrata in vigore della legge, le norme necessarie per trasformare o sopprimere le une e gli altri, in relazione ai princìpi del nuovo ordinamento costituzionale dello Stato. La delega legislativa appare giustificata dalla necessità di provvedere alle riforme occorrenti in questa materia con uniformità di indirizzo: i vari ordini ed onorificenze esistenti (Ordine civile di Savoia, Ordine al Merito del Lavoro, Ordine Coloniale della Stella d’Italia, decorazione della Stella al Merito del Lavoro ecc.), richiedono tutti una revisione sostanziale, anche se la loro situazione sia diversa da quella degli Ordini Mauriziano e della Corona d’Italia. Potrà il Parlamento, nel conferire la delega, dare al Governo opportuni suggerimenti circa l’abolizione o la trasformazione di determinati ordini ed onorificenze. Onorevoli senatori, il Governo confida che vorrete dare la vostra approvazione al presente disegno di legge il quale, come risulta dalle considerazioni sovraesposte, ha un duplice intendimento: premiare con segni esteriori di dignità e di decoro coloro che abbiano particolari benemerenze verso la Repubblica; riordinare, nel contempo, la disciplina delle onorificenze secondo le attuali esigenze giuridiche e sociali, nel quadro del nuovo ordinamento costituzionale dello Stato.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1

È istituito l’Ordine cavalleresco al Merito della Repubblica Italiana, destinato a dare una particolare attestazione a coloro che acquistino speciali benemerenze verso la Nazione.

Art. 2.

Capo dell’Ordine è il Presidente della Repubblica.
L’Ordine è retto da un Consiglio composto di un Cancelliere, che lo presiede, e di sedici membri.
Il Cancelliere è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri. I membri del Consiglio dell’Ordine sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e sono per metà designati dalle Camere e per metà scelti tra i funzionari dello Stato di grado non inferiore al IV, in servizio o a riposo, o tra cittadini eminenti.
Il Consiglio elegge nel proprio seno una Giunta di quattro membri. La Giunta è presieduta dal Cancelliere.
In caso di assenza o di impedimento del Cancelliere, il Consiglio e la Giunta sono presieduti dal membro più anziano di età.

Art. 3.

L’Ordine è composto di cinque classi: Cavalieri di Gran Croce, Grandi Ufficiali, Commendatori, Ufficiali e Cavalieri.
Per altissime benemerenze può essere eccezionalmente conferita la decorazione di Gran Cordone.
La forma e le caratteristiche delle rispettive decorazioni e il numero massimo delle nomine sono determinati con decreti del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti il Consiglio dei Ministri e Consiglio dell’Ordine.

Art. 4.

Le decorazioni sono conferite con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Giunta dell’Ordine.
Particolari forme di conferimento possono essere stabilite nello Statuto previsto dall’articolo 6.

Art. 5.

Salve le disposizioni della legge penale, incorre nella perdita della decorazione l’insignito che per qualsiasi motivo se ne renda indegno. La revoca è pronunciata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dell’Ordine.

Art. 6.

Lo Statuto dell’Ordine è approvato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dell’Ordine.

Art. 7.

I cittadini italiani non possono accettare da uno Stato estero onorificenze, decorazioni o distinzioni cavalleresche, se non sono autorizzati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per gli Affari Esteri.
I contravventori sono puniti con l’ammenda sino a lire centocinquantamila.
Nulla è innovato alle norme vigenti per l’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche della Santa Sede, del Sovrano Militare Ordine di Malta e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro.

Art. 8.

Salvo quanto disposto dall’articolo ,7 è vietato il conferimento di onorificenze, decorazioni o distinzioni cavalleresche da parte di enti, associazioni o privati. I trasgressori sono puniti con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da lire centomila a lire cinquecentomila.
Chiunque fa uso in qualsiasi forma di onorificenze, decorazioni e distinzioni di cui al precedente comma è punito con l’ammenda da lire cinquantamila a lire trecentomila.
La condanna per i reati previsti nei comma precedenti importa la pubblicazione della sentenza.

Art. 9.

L’Ordine della SS. Annunziata e le relative onorificenze sono soppresse.
Salvo l’uso delle onorificenze già conferite, è soppresso l’Ordine della Corona d’Italia e cessa il conferimento di onorificenze cavalleresche dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Il Governo è autorizzato ad emanare, entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge, le norme necessarie per trasformare o sopprimere gli altri ordini e onorificenze istituiti prima del 2 giugno 1946, in relazione ai principi del nuovo ordinamento costituzionale dello Stato.

Art. 10.

Le spese per l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana graveranno su apposito capitolo da istituire nello stato di previsione della spesa del Ministero del Tesoro, rubrica «Presidenza del Consiglio dei Ministri».

Art.11.

Il Governo è autorizzato ad emanare le norme occorrenti per l’attuazione della presente legge.

Il 23 dicembre 1949, il disegno di legge governativo è affidato alla I Commissione permanente del Senato della Repubblica (Affari della Presidenza del Consiglio e dell’Interno). La Commissione approva una relazione, predisposta dal relatore Fantoni, per il successivo esame in Aula. Nella relazione vengono proposte alcune modifiche al testo di legge presentata dal Governo.

Onorevoli Senatori – La vostra Commissione, nella sua maggioranza, ritiene che serva al consolidamento della Repubblica l’istituzione di un ordine cavalleresco che riconosca e, con segni tangibili, consacri i meriti di quanti, nelle pubbliche amministrazioni, nelle scienze, nelle arti, nelle lettere, nelle industrie e nel lavoro, nell’insegnamento, nelle opere di assistenza e di beneficenza, in Patria e fuori, cittadini e stranieri, hanno benemeritato verso di essa e verso la Nazione.
L’istituzione, lungi dal far risorgere forme di vanità sorpassate ed urtare contro i princìpi democratici sui quali la Repubblica si fonda e regge, si adegua una tradizione plurisecolare che, nel Paese, è vivissima e che non può essere trascurata, massime di fronte alla deplorevole realtà di un pullulare indecente di ordini non riconosciuti che, dopo l’avvento del nuovo regime istituzionale, fanno larga e illecita, per non dire truffaldina, distribuzione di titoli e di insegne.
È dovere dello Stato, quale supremo interprete del pensiero collettivo e della volontà sociale, di porre in rilievo le benemerenze dei cittadini, di additarle alla considerazione pubblica e di premiarle.
E la forma più tangibile del premio, quella che la stessa Repubblica Romana, nel suo periodo migliore – mentre alta risplendeva nel mondo la sua potenza – adottò con l’istituzione dell’Ordine dell’Anello; quella, diciamo, che è la forma più ambita perché più appariscente e dà, quindi, le maggiori soddisfazioni è, senza dubbio, il conferimento di titoli e di insegne cavalleresche. Questa è la realtà umana che non si può disconoscere. Inchinarvisi è opera saggia e lungimirante; discostarvisi, per amore di princìpi astratti pur rispettabilissimi, sarebbe un errore di valutazione sociale, morale e politica inspiegabile.
L’atto di riconoscimento di meriti, con il conferimento di una onorificenza cavalleresca, mentre, da un lato, rappresenta e costituisce una forma propulsiva delle attività alimentate dalla speranza di conseguirlo, dall’altro serve non solo a compensare, ma anche a legare, con un vincolo di solidarietà, l’insignito alle Istituzioni Repubblicane.
E l’umile funzionario che – dopo una carriera percorsa con decoro, onestà, disinteresse e zelo, non sempre adeguatamente retribuita – va in riposo, non terrà il broncio allo Stato ed al regime se la misera pensione, che non gli consentirà una vita comoda, sarà accompagnata da una croce e da un titolo che lo eleveranno nella stima e nella considerazione dei concittadini.
Questa è, ancora, virtù dell’onorificenza.
All’egualitarismo indiscriminato, in nome del quale la Rivoluzione Francese, col decreto 30 luglio 1791 dell’Assemblea, soppresse gli ordini cavallereschi, non si attenne la democrazia delle repubbliche che successero a Napoleone III, le quali, invece, accettarono e mantennero l’Ordine della Legion d’Onore, coi gradi e con le insegne – salvo modifiche negli attributi estetici e politici e nelle forme – stabiliti dal Primo Napoleone con l’ordinamento organizzativo dell’11 luglio 1804, modificato in parte da Napoleone III. E da tale egualitarismo si discostò persino l’Unione delle Repubbliche Sovietiche, che riconobbe l’opportunità politico-sociale di istituire le onorificenze, ad esempio, della Bandiera Rossa del Lavoro (7 settembre 1928), dell’Ordine di Lenin (5 maggio 1930), della Stella Rossa (5 maggio 1930), della Bandiera Rossa (11 gennaio 1932), dell’Eroe del Lavoro Socialista (27 dicembre 1938), oltre a quelle puramente militari degli Ordini di Suvarow, di Kutuzow, di Alessandro Nevsky ecc.
L’Europa – nella massima parte degli Stati che la compongono, compresi quelli che, per ragioni di principio, avrebbero potuto sottrarsi al formalismo della vanità ed al cosiddetto gingillismo cavalleresco – ha accettato e pratica il conferimento delle onorificenze, a premio di meriti distinti.
Ha l’Italia una sua ragione particolare che – prescindendo pure dall’inattualità ed assurdo egualitarismo della Rivoluzione Francese – possa essere validamente e realisticamente opposto all’istituzione dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana?
La vostra Commissione – che, sia detto di sfuggita, se pensa ad una Repubblica che non si affermi nel fasto e si nutra di pomposa e dispendiosa esteriorità, non concepisce neppure una Repubblica gretta, senza decoro estremo e senza quegli attributi e quel minimo di cerimoniale che è necessario per il suo prestigio – recisamente lo esclude.
Del resto, il principio della concessione di onorificenza cavalleresca a premio di benemerenze, sia pure specifiche, è già nella legislazione repubblicana, in quanto, col decreto legislativo 9 marzo 1948, n. 812, che sostituì quello del 7 gennaio 1947, n. 703, fu istituito l’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana, «quale particolare attestato» – dice l’articolo 1 del decreto – «a favore di tutti coloro, italiani all’estero o stranieri, che abbiano specialmente contribuito alla ricostruzione dell’Italia».
Comunque, nessun motivo di opposizione può essere atteso, di fronte al precetto della Costituzione la quale, demandando – con l’ultimo comma dell’articolo 87 – al Presidente della Repubblica il conferimento delle onorificenze, ne ha implicitamente imposta l’istituzione.
Per cui, il disegno di legge è un atto di doveroso omaggio alla carta Costituzionale.
Il disegno di legge che si propone alla vostra approvazione contempla, da un lato, l’istituzione di un ordine cavalleresco destinato a premiare, mediante una speciale forma di distinzione onorifica, l’aristocrazia del volere, del sapere, del lavoro e dell’attività a servizio della Nazione e della Repubblica; e, dall’altro, la disciplina del conferimento e l’uso delle onorificenze, con riguardo a quelle istituite e concesse dal regime monarchico.
Provvedono al primo scopo gli articoli 1, 2, 3, 4, 5 e 6; agli altri, gli articoli 7, 8 e 9.
Con formula ampia che non può lasciar adito a distinzioni di sesso o fra cittadini e stranieri, l’articolo 1 esplicitamente afferma la destinazione dell’Ordine: premiare, con particolare attestazione, quanti si siano resi e si rendano benemeriti verso la Nazione. E, per togliere ogni dubbio che la concessione possa riguardare solo benemerenze future e non anche passate, sembra opportuno il lieve ritocco al testo governativo che proponiamo.
Con l’articolo 2 si provvede, da un lato, a stabilire che il Capo dell’Ordine è lo stesso Capo dello Stato ossia il Presidente della Repubblica, e, dall’altro, a dare all’Ordine medesimo un organo, con persona che lo presiede, il quale lo governi e lo amministri.
Alla disposizione, però, del testo governativo, la vostra Commissione ha voluto apportare delle modifiche, anche di sostanza.
Essa ritiene, infatti, che i membri del Consiglio, nel numero complessivo di sedici, debbano essere scelti solo tra i membri delle Camere e fra cittadini eminenti, tra i quali possono esservi anche alti impiegati a riposo, e non pure tra gli alti funzionari dello Stato, in quanto essi non vanno distolti dalle loro normali attività e funzioni.
E per ciò che si riferisce ai membri delle Camere, la formula del testo ministeriale sembra debba essere completata e chiarita, nel senso che gli otto membri, designati dal Parlamento nel suo seno, debbano esserlo «quattro per ciascuna delle due Camere».
È chiaro che, pur con una così fatta composizione del Consiglio e, conseguentemente, della Giunta esecutiva – essendo il Cancelliere proposto, per la nomina, al Presidente della Repubblica dal Presidente del Consiglio, sentito il Consiglio dei Ministri – si assicura all’Ordine prestigio ed onore e, in pari tempo, si costituisce una garanzia assoluta di valutazione severa e serena dei meriti e della personalità morale dell’individuo proposto per l’onorificenza.
Il prestigio dell’Ordine, invero, deve essere e mantenersi altissimo, onde altissimo debba considerarsi l’onore di appartenervi.
Pare, poi, di potersi lasciare allo Statuto dell’Ordine di regolare il caso di assenza e di impedimento del Cancelliere, per cui l’ultimo comma del proposto articolo 2 può essere soppresso.
Per quanto alla maggioranza della Commissione l’aggettivo «cavalleresco», usato per qualificare l’Ordine, sia parso inattuale a causa della sua dizione letterale, onde l’ha voluto soppresso nella intitolazione e nell’articolo 1 del testo governativo, trattasi, pur sempre, di ordine cavalleresco od equestre, nel senso che la tradizione e l’araldica danno alla parola «cavalleresco» congiunta a ordine.
Epperò, seguendo – soprattutto – la tradizione latina, che ha avuto espressione particolare negli ordini italici delle cessate monarchie ed in quello nobilissimo della francese Legion d’Onore, l’articolo 3 contempla la composizione dell’ordine o la gerarchia in cinque classi: Cavalieri di Gran Croce, Grandi Ufficiali, Commendatori, Ufficiali e Cavalieri. In casi di altissime benemerenze, può essere – in via eccezionale – conferita la decorazione di Gran Cordone.
È evidente che le forme e le caratteristiche estetiche delle rispettive decorazioni, come il numero massimo delle nomine da potersi fare annualmente – e poiché questo termine non figura nel testo ministeriale è opportuno inserirvelo – costituiscono materia di regolamento e vanno, pertanto, lasciati alle determinazioni e precisazioni del potere esecutivo.
Per cui, sembra che il terzo comma dell’articolo debba limitarsi alla norma relativa al numero massimo complessivo delle nomine da farsi annualmente nelle cinque classi.
Qualcuno avrebbe desiderato che fosse abbandonata la classificazione che dicesi di sapore arcaico, in quanto richiama alla mente gli ordini equestri medioevali. Ma, a parte, la difficoltà di trovare un sostitutivo adeguato, che egualmente soddisfi certe legittime ambizioni e certe umane vanità che amano il titolo, è sembrato opportuno, come dicemmo, di attenersi alla tradizione ed al costume civile e sociale in atto, nonché all’esempio di ordini insigni stranieri, e ciò tanto più in quanto – come vedremo – è consentito l’uso delle onorificenze già concesse di ordini che vanno aboliti.
Fonte dispensatrice dell’onore è lo Stato sovrano. Ed allora appare logico che il conferimento delle onorificenze sia demandato alla facoltà assolutamente discrezionale del Presidente della Repubblica (articolo 4, primo comma), che potrà provvedere alla concessione anche di motu proprio (articolo 4 cpv.). Ed è pur logico che la revoca delle onorificenze stesse – circondata dalla garanzia del parere del Consiglio dell’Ordine, mentre la concessione soltanto quella della Giunta – sia fatta dal Presidente della Repubblica che l’onorificenza concesse (articolo 5).
E perché il grave provvedimento debba avere un’ulteriore garanzia e debba essere adottato soltanto in casi di indegnità morale, è parso opportuno integrare l’articolo 5 con l’obbligo della motivazione della proposta di revoca che è affidata al Presidente del Consiglio, e sopprimere in esso l’inciso «per qualsiasi motivo».
Lo Statuto, contemplato dall’articolo 6, dovrà contenere le norme necessarie all’organizzazione, funzionamento ed amministrazione dell’Ordine, nonché alle forme particolari di conferimento previste dal capoverso dell’articolo 4.
All’Ordine, come in genere a tutte le onorificenze che la Repubblica vorrà istituire, vanno assicurati il massimo prestigio ed il più grande decoro.
L’oculatezza e la severità nelle concessioni costituiranno, di per sé, una garanzia a tale scopo. Ma non basta.
Occorre, altresì, una tutela ed una protezione giuridica, massime di fronte al moltiplicarsi di pseudo ordini cavallereschi liberi ed indipendenti, l’attività speculativa dei quali – od almeno di molti di essi – ha superato i limiti della onestà e della decenza.
E questa tutela e protezione giuridica è assicurata con la proibizione ai cittadini di accettare onorificenze straniere senza l’autorizzazione del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro degli Esteri, e con il divieto assoluto ad enti, associazioni o privati di conferire onorificenze, decorazioni o distinzioni cavalleresche.
A) La proibizione ai cittadini di accettare onorificenze straniere, disposta dal primo comma dell’articolo 7, è conforme ad italica tradizione, che ebbe norma nell’articolo 80 dello Statuto Albertino e discende, soprattutto, dal principio della esclusività della prerogativa del Capo dello Stato di concedere onorificenze. Il divieto è accompagnato da congrua sanzione punitiva (articolo 7, comma secondo). Tuttavia, sono fatte salve le norme vigenti per l’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche della Santa Sede, giusta l’articolo 41 del Concordato, e degli Ordini del Santo Sepolcro e di Malta.
A questo proposito, la Commissione fu del parere che – per una maggiore chiarificazione concettuale – la dizione dell’ultimo comma dell’articolo 7 andasse migliorata, prevedendo separatamente le onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche della Santa Sede e del Santo Sepolcro che è, sostanzialmente, amministrato dalla Santa Sede medesima, sebbene serbi una fisionomia sua propria (cfr. lettera d, paragrafo secondo, dell’articolo 35 regio decreto 7 giugno 1943, n. 652), da quelle del Sovrano Militare Ordine di Malta, per le quali – essendo esso equiparato agli ordini nazionali – l’uso non è soggetto ad autorizzazione né al pagamento della tassa di concessione governativa (cfr. nota al Capo IV del Titolo III dell’Allegato A del decreto legislativo 30 maggio 1947, n. 604).
B) La vacanza nel conferimento di onorificenze ufficiali ha, indubbiamente, determinato o favorito – in questi ultimi anni – il sorgere ed il rifiorire di pseudo ordini cavallereschi che amano autoqualificarsi sovrani, militari, imperiali, angelici, ospedalieri, celesti od eccelsi. Alcuni di essi non sono mai esistiti e costituiscono, perciò, il prodotto di una creazione cervellotica; altri hanno, invece, assunto nomi ed insegne che, in molti casi, vorrebbero far credere, se non alla continuazione, almeno alla riesumazione – sotto l’egida della Santa Sede – di antichi ordini storici religiosi, militari o cavallereschi estinti da tempo o mai riconosciuti fra i nazionali ed i pontifici.
E tutti codesti pseudo ordini, enti ed associazioni – molti dei quali, tempo fa, avevano persino costituito una «Delegazione Magistrale Autonoma Ordini Cavallereschi», con sede a Firenze e Bologna – si sono fatti dispensatori di onorificenze contro elargizione od oblazione da parte degli insigniti – che, poi, amano far sfoggio del titolo così ottenuto – di somme alle volte non lievi, destinate, sia pure, in tutto od in parte, ad opere assistenziali e di beneficenza; o, semplicemente, allo scopo di ingraziarsi la benevolenza di alte influenti personalità e di sbandierarne, a fine reclamistico e speculativo, l’eventuale parola di cortese ringraziamento.
E purtroppo magistrature inferiori, in molti casi, trovarono modo – forse perché inesistente un reale contraddittorio – di indulgere a quanti furono denunciati per violazione all’articolo 498 del Codice penale, avendo riconosciuto a certi ordini di carattere o diritto patrimoniale la facoltà di conferire onorificenze.
Evidentemente, esse non si sono poste il quesito se codesta facoltà, nei regimi moderni, non spettasse esclusivamente a chi ha l’esercizio effettivo, di diritto e di fatto, della sovranità. Si pensa, invero, che il jus sanguinis non può di per sé solo, in subiecta materia, essere accampato, anche se dimostrata la continuità storica di certi casati, continuità e privilegi annessivi che dovrebbero essere, comunque, accertati dalla competente Consulta Araldica.
Ora, lo sconcio, che non depone per la serietà del Paese e deprezza all’estero le nostre onorificenze deve essere troncato in radice. Lo esige la tutela della dignità nazionale e della pubblica buona fede.
La Repubblica, istituendo un suo ordine, non può né deve ammettere in enti, associazioni o privati, poteri ad essa solo spettanti. E con ciò non si viola affatto il diritto di associazione, sancito dall’articolo 18 della Costituzione, perché la facoltà di conferire onorificenze compete, per conto dello Stato repubblicano, a colui che solo ha esercizio di potere assolutamente discrezionale in quella sfera di attribuzioni che, come dice la relazione ministeriale, si concreta in particolari provvedimenti a titolo di «grazia» e, cioè, al Presidente della Repubblica. È stata affacciata l’idea di una distinzione in materia, per ammettere alla facoltà del conferimento quegli ordini che hanno finalità assistenziali e di utilità sociale o che costituiscono patrimonio inalienabile di un casato.
Ma la Commissione, nella sua maggioranza, posto il principio che il conferimento delle onorificenze, delle decorazioni e distinzioni cavalleresche è funzione che attiene esclusivamente ai poteri presidenziali – a parte ogni altra considerazione – non ha creduto ammissibile, né opportuna discriminazione di sorta.
E perché sia ben chiaro che il divieto resta assoluto per tutti gli enti, associazioni e privati – salvo quanto stabilito per gli ordini della Santa Sede e del Santo Sepolcro, da una parte, e del Sovrano Militare Ordine di Malta, dall’altro – e non ci siano pretesti a distinzioni elusive del divieto, è sembrato alla Commissione di includere, nel comma primo dell’articolo 8, la frase esplicativa: «con qualunque forma o denominazione».
Dal divieto di conferire discende logico e necessario quello correlativo di usare titoli e distinzioni cavalleresche vietate.
E perché la norma proibitiva abbia efficacia, una sanzione penale è comminata sia per colui che, in nome dell’ente o dell’associazione di cui è capo o parte – od anche in nome proprio, accampando magari diritti ereditari o di sangue – tali onorificenze, decorazioni o distinzioni cavalleresche conferisce (articolo 8, primo comma), sia per colui che ne fa, in qualsiasi forma, uso.
È parso, però, alla Commissione che l’entità politica del reato di conferimento illecito, in quanto lede ed intacca diritti soggettivi dello Stato, non consente di valutarlo alla stregua di una contravvenzione. Epperò ha ritenuto di elevarlo a delitto, lasciando immutato, salvo la pena, la configurazione del reato di uso delle onorificenze e decorazioni come sopra ritenute illegittime o illecite.
E non v’è dubbio che questo secondo divieto si riferisce anche a conferimenti avvenuti prima dell’entrata in vigore della legge, in quanto relativi a ordini non riconosciuti ed in quanto l’uso di tali onorificenze, coi titoli relativi, nuocerebbe a quelli della Repubblica.
La norma appare sufficientemente chiara, massime se la si mette in raffronto con quella del secondo comma dell’articolo 9. Tuttavia, per togliere anche qui motivi a cavilli o a dubbi, si è creduto di includere nel testo ministeriale un apposito inciso chiarificatore.
E mentre le pene possono essere comminate in misura da rendere maggiormente operanti i due divieti, non sembra fuor di luogo richiamare, in rapporto all’ultima parte dell’articolo 8, il disposto dell’articolo 36, ultimo comma, del Codice penale.
Ma il disegno di legge non si limita all’istituzione del nuovo ordine cavalleresco ed alla protezione del decoro e del prestigio delle sue onorificenze, ma affronta un terzo problema, in parte connesso col secondo: la sorte, vale a dire, degli ordini preesistenti al mutamento della forma istituzionale e quella delle onorificenze già conferite negli ordini medesimi.
Soppresso, per evidenti ragioni politiche, col decreto legge 5 ottobre 1944, n. 370, l’Ordine dell’Aquila Romana – istituito dal fascismo «per rendere particolare onore alle Nazioni alleate ed amiche» – col regio decreto 14 marzo 1942, n. 172, al sorgere della Repubblica esistevano in Italia i seguenti ordini cavallereschi, di natura dinastica qualcuno, nazionale gli altri: SS. Annunziata; Ordine Militare di Savoia; Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro; Ordine della Corona d’Italia; Ordine Coloniale della Stella d’Italia e Ordine al Merito del Lavoro.
Di essi, quello Militare di Savoia fu, col decreto legislativo 2 gennaio 1947, n. 4, trasformato in Ordine Militare d’Italia, mentre quello dei SS. Maurizio e Lazzaro, con la disposizione XIV delle norme transitorie della Costituzione, fu ridotto a ente ospedaliero, demandandosi alla legge il suo funzionamento.
È evidente, però, che una sistemazione ed un riordinamento completo in materia, dal momento che la Repubblica deve avere le proprie distinzioni onorifiche a premio di benemerenze generiche e specifiche, s’imponeva in maniera assoluta. Ora, a ciò provvedono le disposizioni contenute nell’articolo 9 del disegno di legge in esame.
Con l’Ordine della SS. Annunziata (art. 9, comma primo) – che cessò, di fatto, il giorno in cui l’ultimo monarca abbandonò l’Italia, avendo prima avuto cura di ritirare tutti i collari ch’erano stati concessi – viene soppresso anche quello della Corona d’Italia (art. 9, comma secondo), mentre viene disposta solo (comma stesso) la cessazione del conferimento delle onorificenze cavalleresche dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, e ciò in quanto la Costituzione ‑ come rilevammo ‑ conservò l’ordine medesimo come ente ospedaliero.
È bene, però, a proposito di quest’ordine, chiarire che se esso cessa dal conferimento di onorificenze cavalleresche, gli resta salvo il conferimento della Medaglia Mauriziana al Merito Militare dei dieci lustri, perché, non trattasi di onorificenza cavalleresca, ma di decorazione militare istituita da Carlo Alberto con patenti 19 luglio 1839, per segnalare «quegli ufficiali in attività di servizio che, fregiati dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, già molti lustri contano di militare servizio», in quanto che «il merito militare altamente commendevole e di remunerazione degno, quando procacciato per valorose gesta, è pur tenuto in sommo pregio se lunghi anni vanta di provata fedeltà». Va da sé, però, che la disciplina relativa dovrà essere armonizzata con l’ordinamento costituzionale repubblicano.
Quid juris delle onorificenze già conferite negli Ordini della Corona d’Italia e dei Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro?
Siamo in un periodo di saldatura del regime monarchico soppresso col repubblicano istituito per volontà di popolo: una certa comprensione di situazioni personali ed una certa larghezza di idee e di vedute, ispirata a principi di pacificazione, consigliano e richiedono, quindi, misure di benevolenza e di conciliazione e non di intransigenza esasperante, che potrebbe deprimere il morale di molti insigniti, oggi cittadini fedeli della Repubblica.
Epperò, aboliti gli ordini che maggiormente si radicavano nella dinastia e nel regime monarchico e rese, quindi, impossibili nuove concessioni, si può consentire che i decorati della monarchia continuino ad usare delle onorificenze ed a fruire dei titoli annessivi (articolo 9, terzo comma).
Ci fu chi chiese che l’autorizzazione dell’uso si riferisse solo alle onorificenze concesse sino all’8 settembre 1943, osservando che i conferimenti successivi furono fatti – massime ultimamente – in previsione del referendum istituzionale. Ma la proposta non è sembrata né sembra accettabile per una duplice ragione: giuridica l’una, di opportunità l’altra.
Se da un lato, invero, potrebbe significare un’invasione ex post nel campo allora esclusivamente riservato all’esercizio di una prerogativa sovrana, dall’altro, il non riconoscimento, oltre che portare a confusioni ed a turbamenti di situazioni considerate pacifiche, potrebbe sollevare una questione più ampia e complessa: quella, vale a dire, della revisione di tutti i conferimenti di onorificenze effettuati imperante il fascismo. È vero che questo, allo scopo evidente di colpire, soprattutto, avversari dichiarati del regime, provocò i regi magistrali decreti 29 novembre 1928, n. 2918, e 28 gennaio 1929, n. 181, diretti apparentemente a disciplinare le revoche delle onorificenze negli Ordini Mauriziano e della Corona d’Italia in confronto dell’insignito che avesse mancato «all’onore o propugnato interessi antinazionali». Ma il riprendere codesta strada, più che un errore politico, sarebbe una fatica inutile e superflua, posto che trattasi di onorificenze in ordini non più riconosciuti e soppressi.
Ora, eliminati quelli che non si conciliano con la struttura istituzionale dello Stato, appare necessario procedere a trasformare o sopprimere i rimanenti ordini cavallereschi, tuttora esistenti sebbene inoperanti, istituiti prima del 2 giugno 1946.
Al riguardo, è pensiero della Commissione che vadano mantenuti, con le trasformazioni e gli adattamenti richiesti dai princìpi del nuovo ordinamento costituzionale dello Stato, quegli ordini che si ricollegano a tradizioni di prestigio e che erano altissimi nella considerazione pubblica, anche perché il fascismo non inflazionò il numero dei decorati, fra i quali – in quello ad esempio dell’Ordine Civile di Savoia – figurarono somme personalità della Patria. Oltre a questo ultimo ordine, alludiamo a quello al Merito del Lavoro.
Pensa, altresì, la vostra Commissione che debba essere direttiva del Governo, nel valersi della facoltà che gli accorda il terzo comma dell’articolo 9, che le onorificenze con diritto a decorazione, ma senza uso di titoli equestri, perché non trattasi di ordini cavallereschi – decorazione della Stella al Merito del Lavoro, distinzione onorifica al Merito Rurale, Stella al Merito Sportivo, Medaglia al Valore Atletico – vadano riordinate e conglobate nello spirito e nel fine di premiare specifiche attività nel campo sociale, del lavoro e dello sport.
La delega, come contemplata dall’articolo 9, risponde alla norma dell’articolo 76 della Costituzione, in quanto è limitata nel tempo, definita nell’oggetto e determinata nei princìpi e criteri direttivi, i quali risultano dalle norme che si sottopongono all’approvazione e dal pensiero dalla Commissione dianzi espresso.
Essa appare, d’altronde, utile e opportuna, onde poter conseguire, in breve tempo, il riordino ed il coordinamento di una materia che – sotto certi aspetti frammentaria – va ridotta ad unità organica.
Gli articoli 10 e 11 assolvono a precise disposizioni della Carta Costituzionale.
Onorevoli senatori, il disegno di legge, con le lievi modifiche apportategli, risponde, pienamente, alle esigenze ed agli scopi per i quali fu dal Governo presentato.
Epperò la vostra Commissione, nella sua maggioranza, vi propone di onorarlo del vostro suffragio, anche perché è convinta che i provvedimenti divisati rientrino, pur essi, nel quadro delle direttive per il consolidamento delle istituzioni repubblicane.

Fantoni, relatore.


DISEGNO DI LEGGE

Testo del governo

Istituzione dell’Ordine cavalleresco al Merito della Repubblica Italiana»

e disciplina del conferimento e dell’uso delle onorificenze.

Art. 1

È istituito l’Ordine cavalleresco al Merito della Repubblica Italiana», destinato a dare una particolare attestazione a coloro che acquistino speciali benemerenze verso la Nazione.

Art. 2

Capo dell’Ordine è il Presidente della Repubblica.
L’Ordine è retto da un Consiglio composto di un Cancelliere, che lo presiede, e di sedici membri.
Il Cancelliere è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri. I membri del Consiglio dell’Ordine sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e sono per metà designati dalle Camere e per metà scelti tra i funzionari dello Stato di grado non inferiore al IV, in servizio o a riposo, o tra cittadini eminenti.
Il Consiglio elegge nel proprio seno una Giunta di quattro membri. La Giunta è presieduta dal Cancelliere.
In caso di assenza o di impedimento del Cancelliere, il Consiglio e la Giunta sono presiedute dal membro più anziano di età.

Art. 3

L’Ordine è composto di cinque classi: Cavalieri di Gran Croce, Grandi Ufficiali, Commendatori, Ufficiali e Cavalieri.
Per altissime benemerenze può essere eccezionalmente conferita la decorazione di Gran Cordone.
La forma e le caratteristiche delle rispettive decorazioni e il numero massimo delle nomine sono determinati con decreti del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti il Consiglio dei Ministri ed il Consiglio dell’Ordine.

Art. 4

Le decorazioni sono conferite con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Giunta dell’Ordine.
Particolari forme di conferimento possono essere stabilite nello Statuto previsto dall’articolo 6.

Art. 5

Salve le disposizioni della legge penale, incorre nella perdita della decorazione l’insignito che per qualsiasi motivo se ne renda indegno. La revoca è pronunciata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dell’Ordine.

Art. 6

Lo Statuto dell’Ordine è approvato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dell’Ordine.

Art. 7

I cittadini italiani non possono accettare da uno Stato estero onorificenze, decorazioni o distinzioni cavalleresche, se non sono autorizzati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per gli Affari Esteri.
I contravventori sono puniti con l’ammenda sino a lire centocinquantamila.
Nulla è innovato alle norme vigenti per l’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche della Santa Sede, del Sovrano Militare Ordine di Malta e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro.

Art. 8

Salvo quanto disposto dall’articolo 7 è vietato il conferimento di onorificenze, decorazioni o distinzioni cavalleresche da parte di enti, associazioni o privati. I trasgressori sono puniti con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da lire centomila a lire cinquecentomila.
Chiunque fa uso in qualsiasi forma di onorificenze, decorazioni o distinzioni di cui al precedente comma è punito con l’ammenda da lire cinquantamila a lire trecentomila.
La condanna per i reati previsti nei comma precedenti importa la pubblicazione della sentenza.

Art. 9

L’Ordine della SS. Annunziata e le relative onorificenze sono soppresse.
Salvo l’uso delle onorificenze già conferite, è soppresso l’Ordine della Corona d’Italia e cessa il conferimento di onorificenze cavalleresche dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Il Governo è autorizzato ad emanare, entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge, le norme necessarie per trasformare o sopprimere gli altri ordini ed onorificenze, istituiti prima del 2 giugno 1946, in relazione ai principi del nuovo ordinamento costituzionale dello Stato.

Art. 10

Le spese per l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana» graveranno su apposito capitolo da istituire nello stato di previsione della spesa del Ministero del Tesoro, rubrica «Presidenza del Consiglio dei Ministri».

Art. 11

Il Governo è autorizzato ad emanare le norme occorrenti per l’attuazione della presente legge.

DISEGNO DI LEGGE

Testo della Commissione

Istituzione dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana»
e disciplina del conferimento e dell’uso delle onorificenze.

Art. 1

È istituito l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, destinato a dare una particolare attestazione a coloro che abbiano acquistato od acquistino speciali benemerenze verso la Nazione.

Art. 2

[1° comma] Identico
[2° comma] Identico

Il Cancelliere è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri. I membri del Consiglio dell’Ordine sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e sono per metà designati, quattro per ciascuna delle due Camere e nel loro seno, e per metà scelti tra cittadini eminenti.

[3° comma] Identico
[4° comma] Soppresso

Art. 3

[1° comma] Identico
[2° comma] Identico

Il numero massimo delle nomine che potranno farsi annualmente nelle cinque classi è determinato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri ed il Consiglio dell’Ordine.

Art. 4

Identico

Art. 5

Salve le disposizioni della legge penale, incorre nella perdita della decorazione l’insignito che se ne renda indegno. La revoca è pronunciata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta motivata del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dell’Ordine.

Art. 6

Identico

Art. 7

[1° comma] Identico

I contravventori sono puniti con l’ammenda sino a lire cinquecentomila.
L’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche della Santa Sede e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro continua ad essere regolato dalle disposizioni vigenti.
Nulla è parimenti innovato alle norme in vigore per l’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche del Sovrano Militare Ordine di Malta.

Art. 8.

Salvo quanto è disposto dall’articolo 7, è vietato il conferimento di onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche, con qualsiasi forma e denominazione, da parte di enti, associazioni o privati. I trasgressori sono puniti con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire duecentocinquantamila a lire cinquecentomila.
Chiunque fa uso, in qualsiasi forma e modalità, di onorificenze, decorazioni o distinzioni di cui al precedente comma, anche se conferite prima dell’entrata in vigore della presente legge, è punito con l’ammenda da lire cinquantamila a lire trecentocinquantamila.
La condanna per i reati previsti nei comma precedenti importa la pubblicazione della sentenza ai sensi dell’articolo 36, ultimo comma del Codice penale.

Art. 9.

L’Ordine della SS. Annunziata e le relative onorificenze sono soppressi.

[2° comma] Identico
[3° comma] Identico

Art. 10.

Identico

Art. 11.

Identico

Il 24 ottobre 1950, il Senato della Repubblica inizia la discussione del disegno di legge «Istituzione dell’Ordine cavalleresco al Merito della Repubblica Italiana e disciplina del conferimento e dell’uso delle onorificenze».

Senato della Repubblica, seduta del 24 ottobre 1950

PRESIDENTE (Antonio Alberti) – L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: «Istituzione dell’Ordine cavalleresco al Merito della Repubblica Italiana e disciplina del conferimento e dell’uso delle onorificenze».
Prego il senatore segretario di darne lettura.
CERMENATI, segretario, legge lo stampato n. 412.
PRESIDENTE – Dichiaro aperta la discussione generale su questo disegno di legge. Primo iscritto a parlare è il senatore Nitti. Ne ha facoltà.
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – Devo fare una dichiarazione preliminare. Voi crederete che io abbia voglia di ridere. L’argomento di cui voglio occuparmi si presta più al ridicolo che alla tragedia. Ho tempo io da perdere? E ne avete voi? In un momento in cui vi sono nella vita italiana tante cause di profonda preoccupazione, io dovrei parlare di cose che sono piuttosto allegre, cioè di titoli cavallereschi dei repubblicani, dovrei dirvi le cause della mia inquietudine. Le repubbliche serie, signori, non hanno titoli cavallereschi e quasi sempre non ne hanno avuti mai.
Nel mondo esistono solo due grandi repubbliche: gli Stati Uniti d’America e la Svizzera, piccola ma grandissima, che non hanno mai avuto titoli cavallereschi. Quindi, vi spiegherete la mia sorpresa per il fatto che il conte Sforza abbia avuto l’idea di regalare una serie di decorazioni alla neonata Repubblica Italiana. Egli deve avere qualche ragione per insistere, ma io non la vedo. Vi devo dire che non so nemmeno immaginarla, perché le cose che egli ha detto, parlandoci di titoli repubblicani, non mi hanno, non dirò persuaso, che sarebbe troppo, ma nemmeno interessato. Questi titoli sono cose ridicole per grandi Paesi. Gli Stati Uniti d’America, nella loro grandiosità economica, non hanno ora, né hanno mai avuto titoli cavallereschi. Né si può immaginare un senatore o un deputato che possa proporre di istituirne. Son certo che sarebbe considerato un dissennato colui che osasse proporre simili cose.
I titoli cavallereschi sono fenomeni di vecchia monarchia e rappresentano, molto spesso, delle tradizioni. La monarchia dei Savoia, per tutti coloro che più servilmente le erano vicine e che ora la trattano con una certa diffidenza, aveva istituzioni cavalleresche che hanno avuto grande importanza. I Savoia avevano anche tradizioni militari rispettabili. Non mi negherete che Eugenio di Savoia fu un grande soldato. Non so se la nostra grande Repubblica attuale possa considerarsi di origini militari. Ogni cosa ha il suo tempo. Le istituzioni monarchiche hanno reso, al loro tempo, servizi eminenti. La monarchia italiana fu voluta dai Savoia come monarchia normale. Aveva titoli cavallereschi di cui alcuni avevano una vera storia. Ma ora, dopo aver aboliti quelli che vi erano, pensare di istituire titoli cavallereschi nuovi mi sembra ridicolo. Non dico che sia opportuno od inopportuno: vi dico che, nel momento attuale, in cui l’Italia ha così profonde preoccupazioni (non crediate che le nostre preoccupazioni siano finite o presso a finire), con l’istituzione dei titoli cavallereschi non salveremo l’Italia.
Le istituzioni cavalleresche moderne, quando non sono una continuazione del passato, si collegano ad una sola grande istituzione francese, la quale ha avuto un gran passato, ma che è ora anch’essa largamente discreditata: la Legione d’Onore. È come un destino fatale che le istituzioni si corrompano subito e ciò che è più grave è che la ruggine della corruzione finanziaria le attacca duramente.
Prima di Napoleone, non esistevano decorazioni cavalleresche nostre: noi abbiamo copiato letteralmente, servilmente, vorrei dire infelicemente, la Legione d’Onore, la quale fu grande perché fu istituzione di corruzione e di violenza di quel terribile antidemocratico che fu Napoleone I. Egli non ebbe mai scrupoli ed ebbe la corruzione politica nelle ossa. Pigliava un uomo della strada, un sergente, e ne faceva un cardinale, come il suo parente Flesh. Non aveva scrupoli con la sua famiglia, con le persone di casa sua. Napoleone ha reso forse anch’egli servigi all’umanità, anche rovinando l’Europa, ma portando un senso di violenza e una volontà di dominio che ha agito su tutta la vita italiana. Ora, Napoleone, dopo le grandi sue vittorie, pensò di inventare una decorazione cavalleresca, la Legione d’Onore. Da noi si vogliono ora decorazioni cavalleresche. Basate su che? Su grandi vittorie, certo no. Sarebbe troppa pretesa dire che l’Italia ha avuto grandi vittorie. Molti italiani hanno fatto il loro dovere, ma noi non abbiamo avuto mai grandi vittorie. Napoleone scendeva in Italia e la conquistava in qualche settimana. Il genio militare italiano io non lo vedo, nemmeno in un uomo ragionevole come l’onorevole Pacciardi, che non si vuol certo caricare anche il peso di Napoleone. Noi dobbiamo agire saviamente, prudentemente, seriamente, ma, soprattutto, non dobbiamo fa ridere di noi. La mia pena è proprio nel pensare che ora si rida di noi. Siamo l’unico Paese che abbia fatto, negli ultimi anni, tutte le più grandi guerre sempre senza vittoria. Abbiamo fatto il nostro dovere e possiamo gloriarci di vittorie che abbiamo voluto nella nuova Repubblica senza fare istituzioni repubblicane basate sull’idea della vittoria. Questo sarebbe errore e menzogna.
Ora noi ci troviamo di fronte ad una proposta del Governo di creare decorazioni cavalleresche del tutto nuove. Credo che il mio buon amico Einaudi abbia un poco sofferto, come me, a questa idea, che non è certo sua. Vi sono molte cose che egli non dice, ma che certo deve temere o almeno pensare. L’onorevole Einaudi ci presenta qui una proposta che non è sua, è del suo Governo, che non è felice e viene da Paesi non molto lontani, ma solamente da Monaco. Monaco, che per chi non sappia, non è una monarchia, non è una repubblica, non è un principato: è un luogo dove si gioca, che ha avuto ed ha una sua importanza. Ha avuto in passato anche un principe intelligente, che ha fatto studi seri dal punto di vista delle scienze naturali. Sapete che cos’è Monaco? Molti di voi siete stati a Montecarlo e conoscete Monaco. Che cosa è Monaco?
Un pezzettino di terra, talmente piccolo che quasi non esiste. Questo pezzettino di terra di Montecarlo è dunque nulla. Ha però una grande bisca, ha alcune istituzioni interessanti, ha gente cordiale. Ma, vi pare però serio che noi creiamo, adesso, un’istituzione cavalleresca che non ha passato, che non ha origini, che non ha niente che ci interessi, solo per omaggio al principe Ranieri III? Come gli annuari, anche i più modesti descrivono Monaco? Principato costituzionale, Ranieri III come principe; territorio doganale francese; chilometri quadrati: un chilometro e mezzo. Vi pare proprio che sia in concorrenza con la Russia che, per l’estensione del territorio, ha superato qualunque Stato del mondo? (Ilarità). La Russia ha delle decorazioni, ma non è questa la ragione della mia ammirazione. Ma la Russia è un Paese immenso e totalitario, è un Paese che vive per le sue tradizioni, che ha decorazioni di varia natura, ma essenzialmente militari perché la Russia è e resta essenzialmente militare. Ora, vogliamo imitare la Russia? E la volete imitare proprio per le decorazioni? Vi scandalizzate tante volte, sentendo l’elenco di colpe vere o immaginarie della Russia. Forse sono un po’ esagerate, ma ad ogni modo non è il campo degli ordini cavallereschi quello in cui potete imitare la Russia. La Russia ha una grande situazione nel mondo e l’avrà ancora. I grandi popoli non cadono. Vi sono vicende alterne, ma i grandi popoli forti non cadono mai improvvisamente.
In Europa, non vi sono ormai che due vere Repubbliche e sono la Russia, a suo modo Repubblica, ma formalmente repubblicana, e la Svizzera. La Svizzera – grandissimo Paese, piccolissimo di territorio, ma grande di coraggio e di dignità – ha potuto preservarsi per tanto tempo. Si è preservata da Napoleone e si è preservata ultimamente da tutti i governi totalitari; ha resistito a tutti. Io ho una grande ammirazione per la Svizzera.
La Svizzera ha la mia ammirazione non per quello che conquista, ma per quello a cui rinuncia. La Svizzera ha avuto il coraggio quando, dopo la prima guerra mondiale, le hanno proposto di aumentare il suo territorio, di rifiutare, dicendo che preferiva non avere nulla e così è riuscita tranquillamente, ma grandiosamente. La Svizzera è un Paese che non solo si è difeso ora, ma che si sta difendendo da secoli. Io ho dimorato tanti anni in Svizzera e conosco i suoi cittadini e i loro sentimenti. La Svizzera è il Paese che può più rapidamente mobilitare in Europa e può mettersi in stato di resistere anche a forti eserciti. Se Mussolini e Hitler non l’hanno toccata, vuol dire che avevano buone ragioni per essere prudenti. Non solo il territorio svizzero era minato, ma il popolo svizzero non avrebbe tollerato l’occupazione. Ora, se ammiro questo popolo che si difende in questo modo nell’ora del pericolo, quando si difende la libertà nazionale ed ognuno deve fare quello che è suo compito, non ammiro coloro che dicono che non combatteranno per cause inique o per conquiste. Un popolo coraggioso si deve difendere sempre. Io ammiro gli svizzeri, che sono sempre pronti a scendere in guerra all’indomani, che tengono sempre pronto il cavallo, la divisa e ciò che può servire per la guerra, fin da borghesi. Solo con la sua tenacia la Svizzera si può mantenere. Non ammiro i popoli fiacchi che dicono che preferiscono non difendersi. No, un popolo si deve sempre difendere e lottare. Amico sincero di ogni causa democratica, dichiaro che pur essendo contrario a tutte le cose che mi irritano nella vita attuale, non sono contrario ad alcuna cosa che serve alla difesa nazionale. Dobbiamo sempre ‑ per essere rispettati ‑ cominciare col rispettare noi stessi. Non vi sono oggi, in Europa, vere e grandi Repubbliche tranne la Svizzera, piccola di territorio e con meno di cinque milioni di abitanti. Eppure, chi ha osato attaccarla? E perché non è stata attaccata? Perché sapeva e voleva difendersi e questo coraggio e questa dignità sono stati e sono la sua vera forza.
Nei giorni scorsi si è voluto creare da noi un particolare omaggio, non a un principe ‑ non so che cosa si possa definire Ranieri, la Costituzione non lo definisce – che è venuto a Roma, ha fatto visita al nostro Presidente ed ha fatto bene. È stato ricevuto cortesemente e hanno fatto benissimo. Ma questa non è ragione per gloriarsi come di un grande fatto, (commenti) a cui si aggiunge la comicità di avergli conferito una medaglia, perché non esiste nella Costituzione – l’amico Sforza l’ha inventata – nessuna legge che permetta di creare decorazioni. Ora, l’amico Sforza ha detto che esistono queste leggi, tant’è che ha distribuito titoli cavallereschi, senza nessuna legge, a molti uomini di chiesa, oltre che ad uomini di governo. Ora, perché Sforza si è abbandonato a questi esercizi, non dirò spirituali, ma di cui non si riesce a capire la necessità? Senza dubbio, a Monaco vi sono istituzioni serie e Sforza ha voluto dimostrare la sua ammirazione. Ma io devo dire che sono dolente che il nostro Presidente della Repubblica, senza necessità, sia stato tirato fuori come la persona che deve rendere omaggio ad un Paese che merita, ma che non ha un capo che risponda a un criterio costituzionale qualsiasi. Monaco non è né monarchia, né repubblica: è una casa da gioco, molto importante, molto seria, dove la vita è piacevole, ma non bisogna esagerare. Ora, perché rendere così modesto servizio al Presidente del nostro Stato, il quale, probabilmente, non lo aveva richiesto?
Abbiamo letto che si sono dati ricevimenti e che in questi ricevimenti è stato reso omaggio a Ranieri III, la qual cosa, ripeto, è spiegabilissima, ma non c’entra affatto con la nostra Costituzione, né con i nostri principi.
Ormai non vi sono in Europa, come vi dicevo, grandi repubbliche. Vi sono invece, nel mondo, due repubbliche vere, buone o cattive: Stati Uniti d’America e Svizzera. Gli Stati Uniti d’America, pur nella loro terribile, grandiosa violenza, sono una repubblica che vive di una vita essenzialmente finanziaria, ma che esercita un’azione così importante da non poter essere trascurata in nessun senso.
Il capo dello Stato di Monaco, che è venuto in Italia e che ha voluto essere così cortese, non si è proposto, probabilmente, alcuno scopo politico, ma la gente ha voluto dare alla sua visita, senza ragione, uno scopo politico. Vi devo dire che io sono dolente di questa confusione, per cui si accresce spesso la diffidenza. Noi non abbiamo veri nemici in Europa; li potremmo avere, ma non ne abbiamo. Abbiamo contrasto di interessi, contrasto di passioni, ma non abbiamo situazioni così difficili come molti pensano.
In questa situazione dell’Europa, qual è il nostro compito? Lo sapete meglio di me, non lo devo dire a voi: rimanere al nostro posto, dignitosamente, coraggiosamente, anche se verranno ore difficili, senza vanità ma con dignità, sempre. Ora, in questo momento io sono inquieto – e non ve lo nascondo – perché ci attribuiamo dei compiti che non abbiamo. Il male non è grande: tutti i Paesi hanno i loro aspetti negativi. La Russia è un Paese totalitario: è un Paese che ha reso, però, grandi servizi all’umanità, a cui rende anche molti cattivi servizi; è un Paese di grande forza che rappresenta ancora, nel mondo, una incredibile potenza. Ora, la Russia, Paese totalitario, rimane totalitaria: probabilmente non lo sarà più domani, a condizione che nessuno esageri e che noi stessi non esageriamo. Non debbo dare insegnamenti, non è il mio compito; ma so che bisogna avere una grande modestia, soprattutto in questo momento in cui la modestia pare la virtù che più tende a mancare.
Ho voluto rendermi conto della situazione che si è prodotta. Come ci troviamo? Il conte Sforza è stato mio Sottosegretario di Stato e fui io che per la prima volta lo chiamai al Governo. Ora, tutti gli uomini sono responsabili, più o meno, Sforza come gli altri, io come lui, come tutti: è questione di misura e di volontà. Sforza ha avuto sempre questa malattia costituzionale: ingrandire se stesso. Quando io lo chiamai, si dichiarò conte e non lo era (Commenti). Suo padre non lo era, la sua famiglia non aveva quel titolo e non mostrava di volerlo. Non importa. Chi in Italia non è conte? (Ilarità).
Tutti gli Italiani, anche i più modesti, se hanno un po’ di vanità si chiamano conti, contesse e abbondano di titoli. La cosa che mi fa più impressione in Italia, dopo essere stato molti anni all’estero, è l’abuso dei titoli, soprattutto dei titoli cavallereschi e nobiliari.
L’Inglese tiene molto, se l’ha, alla sua nobiltà, ma non lo mostra in pubblico o, almeno, non ne abusa. I Francesi scrivono il titolo nobiliare o cavalleresco sulla loro carta da visita. Gl’Italiani, lo gridano in istrada. Se scendete per via Veneto, ad una certa ora, vedete come la gente si saluta: conte, contessa, marchesa, barone, baronessa ecc., perché il titolo si proclama, si grida. In questa semplicità italiana, che è quasi gioconda, per cui si sorride anche delle cose inutili, anche i titoli nobiliari perdono il carattere di durezza e di violenza e diventano, qualche volta, motivo di comicità. Come ci troviamo, e perché, ad avere la volontà, il desiderio di titoli cavallereschi? Io credevo, tornando dopo il fascismo, che non se ne sarebbe più parlato. Durante la monarchia, in Italia non vi erano molti repubblicani; ora tutti sono diventati repubblicani.
Tutti insultano il re d’Italia. Io non fui mai vile. Io fui l’ultimo ad aderire alla monarchia, come giovane studioso, fui l’ultimo ad entrare in un Governo retto dalla monarchia e, per questo, mio padre non mi salutò più. Mio padre era un mazziniano ardente e duro: egli mi disprezzava dal momento che avevo abbandonato l’ideale della Repubblica. Io non mi disprezzai, perché credevo che fosse una necessità per l’Italia, e quello mi parve il mio dovere. E che cosa fu la monarchia italiana? Fu il modo di fare l’unità italiana. Ricordatevi non le parole di un mattoide, di un eccitato, ma le stesse parole di Mazzini e di Cattaneo, interpretate onestamente, senza esagerazioni. Ora, viceversa, è venuta la grandiosità.
L’onorevole Sforza pubblica una interessante rivista, non so come e perché. Egli è l’unico uomo di governo che pubblica una rivista che si chiama «Esteri», quindicinale di politica estera. In questo ultimo numero vi sono cose grandi e vi sono collaboratori dei partiti più vari: Carlo Sforza, Paolo Emilio Taviani, Giuseppe Saragat, Pietro Campilli, Cesare Merzagora, Ivan Matteo Lombardo, Giuseppe Cappi, Francesco Dominedò. Ma questa rivista è solo l’esponente di una situazione di politica estera che non esiste. La nostra politica estera, in realtà, è tale che mai come ora, che abbiamo tutti i mezzi di diffusione che abbiamo – ed anche un Ministro che crea istituzioni a benefizio di tutto il mondo – mai come ora abbiamo avuto così scarsa importanza nel mondo, nella politica europea e mondiale. Sarà nostro dovere percorrere il nostro cammino concordi, per rispondere non solo a un sentimento comune, ma ad una necessità. Come ci troviamo, dunque, a essere diventati un Paese che ha non solo abbandonato l’istituzione monarchica, ma che è già ritornato immediatamente a consuetudini confusionarie? Quando tornai dall’esilio, dalla deportazione, io credevo di non trovare tutte le cose che trovai. Trovai soprattutto le decorazioni, e non è stato solo Sforza che le ha inventate. Ciò che gli fa onore è che, con la sua fantasia, egli creò queste istituzioni cavalleresche senza leggi, quando non c’era nulla in Italia.
Il primo che fece nomine cavalleresche o, per dir meglio, un decreto che conferiva la possibilità di dare titoli cavallereschi, fu l’onorevole De Nicola, uomo probo e retto. De Nicola pubblicò un decreto, sempre a firma di Sforza, perché i ministri sono cambiati, ma Sforza non è cambiato.
Egli crea e conferisce titoli, e in tutte le istituzioni che sono rimaste vi è sempre Sforza.
Il primo decreto in materia, ripeto, porta la firma di un uomo probo, retto e modesto, l’onorevole De Nicola, al quale non si può attribuire alcun atto di vita privata che non sia di virtù. Esso creò una istituzione nuova che si doveva chiamare, allora, la decorazione della «Stella della Solidarietà Italiana» ed aveva un ordinamento che voleva imitare quello della Legion d’Onore, con gli stessi gradi e le stesse funzioni, ma molto più limitate.
Il decreto era modesto, senonché si ingrandì mano a mano. Segue, poco dopo, un altro decreto firmato Einaudi, del gennaio 1949, in cui l’insegna della «Stella della Solidarietà Italiana», nelle forme esteriori, consiste in una stella a cinque punte di metallo dorato, che porta una raffigurazione del Buon Samaritano. Se volete, ve ne farò la storia, che non ha interesse, ma che è stata adattata a tutti gli usi. Quindi, entriamo col Buon Samaritano nelle vere decorazioni! E si continua. L’ordine nuovo prende il titolo «al Merito della Repubblica Italiana» e poi, ancora, i tre gradi del progetto originario diventano cinque. Man mano, diventa il grande ordine delle decorazioni a tutti. Perché, ciò che mi ha profondamente sorpreso, è che l’onorevole Sforza ha affermato, nella sua dichiarazione, che intendeva dare delle decorazioni, che bisognava darle e, non avendole, era in imbarazzo; si era, anzi, posto la questione se potesse dare decorazioni militari.
Come poteva fare a dare decorazioni, se non le aveva? Bisognava dunque inventarle? Forse l’onorevole Sforza ricorda che questa proposta fu fatta a me e, credo, a lui, quando era Sottosegretario di Stato agli Esteri ed io ero Presidente del Consiglio. Una Repubblica sudamericana, volendo farci onore e pensando che il maggior onore fosse una decorazione, siccome non aveva alcun ordine cavalleresco, inviò il Ministro – allora non era Ambasciatore – a chiedere se la Repubblica potesse concederci, in atto di amicizia, non una decorazione, ma la grande medaglia al valor militare. Io mi trovai un po’ ridicolo, perché nella mia famiglia ho avuto molti morti per guerre e rivoluzioni, ma io non ho avuto mai l’onore di essere militare e, quindi, l’idea di avere una decorazione militare mi parve ridicola. Ora, l’onorevole Sforza fa dire dai suoi giornali che bisogna metterlo in condizioni di offrire qualche cosa che non siano decorazioni militari ed invoca, quindi, la necessità di decorazioni civili e militari nello stesso tempo.
In ogni modo, tutte queste sono piccole cose. La verità è che l’Italia non aveva più decorazioni ed ora vuole averne. Perché l’onorevole Einaudi segue l’onorevole Sforza in queste strane idee? Fatemi dire tutto il mio pensiero. Decorazioni vuol dire spesso, se non sempre, corruzione. Non esiste nessuna causa di corruzione più grande che le decorazioni. La stessa Repubblica Francese ne ha fatto prova con la Legion d’Onore. Fin dai primi tempi, questa è stata venduta un po’ dovunque. La decorazione della Legion d’Onore è talmente importante che i nostri amici Francesi non tollerano che si dica che è o può essere causa di corruzione; ma questa è la verità. I Francesi hanno però un correttivo che modera il male, cosa che noi dovremmo introdurre se facciamo una legge di questa natura: per salvare il nostro prestigio, dobbiamo stabilire che deputati e senatori in carica o già eletti non debbono mai avere decorazioni. Tutti i deputati e senatori francesi non ne hanno o, al massimo, hanno dei titoli ridicoli. (I Francesi sono celebri nelle invenzioni ed hanno dei titoli cavallereschi che essi chiamano, ridendo, i «palmipedi», le palme accademiche, che si danno più facilmente a coloro che non possono avere le vere decorazioni).
I Francesi sono fieri anche di questo. La Francia sta attraversando un’ora terribile, tuttavia è sempre invidiata. Essa cercherà di salvare la Legion d’Onore. Il primo grande rovescio dell’Ordine venne quando il più anziano dei Presidenti della Repubblica, Grèvy, ebbe la sventura che il genero vendeva le decorazioni. Venne fuori uno scandalo enorme: questo vecchio Presidente della Repubblica, che era venerato da tutti, dovette dimettersi. Ricordo ancora quando si cantava, per le vie di Parigi: «ah, quel malheure, d’avoir un gendre». Il genero aveva rovinato il suocero. Noi corriamo un rischio ben maggiore, perché ovunque le decorazioni servono a corrompere. Voi credete che sia sempre oculata la scelta degli uomini, ma, invece, ragioni personali premono. Anche qui i giornali annunciano, oggi, che interessa far presto, perché bisogna che per il 2 del mese prossimo si possa fare una grande distribuzione di decorazioni. Io dico invece: si eviti assolutamente questo sconcio e si eviti che le decorazioni divengano materia di corruzione. Sarà un vantaggio per tutti. In quest’Aula, qualcuno ha detto: pensate al prestigio maggiore che avremmo se potessimo dare dei titoli. No, non è così: avremmo, invece, una grande decadenza del costume. La ragione della potenza della Svizzera è che non ha dato mai né avuta nessuna decorazione. La Svizzera non solo non ha avuto mai titoli cavallereschi e decorazioni, ma non ha mai voluto un pezzo di territorio straniero. Pensate alle pressioni che le sono state fatte perché accettasse, dopo l’altra guerra, i grandi territori che le erano offerti; pensate a come essa ha meravigliosamente resistito e vi convincerete che la cosa migliore che potremmo fare, per rinunziare a questa vanità che ci ucciderebbe o, almeno, ci diminuirebbe nella dignità, sarebbe quella di imitare la Svizzera.
Non dunque io voglio fare rimprovero alcuno all’onorevole Sforza. So che egli ha peccato. Ma chi di noi non ha mai peccato getti la prima pietra. L’onorevole Sforza è vecchio ed ha una grande esperienza. Egli ha l’aria di un uomo giovane, ma è vecchio quanto me, perché soltanto quattro anni ed una minore calma lo dividono da me. L’onorevole Sforza riceve da me, in questo momento, un servizio: io cerco di metterlo fuori da una iniziativa che può essere dannosa al Paese.
Pensate che Herriot non è che cavaliere della Legion d’Onore, perché non ha potuto avere altri titoli, in quanto deputato in carica. E pensate, di converso, che cosa diventerebbe l’Italia aperta all’interno e all’estero a tutte le vanità, a tutti i titoli, a tutte le pressioni.
Mi ero preparato, Dio mi perdoni, un enorme materiale che non vi leggerò. Credevo di dovervi dare la dimostrazione di tutto ciò che dicevo, ma ho sbagliato; voi ne sapete quanto me e mostrate, per opportunità, di non sapere. Non desidero allungare il mio discorso; desidero soltanto dirvi che non è vera la ragione addotta a giustificare il conferimento da parte dell’onorevole Sforza, anche in questi giorni, di titoli cavallereschi che non abbiamo il diritto di conferire, tanto che egli stesso dichiara che vuole la possibilità di dare questi titoli, non avendoli ancora.
Ora, ciò dato, la cosa migliore è quella di ridurre la richiesta alla realtà. L’onorevole De Gasperi non ha bisogno di consigli; egli sa ciò che è dannoso e ciò che è utile; sa dove deve arrestarsi.
Ho trovato che qui si è detto da qualcuno – e lo si è ripetuto perfino nella relazione – che noi avevamo già parlato del nostro diritto di dare delle decorazioni quando abbiamo stabilito, nell’articolo 87 della Costituzione, che il Presidente conferisce le onorificenze della Repubblica. Quindi, ciò dipende esclusivamente dalla sua iniziativa.
Veniamo ora ad un altro ordine d’idee. Le decorazioni militari esistono, è naturale che esistano. La Russia non ha che grandi decorazioni: vi sono per costituire un incitamento che si crede utile. Anche in Italia vi era qualche decorazione dignitosa, che fu attribuita in recenti pubblicazioni a Giolitti o a me. Ebbene, la decorazione dei Cavalieri del Lavoro non era creazione di Giolitti né mia. Ma l’errore venne dal fatto che io ho rifatto quella decorazione che aveva dignità, perché l’onorevole Fortis, che l’aveva inventata, credette che, per farla conoscere, bisognasse diffonderla in gran numero e proponeva decorazioni in numero superiore alle nomine che si potevano fare. Si proponevano 200 o 300 decorazioni, mentre se ne potevano dare in numero assai minore. Allora io ero Ministro di un Ministero che si chiamava Ministero dell’Industria, Agricoltura e Commercio, che comprendeva tre o quattro degli attuali dicasteri. Dopo che il Consiglio dell’Ordine aveva votato i nomi che proponeva, venivano gli scrupoli. Si diceva: «Noi abbiamo dato quei nomi perché era necessario… il Tizio è un albergatore possessore di quattro alberghi, perciò noi lo abbiamo proposto; ma vi preghiamo di non fare questa nomina». Quindi, la nomina era svalutata prima ancora di essere proposta. Per adottare un provvedimento semplice, disposi che il numero delle creazioni dei cavalieri fosse limitato e non se ne potessero proporre di più di quelli che si potevano nominare. Allora, la lotta divenne interna e si cercò sempre di scegliere il migliore. In queste condizioni non si evita il male: si evita il maggior male. I fatti umani non sono mai senza peccato; probabilmente, non vi era possibilità di scelta per il bene. Cerchiamo di fare quanto meno di cattivo possiamo.
In questa situazione in cui noi siamo, nell’attesa del futuro, evitiamo soluzioni frettolose, che sarebbero senza dubbio pessime. Io mi ero preparato un materiale enorme su tutto il passato, su tutte le decorazioni. Vi risparmio: sono a vostra disposizione se avete bisogno di quelle cose che per lunga esperienza ho acquisite e spero vorrete usare, con la preghiera che la nostra opera deve essere veramente italiana e patriottica, e nella fiducia che noi faremo qualche cosa di meglio e non di peggio di ciò che abbiamo fatto in passato.
Signori, è terribile la situazione di un uomo politico che si accorge di fare il male, ma che deve farlo. Quando possiamo evitare di farlo, è già una grande fortuna. Io sono convinto che queste mie modeste osservazioni l’onorevole De Gasperi ed i suoi collaboratori le terranno presenti, perché io non ho altro scopo che quello di rendere un servizio al Paese, senza vanità. Noi siamo minacciati di fare una cattiva legge che diventi per se stessa causa di disordine e di corruzione. Vi sono mali necessari, ma vi sono mali che dipendono solo da noi.
Non ho esaurito questo argomento, non l’ho nemmeno trattato a fondo. Ho soltanto detto il pericolo che ci minaccia. Voi intendete che ciò che ho detto, però, è ancora poco e che mi riservo di dire assai di più in seguito. (Applausi, molte congratulazioni).
PRESIDENTE (Adone Zoli) – È iscritto a parlare l’onorevole Longoni. Ne ha facoltà.
LONGONI Mario (Democrazia cristiana) – Onorevoli colleghi, io intendo di attenermi strettamente al tema che è in discussione e, quindi, non farò considerazioni di ordine politico o di carattere internazionale.
Prendo brevemente la parola per portare la mia adesione convinta a questo disegno di legge, in ordine al quale oso anche dire che sarebbe stato bene, se i lavori più importanti del Senato lo avessero consentito, che fosse stato portato alla nostra discussione – ed io spero anche alla nostra approvazione – prima di ora, perché si sarebbero evitati così parecchi di quegli inconvenienti che sono presenti alla nostra constatazione e che hanno, particolarmente in questi ultimi anni e in più di una fattispecie, offeso la buona fede pubblica e privata.
Io credo, onorevoli colleghi, che non si possa affermare che questa sia la legge delle vanità, perché, se così dicessimo, censureremmo la stessa Carta Costituzionale della Nazione, che contiene una disposizione in base alla quale le onorificenze e gli ordini cavallereschi della Repubblica debbono essere distribuiti e assegnati dal Capo dello Stato.
Ora, non è possibile non dare un contenuto a questa disposizione, perché, se dovessimo combatterla nell’intrinseco, verremo evidentemente a superarla.
Ritengo, d’altronde, che sia un dovere da parte dello Stato riconoscere e premiare le benemerenze di quei cittadini che si sono distinti nel campo del pubblico bene e cioè nelle arti, nelle scienze, nelle industrie, nel commercio, nelle pubbliche funzioni, negli episodi di valore e nell’assistenza e beneficenza pubblica.
Ritengo che a questo dovere dello Stato possa legittimamente corrispondere l’aspirazione di coloro che hanno compiuto quel bene a conseguire un segno della pubblica gratitudine, un ornamento al loro nome che costituisca anche una soddisfazione per le loro famiglie.
È d’altronde certo che le onorificenze distribuite potranno suscitare una emulazione ed una gara, nella quale i cittadini, che vedranno tali riconoscimenti, saranno attratti a conseguirli con vantaggio evidente della società e della Patria.
D’altra parte, onorevoli colleghi, esiste in materia una tradizione in tutte le Nazioni d’Europa ed è stato rilevato, nella stessa relazione dell’onorevole Fantoni, che in qualsiasi regime, sia esso monarchico o repubblicano, sia democratico o assolutista, vige una consuetudine, già dall’antico, che distingue i cittadini benemeriti con onorificenze.
È inutile opporre che vi sono altri popoli più progrediti, specie sul terreno economico, i quali non hanno tali istituzioni, perché noi abbiamo in atto una tradizione che essi non hanno.
Non accordando onorificenze, come fanno la Svizzera e gli Stati Uniti d’America, essi non rinunciano a nulla, perché mai hanno creato e tenuto in onore tali distinzioni.
Dopo queste considerazioni che bastano, io credo, a giustificare la struttura di questo disegno di legge, qualche parola voglio dire in ordine alle norme specifiche che esso contiene.
Noi lo vediamo, onorevole colleghi, basato sulla tradizione specifica della nostra nazione ed anche delle altre Nazioni europee.
A capo dell’Ordine è lo stesso Presidente della Repubblica, che distribuisce le onorificenze a nome del popolo italiano, e il Presidente delle Repubblica è assistito da un Consiglio (che corrisponde al Magistero degli antichi ordini) che, composto anche da rappresentanti della Camera e del Senato, esprime dal suo seno una giunta esecutiva.
Questa ha il compito di tutelare e realizzare le discipline che accompagneranno la vita di questo ordine e che saranno contenute nello Statuto, da formularsi per iniziativa della Presidenza del Consiglio.
L’ordine è costituito da parecchi gradi, cinque dei quali corrispondono alle norme più consuete e più diffuse.
Il sesto grado, che è qualificato il «Gran Cordone», io penso che potrebbe essere staccato da questo ordine, che considero un ordine di massa, in quanto sarà destinato a premiare le benemerenze di molti cittadini italiani ed anche stranieri.
Esso avrebbe potuto formare un ordine a sé stante, con propria denominazione, per le benemerenze insigni di alcuni fra i migliori cittadini italiani e per rendere omaggio a capi di Stato stranieri.
Ma non voglio, su questo punto, muovere obiezioni, in quanto è evidente che ciò che non si è fatto oggi si potrà fare domani, specialmente se il prestigio della Repubblica andrà crescendo nel campo internazionale, come è nei nostri voti.
Si entra nell’ordine cavalleresco per meriti conseguiti, ed è purtroppo giusto che ne esca chi sia caduto in uno stato di indegnità, perché è evidente che l’ordine deve essere composto di insigniti e di decorati che siano sempre, di fronte al pubblico, meritevoli della onorificenza loro concessa.
Vorrei qui osservare che parlare di «indegnità» in senso generico potrebbe anche prestarsi ad applicazioni arbitrarie.
Non è però il caso di suggerire che nella legge si faccia una indicazione più precisa, che si indichino, cioè gli elementi da cui deriva questa indegnità. Poiché essa contiene una norma, che deferisce alla Presidenza del Consiglio la specificazione delle sue applicazioni, è da augurarsi che qualche elemento sia dato per poter identificare l’indegnità. Nessuno potrà dire, ad esempio, che un commerciante che abbia meritato una onorificenza e sia poi caduto in situazione di fallimento, per effetto di eventi superiori alla sua bravura e buona fede, quali la valutazione o la svalutazione internazionale di monete, debba perdere il diritto a conservare tale onorificenza, mentre chi cade in uno stato di insolvenza fraudolenta deve essere certamente privato della conseguita distinzione.
Anche su questo punto, credo che possa disporre lo Statuto dell’ordine. Approvo poi in modo preciso le norme della legge che tolgono la possibilità di sussistere agli ordini che noi qualifichiamo irregolari o spuri.
Qualcuno afferma che, in tal modo, noi andiamo a conferire retroattività alla legge, in quanto togliamo al titolo a chi ne è stato prima d’ora insignito.
Io sono però convinto che non si tratta affatto di retroattività.
Infatti, anzitutto la stessa Carta Costituzionale da anni stabilisce che le onorificenze siano conferite dal Capo dello Stato e tale disposizione significa che nessun altro può attribuirle.
In secondo luogo, è nell’ordine costituzionale di tutti i popoli che le onorificenze siano conferite da chi detiene il pubblico potere.
Infine, a disilludere gli ingenui, che credevano di conseguire decorazioni valide, il Ministero dell’Interno e la stessa Segreteria di Stato vaticana sono intervenuti con chiare diffide perché, in parecchi casi, le onorificenze spurie erano rivestite da denominazioni religiose.
Non è quindi possibile opporre l’obiezione della retroattività della legge.
Ho letto in una rivista, che si qualifica «parlamentare», considerazioni di questo genere: «Dal punto di vista giuridico, la tesi del senatore Fantoni non è in maniera alcuna sostenibile, urtando contro un preciso disposto della Carta Costituzionale che riconosce a tutti i cittadini la libertà di associazione. È chiaro che un ordine cavalleresco altro non è che una associazione privata, come i partiti, i sindacati, gli istituti culturali ecc.». Ancora: «Sebbene esista un’Accademia Nazionale, quella dei Lincei, il legislatore certamente non pensa di vietare ai privati cittadini o cultori di raccogliersi in una propria accademia e conferirsi, tra loro, palme e distinzioni accademiche».
Una parola di commento, colla quale io già rispondevo a questo articolo e a queste eccezioni: «È di tutta evidenza che questa prosa intende diffondere e perpetuare l’equivoco. Non è per nulla in gioco la libertà di associazione o di organizzazione della beneficenza e della cultura, giacché è indubbiamente lecito a tali enti distribuire propri distintivi o medaglie o diplomi. Occorre solo che nessuno alteri le caratteristiche della propria attività e della propria competenza. Nella vita commerciale, la legge e la Magistratura tutelano e difendono i nomi e gli emblemi di creazioni accreditate presso il pubblico ed impediscono che altri li usurpi, allo scopo più o meno confessato di utilizzare o sfruttare i prodotti dell’ingegno e dell’esperienza altrui. Non è opportuno, né onesto, che associazioni private conferiscano titoli che la tradizione consacra e il pubblico considera come emanazione di una sovrana potestà o, comunque, bisognosi di un riconoscimento e di una autorizzazione sovrana. Né vale dire che si potrebbe aggiungere ai titoli cavallereschi liberi la denominazione della loro specifica provenienza, perché, ove anche non valessero le considerazioni già richiamate, che risolvono il problema alla radice, è assai dubbio che, nell’uso comune, tali precisazioni verrebbero realmente praticate e non è certo, d’altronde, che il pubblico saprebbe fare esatta distinzione di valori.»
Aggiungo che, se la speranza di una confusione non alimentasse l’ondata di onorificenze a cui si è dato vita in questi ultimi anni, la gara di spurie decorazioni si sarebbe già estinta da sé. Vogliono pertanto il rispetto della pubblica buona fede, il sovrano diritto dello Stato e la stessa difesa del prestigio degli ordini cavallereschi veraci, che nessuno si adorni di titoli che, per la loro irregolare provenienza, non sarebbero che lustre, orpelli o figurazioni mendaci.
Si è anche detto che la legge pratica una ingiustizia, in quanto che riconosce l’Ordine del Santo Sepolcro e l’Ordine Militare di Malta.
Ma, per quanto riguarda l’Ordine del Santo Sepolcro, benché non si tratti di una onorificenza direttamente conferita dal Pontefice, bensì da un Cardinale della Chiesa, vale un Trattato, quello del Laterano, tra il Governo italiano e la Santa Sede, che lo riconosce.
Per quanto riguarda l’Ordine Sovrano Militare di Malta, permettetemi di ricordare che si tratta di un ordine illustre, che ebbe nei secoli scorsi la sovranità di Rodi e di Malta.
Perduta quest’ultima per un evento di slealtà internazionale, quest’ordine si è trasferito a Roma, sull’Aventino, ed è sempre stato riconosciuto dai sovrani, dai vari governi italiani ed anche stranieri e dalla stessa legge delle precedenze, in cui ha la sua graduatoria.
Esso ha, nello sviluppo delle sue attività, di mira la beneficenza e l’assistenza, in modo particolare verso gli operai ed i figli degli operai, mediante forme di assistenza sociale, in varie regioni d’Italia.
Durante la guerra, ha gestito ospedali, ha attrezzato treni ospedale, ha fuso con riconoscimento giuridico il proprio personale con quello dell’Esercito ed ha recentemente acquistato una villa magnifica in Brianza, con un parco grandioso, destinato alla convalescenza dei soldati affetti da malattie delle vie respiratorie. Evidentemente, quest’ordine non può essere eliminato o disconosciuto. Fatte queste considerazioni, approvo esplicitamente le norme della legge che contengono punizioni per l’uso di onorificenze irregolari. Esse potranno essere giudicate severe, ma hanno ragione di essere, perché, nei momenti in cui si compiono gravi abusi, è giusto che la sanzione si applichi rigida e severa.
Vorrei, però, suggerire un temperamento di equità. Voglio ricordare che dal 1922 e, in modo particolare, dal 1924 in poi, le onorificenze dello Stato italiano sono state assegnate esclusivamente a coloro che vestivano l’orbace e la camicia nera o che avevano raggiunto benemerenze economiche o propagandistiche verso il regime.
Sono stati trascurati tutti coloro che erano veramente benemeriti e questo spiega come, caduto il regime e soppressa la monarchia, taluni, che avevano coscienza di aver bene meritato dalla società e dalla Patria, abbiano potuto accettare onorificenze non seriamente controllate e cioè spurie.
Vorrei che la Presidenza del Consiglio o il Consiglio dell’Ordine, quando la legge sarà approvata, esaminino questi casi particolari, per sostituire all’onorificenza irregolare quella del nuovo ordine nazionale.
Chiudo queste brevi parole con un augurio, che succintamente ha espresso lo stesso collega Fantoni, al quale voglio rivolgere una espressione di plauso per la sua relazione, ottima e completa: l’augurio che l’ordine possa conseguire un alto prestigio.
Ma occorre, all’uopo, il concorso di due requisiti: in primo luogo (e mi pare che vi abbia accennato lo stesso onorevole Nitti) è necessario che la distribuzione delle onorificenze sia quanto mai sobria e limitata. Comprendo l’affollamento che vi sarà inizialmente, dopo cinque anni di carenza di distinzioni cavalleresche valide. Ma quando questo periodo sarà superato, occorre che sia assegnata l’onorificenza a un limitato numero di cittadini.
Si è ricordato l’esempio della Legione d’Onore di Francia. Ebbene, in quella nazione, un sindaco di città capoluogo di provincia (dico così pur sapendo che esiste colà un altro sistema di circoscrizione), può al massimo aspirare al grado di cavaliere ufficiale.
In Italia è tutt’altra cosa: un modesto commerciante, il sindaco di una borgata, dopo alcuni anni di carica, suole aspirare al titolo di commendatore: occorre, dunque, esercitare una temperanza severa nel distribuire le onorificenze.
Occorre inoltre (ed ecco il secondo requisito) che esse vengano concesse a persone veramente benemerite. E qui non dobbiamo limitarci alle affermazioni ufficiali: occorre tenere presente che è il popolo che giudica, il popolo che conosce noi nella nostra vita e nei nostri difetti e nei meriti; e non deve accadere, come accadde spesso in passato, che il popolo dica: perché hanno onorato il tale? Quali meriti poteva egli vantare?
Col concorso appunto dei due requisiti – limitazione delle decorazioni e attribuzione di esse a persone veramente degne – si può formulare l’augurio che l’Ordine fiorisca, ricco di considerazione e di prestigio e che la decorazione assegnata ad ogni singolo cittadino possa splendere sul suo petto ricevendo luce dalla sua bontà, dalla sua intelligenza e dal suo sentimento di onore. (Applausi).
PRESIDENTE – È iscritto a parlare il senatore Berlinguer. Ne ha facoltà.
BERLINGUER Mario (Partito socialista italiano) – Onorevoli colleghi, sarei indotto a rappresentarmi questa discussione come una specie di torneo, aperto con una schermaglia di ironie dall’insigne collega Nitti, e che si svolge in quest’Aula come dentro uno steccato, sotto la guida di un giudice di campo, il nostro Presidente, e sotto lo sguardo vigile di molti osservatori che gremiscono le tribune del pubblico. Un collega mi diceva: probabilmente, essi sono in gran parte commendatori o cavalieri di ordini non sempre riconosciuti o aspiranti a qualche cavalierato del genere.
Ho assunto questo tono leggero perché non posso dissimulare né a me stesso, né a voi, che la nostra sensibilità socialista ha una istintiva resistenza contro queste forme di riconoscimento di benemerenze che, nella società borghese, assumono un carattere tutto esteriore e si adornano di certe denominazioni di origine feudale, tanto che sembrano derivare da Re Artù. Molto spesso, come già è stato detto, la istituzione delle onorificenze diventa oggi strumento di classe e di parte. Nostri colleghi di Gruppo, in seno alla Commissione, non hanno disapprovato questo disegno di legge. Penso che essi lo abbiano considerato meritevole di essere per lo meno esaminato, per due ragioni: la prima, è che si tratta di un disegno di legge di attuazione costituzionale; la seconda, per me prevalente, che si tratta di un disegno di legge il quale, oltre ad istituire l’Ordine al Merito della Repubblica, sopprime tutto quel pullulare di ordini clandestini, fonte di corruzione e di mercato delle vanità, per cui almeno questa parte merita, indubbiamente, di essere approvata.
Io mi permetto qualche rilievo su queste due considerazioni.
Attuazione costituzionale, sì. Ma vi ha già detto l’onorevole Nitti che, in questo momento, ben altri problemi gravi urgono sul nostro Paese. Io aggiungerò che altre necessità di attuazioni costituzionali, altre necessità urgenti di realizzare la nostra Costituzione sono dimenticate dal Governo e, purtroppo, anche dal Parlamento. Vi sono organi costituzionali che dovevano essere istituiti entro un anno dell’entrata in vigore della Costituzione, organi che sono alla base dell’ordinamento nuovo del nostro Paese e che, invece, rimangono lettera morta. I relativi disegni di legge o ammuffiscono negli archivi ministeriali o si insabbiano nelle Commissioni parlamentari. Non mi sembra che, veramente, il primo disegno di legge di attuazione della Costituzione degno di essere approvato dal Parlamento debba essere proprio questo che oggi viene sottoposto al Senato. Dirò di più, che noi, cioè, non possiamo avere fiducia che l’Ordine al Merito della Repubblica non sia contaminato da quel malcostume che fu caratteristico del conferimento delle onorificenze monarchiche e che si esasperò, come giustamente rilevava il senatore Longoni, nel periodo in cui la monarchia si rese complice del fascismo e diventò poi, addirittura, una vergogna nell’ultimo periodo di questa monarchia, quando veramente le onorificenze venivano distribuite a migliaia come strumento di corruzione, con tale sfrontatezza da diventare insieme intollerabile e grottesca. Parlo della vigilia della definitiva cacciata dei Savoia dall’Italia.
Noi non abbiamo alcuna fiducia che questo Ordine al Merito della Repubblica non diventi anch’esso strumento di adescamento politico e, particolarmente, elettorale, come accennava l’onorevole Nitti. Anche perché – e riprendo ancora una volta un accenno dell’insigne nostro collega onorevole Nitti – proprio nei giorni scorsi abbiamo avuto una prima anticipazione del sistema con cui pare si intenderebbe distribuire le onorificenze. Infatti, non ha certamente suscitato impressione favorevole in nessuno strato del nostro Paese che abbia sensibilità umoristica, quel conferimento della Croce di Guerra al principe, o non principe, di Monaco. Forse, sarebbe stato più opportuno, non dico più gradito, offrirgli in dono, in occasione della sua visita, qualche oggetto artistico che recasse, per esempio, come stemma un gruppo di fiches… Comunque, io penso che se questa legge sarà approvata dal Senato e della Camera, bisognerà veramente che tutti tengano presente che le onorificenze debbono essere assegnate soltanto ai più degni e non essere destinate a coprire, direi quasi a crocifiggere, la miseria di molti cittadini.
Perché faccio questo accenno? Mi perdoni il caro collega Fantoni, relatore di questo disegno di legge; io ho colto, leggendo la sua relazione, sotto molto aspetti pregevole, una frase che preferisco credere sfuggita alla sua attenzione, ma che però debbo segnalare. Egli scrive: «E l’umile funzionario che – dopo una carriera percorsa con decoro, onestà, disinteresse e zelo, non sempre adeguatamente retribuita – va in riposo, non terrà il broncio allo Stato e al regime (dice proprio regime)».
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Al regime repubblicano. Parlavo da buon repubblicano e scrivevo da ottimo repubblicano.
BERLINGUER Mario (Partito socialista italiano) – La parola regime dovrebbe essere cancellata dal nostro dizionario, dopo che è stata macchiata dal ventennio fascista. Comunque, non è alla parola che intendevo alludere, ma ad una questione di sostanza. Del resto, onorevole collega, credo di aver fatto premesse così riguardose verso di lei da non meritare le sue interruzioni…
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Grazie, grazie!
BERLINGUER Mario (Partito socialista italiano) – … ho persino detto che preferivo credere che questa frase fosse sfuggita alla sua penna, sua malgrado. Non mi costringa a dire che questa frase fu meditata! Lasci dunque che prosegua nella sua lettura: «[…] non terrà il broncio allo Stato e al regime, se la misera pensione, che non gli consentirà una vita comoda, sarà accompagnata da una croce e da un titolo che lo eleveranno nella stima e nella considerazione dei cittadini».
Ripeto, onorevoli colleghi, vorrei pensare che questa possa essere una frase sfuggita al relatore, sebbene essa sia indice di tutta una mentalità, di tutto un sistema che trova così frequenti riflessi nell’azione del nostro Governo. Farete voi i commenti; io desidero soltanto sottolineare che la frase si riferisce ai funzionari. Orbene, vi sono indubbiamente dei funzionari, nella nostra amministrazione, degni di avere un’onorificenza, benemeriti del nostro Paese; ma non meno degni certamente sono i lavoratori della classe operaia, quei lavoratori che negli Stati socialisti (mi permetto di ricordarlo all’onorevole Nitti, che ha parlato di sole onorificenze militari nell’Unione Sovietica) vengono invece insigniti di onorificenze che noi consideriamo anche più alte, e consacrati eroi del lavoro. Ai lavoratori del braccio dovrà essere fatto largo margine nel conferimento di onorificenze al merito di quella Repubblica che essi, sopra tutti, hanno contribuito a creare nel nostro Paese. (Approvazioni). Ma, onorevoli colleghi, né per i funzionari, né per gli operai, né per i contadini si dimentichi l’obbligo dello Stato di provvedere, ben più che alla distribuzione di onorificenze, a rendere ad essi possibile di vivere e, vorrei dire, di sopravvivere, quando vanno in pensione dopo lunghi anni di lavoro onesto. E lasciate che io ancora una volta, in quest’Aula, onorevoli colleghi senatori e onorevoli Ministri, ricordi a tutti le condizioni sciagurate dei pensionati della Previdenza sociale, ai quali viene ancora fatto un trattamento che rappresenta un’onta per l’Italia!
Sono invece d’accordo con l’onorevole relatore sulla necessità di reprimere rigorosamente il mercato degli ordini clandestini. Già in questo disegno di legge troppe eccezioni si fanno per il riconoscimento di questi ordini ed io non credo di rivelare un segreto se dico che, probabilmente, molti di noi – e perfino qualcuno di noi che siede su questi banchi – è già stato già oggetto di insistenze, di pressioni perché queste eccezioni vengano dilatate fino all’inverosimile, contro ogni principio di moralità, contro la nostra Costituzione, contro il decoro del nostro Paese. (Approvazioni). Sono convinto che nessuno dei nostri parlamentari soggiacerà a queste pressioni; nessuno esiterà a reagire come impone il nostro dovere.
Ho letto un brano della relazione del nostro collega onorevole Fantoni e mi sono permesso, al riguardo, anche qualche critica; desidero ora leggerne un altro che approvo. Egli scrive che bisogna porre fine alla «deplorevole realtà di un pullulare indecente di ordini non riconosciuti che, dopo l’avvento del nuovo regime istituzionale, fanno larga ed illecita, per non dire truffaldina, distribuzione di titoli ed insegne».
Siamo perfettamente d’accordo, onorevole Fantoni, nell’esigere la repressione di questa ignobile frode – che sfrutta le più basse vanità di uomini i quali spesso aspirano ad onorificenze – pensando di farsene strumento per perpetrare delle vere truffe, presentandosi con insegne e stemmi alle loro vittime. Dobbiamo colpire senza esitazioni questo traffico, questo perpetuarsi di ordini che non possono assolutamente essere riconosciuti.
Ma, a questo proposito, vorrei insistere su una campagna, lasciate che la chiami così, che è diventata ormai un po’, in quest’Aula, uno dei miei leit motiv: la campagna in favore della libertà di giudizio della Magistratura. Una delle forme più odiose e subdole di coazione del fascismo, nei confronti della Magistratura, fu quella di imporre, con i suoi codici e le sue leggi, limiti restrittivi al potere discrezionale del giudice per la misura delle pene. Bisogna ridare fiducia ai nostri giudici: essi distingueranno tra i casi più gravi che meritano sanzioni inesorabili e quei casi che, per avventura, apparissero ad essi pietosi, senza che sia, per essi, necessario persistere in quelle forme di immoralità giuridica cui sono costretti a ricorrere, anche oggi così frequentemente, per conciliare l’imperativo categorico delle loro coscienze con la necessità di applicare le leggi. Cioè, a riconoscere attenuanti inesistenti e ad eliminare aggravanti chiare come la luce del sole, per adeguare le sanzioni all’entità criminosa del fatto e alla personalità del reo.

Ricordo che, dinanzi al Senato, qualche risultato in questo senso fu raggiunto, nell’ultima legge per il controllo delle armi, in cui si dilatarono i minimi e talora anche i massimi delle pene edittali. E concludo ricollegandomi alle mie premesse: a nostro avviso, questa legge, oggi, si appalesa estremamente pericolosa, destinata probabilmente a diventare strumento di corruzione di coscienze, di asservimento.
Domani, forse, se ben applicata, essa potrà essere una legge che contribuirà consolidare il prestigio della nostra Repubblica (Applausi della sinistra, congratulazioni).
PRESIDENTE – È iscritto a parlare l’onorevole Raja. Ne ha facoltà.
RAJA Giovan Battista (Partito repubblicano) – Onorevoli senatori, constato con lieto animo il disinteresse assoluto con cui il Senato segue questa discussione. Questa, forse, anche se la legge passerà, sarà la migliore condanna della legge stessa.
Ogni legge deve certamente corrispondere a motivi sociali, politici e morali, sui quali e per i quali si è venuta affermando la volontà della maggioranza del popolo. Ora, io non credo che questa legge risponda ad uno qualunque di questi motivi, né credo che essa sia voluta o comunque imposta dalla maggioranza del popolo italiano.
Il popolo italiano, nei suoi ceti più umili, è avverso a qualunque forma di distinzione, perché nella distinzione vede la mortificazione di se stesso, l’abbassamento della nobiltà del suo lavoro manuale. Il polo italiano, nei suoi ceti più elevati, trova la soddisfazione della sua fatica nel successo della fatica stessa e nella spontanea estimazione pubblica, che è la sola che consacri, onorevole relatore, i meriti di coloro che, comunque, hanno ben meritato verso la Patria.
Quindi, non è lo Stato che deve consacrare i meriti dei cittadini, ma deve essere l’estimazione dell’opinione pubblica che questa consacrazione può fare e sa fare. Perciò, questa legge può servire solo al popolo nel suo ceto medio, che è quello che, con ambizione sfrenata, sempre ridicola, brama queste forme di distinzione, perché crede di trovare in esse una superiorità. Quindi, si tratta con questa legge di soddisfare questa bramosia di vanità del ceto medio. Ora, vale la pena di tentare una definizione di questo ceto medio. Che cosa esso è, quali origini ha, che cosa presume di volere nella vita sociale italiana dove – bisogna riconoscerlo – tutto potrebbe esso potere se avesse un indirizzo unico e un interesse armonico?
Il ceto medio – può essere una mia pretesa azzardata – non esiste, perché esso è formato da origini diverse, anche per quel che è l’esercizio di vita. Voi vedete in questa grande massa, che noi definiamo ceto medio, i modesti professionisti, gli impiegati principalmente delle categorie minime, gli esercenti, i piccoli e medi commercianti, i piccoli e medi industriali, gli agricoltori: tutta gente che ha interessi in contrasto. Poiché costoro ritengono di essersi elevati, dato che provengono proprio da origini umili; poiché si sono innalzati un po’, anche per le proprie iniziative; poiché, per il loro poco o grande arricchimento si sono distaccati dalla classe da cui provenivano, sentono immensa la vanità. Questa vanità, onorevoli colleghi, è quella che bisogna colpire per eccitare appunto questo ceto medio, che è così invasato dal desiderio della distinzione, ad un senso di maggiore serietà e di maggiore responsabilità; per convincerlo, finalmente, che non è una qualunque onorificenza che lo distinguerà dagli altri ceti sociali, ma, invece, la probità della vita e la fecondità sociale della fatica.
Ora, io penso che proprio in un regime democratico è necessario che, finalmente, cadano tutti i privilegi e le distinzioni anche apparenti, perché questi privilegi e distinzioni sono perniciosi e non depongono favorevolmente alla serietà di un popolo. In regime democratico, quando il Capo dello Stato, eletto dal popolo attraverso il Parlamento, è il signor Presidente della Repubblica; quando il Presidente del Consiglio, che è l’esecutore della volontà del Parlamento, è il signor Presidente del Consiglio; quando a queste alte attività politiche dello Stato noi abbiamo tolto ogni attribuito, possiamo consentire che un qualunque attributo sia dato al singolo cittadino? A me pare una di quelle contraddizioni che non possono certamente essere accettate in un regime di rinnovamento democratico, in cui è necessario che si cominci ad abituare il popolo italiano ad essere – come ho detto – più serio, per sentire maggiormente la responsabilità del suo compito; ad essere più serio, specialmente, in questi tempi duri, nei quali è necessità affrontare problemi ben gravi. E questa legge, in questo momento, è per lo meno inopportuna e non voglio usare un’altra espressione che può parere più vivace e violenta. È per lo meno inopportuna.
La presente legge non risponde, pertanto, ad una necessità sociale, non è dettata da un motivo politico efficiente, non serve al consolidamento, come erroneamente è stato affermato nella relazione, delle istituzioni repubblicane. Anzi, ne turba il prestigio, perché degrada il costume e il senso di responsabilità del popolo italiano. Vedete, onorevoli colleghi, i titoli nobiliari e cavallereschi servivano in regime monarchico, anzi erano indispensabili, perché anch’essi concorrevano a rendere più efficace quella che era la potenza della monarchia. Erano indispensabili per mantenere il decoro, il fasto; servivano a creare quella coreografia e quel fasto della Corte, necessari a ricordare al popolo minuto il mito del sovrano, il prestigio della casta sul quale era basato il potere che discendeva da Dio. Ma in un regime democratico, che si presume, secondo la nostra Costituzione, basato sul lavoro; in un regime repubblicano, in cui il popolo in tutti i suoi ceti e in tutte le sue categorie esprime la sua volontà e la sua sovranità, come potete, richiamandovi ad un principio della Costituzione che afferma che il Presidente della Repubblica conferisce le decorazioni e le onorificenze, come potete voi, proprio in questo momento ‑ così come poco fa è stato accennato da altro oratore ‑ cercare di dare tutto un nuovo ordinamento e creare, col peso e gli oneri che ne proverranno, un nuovo ordine cavalleresco, comportante un onere nel bilancio? Sono tempi, questi, in cui bisognerebbe proprio cominciare col falcidiare queste piccole spese che, sommate insieme, alla fine dell’esercizio finanziario rappresentano cifre notevoli.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Ma no, non è vero!
RAJA Giovan Battista (Partito repubblicano) – Perché è venuto il tempo in cui si impone una politica di risparmio delle spese superflue o inutili, per dedicare ogni risorsa ed ogni sforzo alla soluzione dei grandi problemi sociali. Non posso quindi credere, contrariamente a quanto afferma la maggioranza della prima Commissione, che l’istituzione di un ordine cavalleresco che consacri, con fregi tangibili, i meriti di quanti nelle pubbliche amministrazioni, nelle scienze, nelle lettere, nelle arti, in opere di beneficenza, nell’industria, nel lavoro in Patria e fuori, cittadini o stranieri, hanno bene meritato verso la Repubblica e verso la Nazione, serva o possa servire al consolidamento della Repubblica.
Credo, invece, che tale istituzione faccia risorgere forme di vanità che, purtroppo, non sono ancora superate e che esprimono una vera malattia di alcuni strati del popolo ed urtano e diminuiscono i principi democratici sui quali la Repubblica si fonda. L’istituzione di un nuovo ordine cavalleresco farà ancora aumentare la fame di distinzione che in questo dopo guerra si è manifestata nella forma più mortificante e ridicola; e la frenesia dei senza titoli, la vanità degli uomini qualunque e la superbia degli arricchiti muoveranno all’assalto per la conquista di un titolo, nella speranza di affermare una distinzione che, ritorno a dire, è sempre perniciosa al costume democratico.
In questo momento, in cui è un vero privilegio non essere insigniti di una qualunque croce, nessun nuovo prestigio, credetelo, può avere un nuovo ordine cavalleresco, né alcun prestigio potrà ottenere anche in seguito, perché tutti sappiamo come si ottengono queste onorificenze. Il passato e il presente ci ammoniscono: pressione, interessi di partito, tutti i sentimenti più meschini dell’uomo intervengono per soddisfare l’ambizione o la vanità. Ora, bisogna distruggere o, per lo meno, correggere il senso di vanità e di esteriorità: e deve essere lo Stato, attraverso il Parlamento, che deve dare al Paese e al popolo questo senso di serietà non creando ordini cavallereschi, ma formando il carattere dell’italiano, il nuovo carattere del nuovo italiano. Carattere che, purtroppo, dopo ottanta anni e più di Unità, ancora non si è formato, per il cattivo esempio che è venuto sempre dall’alto, per questa terribile malattia che si fa sentire su molta parte di quei ceti che dovrebbero avere in mano la direzione del Paese.
È necessario, quindi, respingendo questa legge, che si dia al popolo italiano la sensazione che i tempi vanno mutando, come sono mutate le istituzioni dello Stato. I tempi mutano e debbono mutare gli uomini; deve l’italiano convincersi che non può continuare ad estasiarsi di fronte ad una qualunque apparenza, ma deve invece abituarsi ad un modo di vita più serio, più composto, più responsabile; deve l’italiano convincersi che non può essere consentito, in un Paese di persone serie, che per strada, nei caffè, nei saloni, nei teatri non si senta dire altro che «commendatore, marchese, conte!» È un qualcosa che offende non soltanto il senso di serietà del nostro popolo, ma anche l’estetica del nostro Paese.
Necessita, ove occorra, andare contro la tradizione, spezzare questa catena che, alle volte, pesa su ognuno di noi obbligandoci a ripetere un vecchio costume che è superato dal tempo. È necessaria, urgente, la presentazione di un nuovo disegno di legge che colpisca con severe sanzioni penali questo pullulare indecente ed inverecondo di ordini cavallereschi, ordinandone l’abolizione così come sono stati aboliti e non riconosciuti i titoli nobiliari. Necessita che il male venga estirpato dalla radice con misure e sanzioni penali energiche: il resto lo farà il costume.
Quando ognuno di noi avrà ignorato il titolo cavalleresco e farà precedere il nome di ognuno col «signore» o col titolo accademico avremo guarito questa malattia, tutta nostra. E infine, non pensate, onorevoli colleghi, quel che avverrà quando avremo creato questo nuovo ordine cavalleresco? Avremo creato il maggiore tormento nostro. Le grandi masse di aspiranti assalteranno tutti gli uomini politici, i quali diventeranno vittime delle sollecitazioni, perché non ci sarà più un qualunque, dirò così, grand’uomo di un qualunque comune d’Italia il quale non vi verrà a chiedere, a far pressioni, ad obbligarvi di proporlo o segnalarlo per un’onorificenza a compenso dei suoi meriti speciali; e ognuno avrà benemerenze e titoli per pretendere questa consacrazione ufficiale.
GENCO Giacinto Mario (Democrazia cristiana) – Lo fai contento con poco!
RAJA Giovan Battista (Partito repubblicano) – Lo faccio contento con poco? No, l’ho corrotto con poco! Questa è la verità! Con questi mezzi si corrompe la coscienza del popolo; non sono questi i mezzi che possono mettere il popolo in una situazione di maggiore prestigio e di maggiore responsabilità.
Comunque, torno a dire: non è lo Stato che deve porre in rilievo le benemerenze dei cittadini, né deve essere lo Stato ad additare un singolo cittadino alla benemerenza pubblica. Invece, se partiamo dal principio che tutti sono uguali davanti alla legge e davanti a se stessi, evidentemente sarà, come suggeriva poco fa l’amico Gasparotto, la pubblica estimazione che metterà in alto gli uomini. Del resto, parliamoci francamente, chiaramente: non vi pare che anche oggi, con tutta questa frenesia per queste piccole vanità, vi siano uomini che, pur non avendo alcun attributo né nobilesco né cavalleresco, pur non essendo stati mai indicati dallo Stato alla benemerenza pubblica per il loro sapere, la loro dedizione verso la Patria, le loro opere quotidiane, si vanno man mano elevando nella estimazione pubblica, sì da diventare, alle volte, non solo ammonimento agli altri, ma esempio di serietà, di saggezza, di spirito di sacrificio? Se per tutto questo un uomo viene additato proprio dal popolo – è quella che si chiama l’estimazione pubblica – voi vedete che quest’uomo può ritenere di aver compiuto altamente, nobilmente, il suo dovere, poiché sente attorno questo grande alone di simpatia che lo solleva e lo distingue dagli altri!
E poi vi espongo un’ultima considerazione: se la nostra Costituzione repubblicana ha abolito, non riconoscendoli, i titoli di nobiltà – che del resto rappresentavano la tradizione, la storia di famiglie che, poi, era anche un po’ la storia del nostro Paese – come può non sentirsi questa contraddizione creando un nuovo ordine cavalleresco che presume di creare non dei nuovi nobili, ma una categoria distinta dal resto dei cittadini?
Si è arrivati, in questo progetto di legge – e lo sentirete di qui a poco dall’onorevole Terracini – a questa aberrazione: che, mentre il progetto di legge dice, per esempio, che la Giunta del Consiglio dell’Ordine è proposta dal Presidente del Consiglio e nominata dal Presidente della Repubblica, egli propone (nientemeno, l’onorevole Terracini arriva a questa nuova forma di sovranità popolare, e poiché egli ha presentato una serie di emendamenti, mi convinco che egli sarà a favore di questa legge, come saranno favorevoli quindi tutti i componenti del Gruppo comunista di questa Assemblea) che tutti questi crociati o crocifissi, riuniti in assemblea plenaria, propongano al Presidente della Repubblica i componenti della Giunta. Non resta che costituire il Sindacato degli insigniti di ordine cavalleresco!
Ora, arrivati a un certo punto, e lo dico con franchezza straordinaria da parere rude e cruda, comincio ad avere una grande preoccupazione, di fronte a questo contrasto di diverse lingue e di diversi metodi e mi vado domandando, e lo dico a voi dell’estrema sinistra: ma in nome di che cosa e per virtù di quale principio democratico e popolare, voi vi fate difensori di questo scempio di legge? Di questa legge che, per la serietà di questa Assemblea, dovrebbe essere respinta, a meno che il Governo saggiamente non pensi a ritirarla?
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Esagerato!
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Bisogna rispettare la Costituzione.
RAJA Giovan Battista (Partito repubblicano) – La Costituzione dice tante altre cose e fissa tanti altri princìpi che noi ci siamo bene guardati dall’articolare in legge.
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – Dice anche questo.
RAJA Giovan Battista (Partito repubblicano) – Del resto, la Costituzione non può essere attuata nel breve periodo di una legislatura; verrà attuata anche nella prossima. La Costituzione ha stabilito una norma che rispondeva al momento in cui fu emanata. (Proteste dal centro). In altri termini, la Costituzione non ha detto che bisognava creare un nuovo ordine cavalleresco. La Costituzione ha detto che il Presidente della Repubblica conferisce le onorificenze. Ora, quali sono le onorificenze che esistevano e che esistono tuttora? Noi abbiamo delle decorazioni militari; c’è ancora, credo, quella «Al Merito del Lavoro». Il Presidente della Repubblica può, dunque, esercitare questa funzione che gli è devoluta dallo Statuto, perché gli ordini, chiamiamoli cavallereschi, esistono; gli ordini militari esistono, gli ordini al merito del lavoro ci sono. Ed allora, qual è la necessità di creare un nuovo ordine cavalleresco? Fino a quando la Commissione, nella sua maggioranza, non avrà provato al Senato la necessità politica e sociale di questa legge, noi abbiamo il diritto di dire: noi votiamo contro questa legge.
Ed allora, onorevoli colleghi, vi dicevo che le onorificenze, i titoli cavallereschi non servono al popolo italiano, il quale continuerà a dar prova, nei momenti più difficili e gravi della Nazione, del suo attaccamento al dovere e della sua dedizione alla Patria, senza nulla chiedere, come mai nulla ha chiesto in ricompensa. Servono, invece, a fregiare i più meschini, i più avidi, i più screditati uomini che cercano, nell’adorno di un titolo, di coprire possibilmente passati vergognosi, nella speranza di ottenere un credito ed una estimazione pubblica alla quale non hanno diritto ed a cui non possono aspirare.
Propongo, quindi, e invito in conseguenza il Senato a respingere il passaggio agli articoli di questo disegno di legge e invito il Governo a preparare e a presentare al Parlamento un disegno di legge che colpisca tutti coloro che fanno mercimonio, uso e abuso di onorificenze che non sono istituite dallo Stato. Quando noi avremo fatto questo, avremo incitato il popolo italiano ad una maggiore serietà che comporta maggiore responsabilità, che comporta attaccamento al dovere verso se stessi, verso il proprio simile e verso il Paese.
Onorevoli colleghi, potrà parere che io abbia portato in questa discussione una nota stonata, anche per la veemenza del mio linguaggio; ma io ho il dovere di dirvi che non posso, comunque, anche col mio silenzio, prestarmi ad una eventuale acquiescenza a quella che è la significazione di questo progetto di legge. In altri termini, se voi volete creare ancora un ordine cavalleresco che possa servire per corrompere il popolo italiano, ebbene, adagiatevi pure in questa idea, ma io penso che in questo momento bisogna invece cercare, con l’esempio prima di tutto, e con le leggi poi, di indirizzare il popolo italiano verso una più matura coscienza, verso un rinnovamento di se stesso e del suo costume. (Approvazioni).
PRESIDENTE – È iscritto a parlare il senatore Sacco. Ne ha facoltà.
SACCO Italo Mario (Democrazia cristiana) – Signor Presidente, onorevoli colleghi, tenterò di essere molto breve e spero di esserlo, anche perché questa legge non mi pare che meriti quella accensione di spiriti con che hanno parlato l’onorevole Nitti, prima, e poi gli onorevoli Berlinguer e Raja. Se ne può discorrere con molta semplicità e non senza una certa comicità.
Ricordo che, quando venne alla prima Commissione il disegno di legge, dichiarai subito la mia opinione, che era contraria per molte ragioni. Anzi, presentai allora un ordine del giorno che non ebbe la maggioranza dei voti, ma che, comunque, fu preso in considerazione. E ciò, anzitutto, perché la stessa dizione: «ordine cavalleresco» mi pare che non si possa scostare o dissociare da un certo anacronismo.
Ordo populusque; ordo è una parola che, nel secolo scorso, venne usata da alcuni collegi di professionisti per distinguersi da quelli che erano sempre stati chiamati con il nome glorioso, bimillenario, di «collegio». Ordine «cavalleresco»: ma quale contenuto ha, oggi, questa «cavalleria»? Non significa più il privilegio economico dell’ordine equestre romano, quando occorreva possedere sette jugeri in proprietà per militare a cavallo, perché, se non si aveva una sufficiente proprietà terriera, non si poteva mantenere un cavallo e non si potevano avere le armi necessarie. Ecco, quindi, che non «ordine equestre», come si legge nella relazione, con cavalieri distinti da un anello, ma equites, che erano i soldati militanti a cavallo, quando pedites erano quelli che militavano a piedi. Il maggior censo costituì il privilegio: anche nei nostri Comuni repubblicani medievali, chi possedeva militava a cavallo e chi non possedeva militava a piedi. Fu solo lo Stato liberale, nel secolo scorso, che fornì anche ai poveri le armi per militare a cavallo.
Pochi conoscono l’errore dei dotti, per cui si chiamarono «lance spezzate» quelle che erano invece le «lance spesate»: là dove non era sufficiente una comunità o un vassallo di piccolo feudo per mantenere un uomo a cavallo con un destriero, un ronzino per lo scudiero e un asino per il «trabante», ossia per lo scozzone, allora comunità o feudatari si associavano e facevano la spesa per una lancia a cavallo.
Poi, vennero gli ordini cavallereschi e furono quelli che a poco a poco distrussero la cavalleria.
Tutto questo è passato remoto: ordini, cavalleria sono, non diciamo cianfrusaglie del passato, ma sono cose da essere messe nei musei, dove si possono ammirare, se degne di ammirazione, come le cose belle nei musei di archeologia e di storia; e, di esse, ciò che è meno degno, nei negozi degli antiquari o, peggio, dei rigattieri.
Quindi, non solo per motivi formali, ma anche per motivi sostanziali si può essere avversi a questo disegno di legge, ma con animo leggero, senza drammatizzare. I motivi sostanziali, d’altra parte, si confondono con i motivi formali; i motivi formali diventano infatti, sostanziali, perché, quando nel disegno di legge si parla di Cavalieri di Gran Croce, si comincia a pregiudicare anche la forma della decorazione. Si parla di croce, quindi, non si cessa dal profanare ancora la croce, come fu profanata per secoli per rendere omaggio alle vanità. Ed io credo sia ora di cessare.
Là dove si parla, poi, di Gran Cordone, si conserva una vecchia, cattiva traduzione dal francese. Quando fu fatta la legge per l’Ordine della Corona d’Italia – e voi mi insegnate, onorevoli colleghi, perché fu creata quella onorificenza: fu creata per conciliare alla monarchia sabauda, quando essa estese il suo dominio in Italia, coloro che erano legittimisti o coloro i quali non erano entusiasti della unità italiana come era stata costituita – fu mal tradotto dal francese il regolamento della Legion d’Onore, per cui si tradusse cordon in «cordone», anziché «fascia». Sarebbe bastato, per evitare l’errore, copiare la costituzione dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, dove infatti si parla di fascia. Io ricordo che, quando venne in Commissione il disegno di legge, pregai l’onorevole relatore, che ha fatto prodigi di acrobazia per illustrarlo e per sostenerlo, di sostituire almeno quella parola, di non usare quel francesismo che da ottantadue anni ci offende e di chiamare, quindi, «grande fascia» quella che potrebbe essere una fascia, ma che mai è stata un cordone.
Se si volesse fare della archeologia, si potrebbe ricordare che i romani usavano il fascio e la scure: ebbene, anche oggi, negli Stati Uniti d’America, la moneta da 10 cents porta su una faccia un perfetto fascio con la scure. Anche le democrazie non rifuggono dall’usare il fascio e la scure!
Ma vediamo se sarebbe possibile dare a questa legge un’altra sostanza, per cui non fosse spiacevole, per un sovrano estero, l’essere insignito di una decorazione al merito della Repubblica, perché le repubbliche sono quasi sempre succedute alle monarchie, nel tempo moderno; e non credo che sarebbe fausto presagio, per un sovrano estero, essere insignito di una onorificenza intitolata ad un regime che lo dovrà sostituire.
Certo, è difficile proporre emendamenti a questa legge, perché o la si rifiuta in toto o la si rifà da capo a fondo. E dico subito che non sarei d’accordo con gli emendamenti proposti dall’onorevole Terracini, per molte ragioni che mi propongo di illustrare in sede di discussione degli articoli, se alla discussione si arriverà. Per rifarla, occorre proporre emendamenti sostitutivi in modo che la sostanza sia tutta mutata. Occorrerebbe, però, convincersi che sussistono esigenze particolari, per le quali una decorazione civile debba essere istituita; dovremmo vedere, allora, a quali esigenze si vorrebbe rispondere con una tale legge.
In sostanza, questo disegno di legge si preoccupa di queste benemerenze: benemerenze civili – le militari sono altra cosa e le decorazioni, le ricompense consistono anche nelle decorazioni al valor militare – filantropiche o di beneficenza, scientifiche e artistiche. Per queste ultime, vorrei interpellare il nostro insigne collega onorevole Castelnuovo e domandare a lui, che rappresenta più spiccatamente in questa Assemblea, con altri egregi colleghi che onorano le cattedre universitarie, le attività scientifiche, se veramente un ciondolo aggiunga qualcosa al professore sulla cattedra universitaria o all’accademico dei Lincei, delle Scienze, della Crusca…
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – In genere, ci tenevano molto ai ciondoli…
SACCO Italo Mario (Democrazia cristiana) – Ma io penso che ai meriti scientifici o artistici l’attribuire un ciondolo non sia un riconoscimento sufficiente o ambito.
Benemerenze civili. Si dice: vi sono i funzionari i quali sono mal pagati o, almeno, lo affermano e che, arrivati ad un certo grado, possono anche avere la legittima ambizione di ottenere un’onorificenza che li distingua. A me pare che vi si potrebbe riparare in un modo molto semplice. I funzionari dello Stato potrebbero portare un distintivo, se ci tengono, che indichi il grado; a mano a mano che progrediscono nella carriera, il distintivo potrebbe essere più vistoso ed appariscente. Io, infatti, mi domando: quando domani un Ministro od un Sottosegretario si troverà di fronte a dieci funzionari di grado VI ed avrà una commenda sola da distribuire, a chi la darà? A tutti e dieci non è possibile, la darà ad uno solo. Per quali meriti? Ed ecco allora che l’apprezzamento, la valutazione di certi meriti può essere fatta con un criterio tale da non riscuotere, certamente, il consenso generale.
Rimarrebbero le benemerenze filantropiche e per beneficenza. Noi abbiamo sentito recentemente lamentare in quest’Aula che, per essere dichiarati «Amici dei Lincei», occorre sborsare cinque milioni. Badate che questo titolo di «Amico dei Lincei», mediante lo sborso di cinque milioni, può essere un po’ avvicinato a quei titoli che si acquistano sborsando milioni o, quanto meno, centinaia di migliaia di lire a taluni di quegli ordini che si chiamano comunemente «fasulli» e che, pur tuttavia, svolgono una certa beneficenza in dati campi. Ora, se veramente le benemerenze filantropiche e di beneficenza possono e debbono essere riconosciute con una decorazione, con un distintivo, a me pare che il distintivo possa essere concesso in altra forma e, quindi, con altra sostanza che non sia quella prevista dal disegno di legge che discutiamo.
Vi è poi la categoria, più numerosa, di coloro che agognano l’onorificenza. Sussiste una certa vischiosità, una certa tradizione (e più vischiosità che tradizione). Basti pensare, per esempio, che Napoleone istituì l’Ordine della Corona Ferrea per gli italiani conciliati con il suo dominio e l’imperatore Francesco, dopo che Napoleone fu relegato a Sant’Elena, lo confermò. E ciò facendo, si dimostrò assai furbo, pensando che coloro che avevano lavorato per la Repubblica Subalpina prima e per il Regno d’Italia dopo, sarebbero stati disposti – e, purtroppo, lo furono quasi tutti o tutti senz’altro – a festeggiare l’unione della Lombardia e del Veneto sotto il dominio austriaco. Così accadde anche per i baroni dell’Impero. Napoleone li creò e la monarchia li conservò, ed i baroni continuarono ad inalberare quel berretto di velluto che Napoleone aveva loro conferito, per quella vischiosità, per quella vanità che fa sì che i titoli si conservino e si agogni di conservarli, per quanto è possibile.
E alle donne cosa daremo? Le faremo cavaliere o commendatrici?
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – E che male c’è?
SACCO Italo Mario (Democrazia cristiana) – Malissimo. Perché, siccome lo Stato laico ha abolito le commende quando ha confiscato i beni delle antiche abbazie già soppresse e, tramutate in commende ed abolendole, ha conservato soltanto il titolo fasullo di commendatore, io mi domando se vi sia ragione di conservare titoli che traggono origine dalle antiche abbazie – commenda e commendatore – che si riferiscono a cose estinte ormai da secoli! Quindi, non si potrebbe chiamare seriamente commendatrice una nostra onorevole collega, la quale potrebbe avere ottime benemerenze verso la Repubblica! E si farebbe ridere chiamandola cavaliera. (Commenti). Non so se gli onorevoli colleghi di quella parte (indica i settori di sinistra) sarebbero lieti di essere chiamati commendatori. (Commenti). Non vi è dubbio, di fronte alla Repubblica si possono avere delle benemerenze grandissime…
Sono molti che ambiscono i titoli messi in palio dal disegno di legge. Questo è il motivo per cui se ne sostiene da molti l’approvazione. Vi sono molti che hanno l’ambizione di diventare cavalieri e commendatori e non hanno modo di soddisfarsi. Ma basta comprare questi titoli con venti, trentamila lire; e che li comprino! A chi si può vietare di andare per la strada con le penne di pavone sul sedere o di portare sul cappello delle patacche, come quelle che portano gli studenti sul berretto goliardico? (Ilarità).
Ma, si dice, la Repubblica degli Stati Uniti non ha alcun ordine cavalleresco. Ciò non è perfettamente esatto; se rimanete quindici giorni in America, state certi che una patacca ve la danno! Chi non è Cavaliere del Lavoro o Cavaliere di Colombo? Chi non è, fra i nostri emigrati, Figlio d’Italia? E tutti quegli altri ordini cavallereschi, i Discendenti dei Pellegrini del Mayflower, i Figli della Rivoluzione, le Figlie della Rivoluzione, i Cavalieri di Pitia, i Cavalieri della Mistica Stella eccetera, ed ognuno con dei ciondoli molto più belli dei nostri… E chi vuole essere Commendatore, chi vuole essere Cavaliere, chi vuole essere Gran Cordone lo è: purché paghi o purché trovi chi gli regali la onorificenza.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Approvi anche l’Ordine di Totò!
SACCO Italo Mario (Democrazia cristiana) – Esattamente. Certe cose che sono condannate dalla storia cadono nel ridicolo: dopo l’Ariosto venne il Pulci, dopo Orlando Don Chisciotte e, se anche l’Ordine di Totò è un ordine ridicolo, non so come si salverebbe dal ridicolo un ordine cavalleresco che si creasse nel 1950!
La cavalleria è, nella storia, degna di grandissimo rispetto, anche nella storia più recente. Chi ha avuto l’onore di militare in una divisione di cavalleria nell’altra guerra, ha visto i nostri reggimenti di lancieri, di cavalleggeri, di dragoni, con i guanti bianchi e gli stivali lucidi caricare nel Friuli e morire tutti, tranne qualche diecina. Poche pattuglie si salvarono! Quella fu l’ultima epopea della cavalleria! Poi, ancora, l’ultimo sprazzo nelle steppe della Russia! Ma oggi la cavalleria è un ricordo; oggi, la macchina spiana il terreno, le bombe distruggono: non è più l’uomo che affronta a viso aperto il nemico, come se a danza e non a morte andasse, sia pure con quella ostentazione di bella temerarietà che è pure parte dell’eroismo guerriero. La cavalleria, ieri, era così.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – La cavalleria è nell’animo.
SACCO Italo Mario (Democrazia cristiana) – Esattamente. Ma non si conquista l’animo di cavaliere soltanto perché si porta una croce di cavaliere o si ha la fascia al collo.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – È l’uomo allo specchio.
SACCO Italo Mario (Democrazia cristiana) – La cavalleria riuniva, infatti, valori mistici e valori eroici. Cavalleria significava andare incontro al rischio della morte cantando. Questa era cavalleria ed anche ora si può essere, occorrendo, eroi. Ma credete voi che di coloro che vanno eroicamente a morire, contadini, umile gente, e di coloro che ci andarono, sia pure a cavallo, siano o siano stati molti destinati ad essere fatti cavalieri? Quanti? Nessuno, oppure pochi, pochissimi. Furono decorati al valor militare, taluni, ma non diventarono cavalieri della Corona d’Italia. Perché? Perché altro era il premio che loro spettava: il monumento al milite ignoto, se morti. Noi li abbiamo conosciuti e quando li abbiamo visti cadere sotto i nostri occhi, a cento, a mille, chi non li ha ammirati? Ci si sarebbe messi in ginocchio per ringraziarli, ma a nessuno venne in mente di dar loro la croce di cavaliere.
Si obietta che vi sono ordini cosiddetti fasulli. Vi sono, cioè, coloro che mercanteggiano certe onorificenze. Io rispondo che, se truffano, la truffa è un delitto da punirsi; se fanno un mercato doloso, c’è il Codice penale che provvede. Dicevo prima: chi vieta a chi va in visita nell’America del Nord di mettersi il diadema di penne di tacchino? E chi può vietare a taluni, che hanno questa debolezza, di mettersi una bella patacca di grande ufficiale di un qualche ordine dal nome stravagante? Quanta gente seria, nei secoli scorsi, figurò nei ruoli di certi ordini, come quello bizantino del Sacro Angelico Imperiale Ordine Costantiniano di San Giorgio o in qualcheduno di quei tanti altri ordini per i quali le litanie sono brevi ed il calendario è piccolo? Invocazioni alla Madonna, al Cristo, allo Spirito Santo, a San Maurizio, a San Lazzaro, a San Michele, a Santo Stefano, a Sant’Uberto, a San Silvestro, a San Gregorio, a San Giorgio, a San Gennaro, a San Luigi, a San Patrizio, a San Giuseppe, a San Ferdinando, a Sant’Ermenegildo, a San Lodovico, a Santa Isabella, a San Giovanni, a Sant’Andrea, a Sant’Alessandro, a Caterina, a Wladimiro, a Stanislao, ad Anna, ad Arrigo e chi più ne ha, più ne metta.
La notitia dignitatum del secolo IV ci dà le insegne delle varie legioni e coorti; di là vennero i distintivi, gli stemmi, le armi, i cosiddetti blasoni. Ed allora, ecco le decorazioni, per lo più in forma di croce. Ma, come dissi in principio, non la profaniamo oltre. Non confondiamola con le altre figurazioni, che possono essere un montone legato per la pancia, come per il Toson d’Oro, la più alta decorazione spagnola; ovvero con le corone di vario genere, con un cigno, con un orso, con un leone, con un elefante o con la fenice. Vi immaginate voi un Ordine dell’Araba Fenice? Eppure, vi fu un ordine ad essa intitolato e vi furono e vi sono quelli della Giarrettiera, del Bagno, del Sole, della Mezza Luna, del Leone o dell’Aquila variopinta ed altri ordini ancora che si richiamano ad insegne botaniche o zoologiche di vario tipo. Ma tutti o quasi tutti sono estinti.
Quando si trattasse di disegnare il tipo delle varie decorazioni, non sarebbe un problema molto semplice, perché, se si dovesse prendere l’emblema della Repubblica italiana con quella stella a cinque punte sopra una ruota, ci si potrebbe domandare: quella ruota vuol significare carrettiere o cavaliere? (Commenti).
Voce dal centro – C’è la Consulta Araldica!
SACCO Italo Mario (Democrazia cristiana) – Ma no, è stata abolita e, con essa, la blasoneria, l’araldica, la sfragistica, belle piccole scienze. La Consulta Araldica è stata soppressa – mi permetto di rilevarlo al diligentissimo relatore – tanto è vero che, nel bilancio dei Tesoro, le 10 mila lirette stanziate per le spese di liquidazione della Consulta, per evidente omissione non furono neanche sommate, cosicché nel conto c’è un errore di 10 mila lire. Si ritenne, forse, che non fossero neanche necessarie quelle 10 mila lire per mandare ai rigattieri la Consulta Araldica. Ne ho trattato nella mia relazione sul bilancio dell’Interno.
E poiché io ho accennato alla relazione su questo disegno di legge, debbo fare alcuni rilievi. In essa si accenna alla Medaglia Mauriziana, che si vorrebbe ancora conferire. Noi non siamo qui, certamente, a fare la critica dei Costituenti, che hanno deciso in questa materia; ma la Medaglia Mauriziana per dieci lustri di servizio militare si dà soltanto agli ufficiali già insigniti dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e non può essere conferita a chi non ne sia già insignito. Siccome, però, è cessato il conferimento di questa onorificenza, viene a mancare il presupposto perché possa essere conferita la Medaglia Mauriziana. Quindi, su questo punto almeno, si dovrà indubbiamente rivedere la formulazione del disegno di legge.
Si afferma, nella relazione, che in Italia manca il mezzo di riconoscere meriti particolari. Nulla vieta di pensare ad un modo di riconoscimento diverso da quello che sarebbe un ordine cavalleresco, ma nella relazione si afferma che le onorificenze oggi in vigore in Italia non sono di ordini cavallereschi; quindi, sono necessari ordini cavallereschi, se l’uomo è così fatto da desiderarle. E nella relazione si fa della psicologia su questo punto, psicologia che io posso seguire, ma non approvare. La vecchia esperienza dell’onorevole senatore Fantoni ha aderito a quella che è l’intima coscienza umana ed ha tentato di interpretare quelle che sono le esigenze di molti uomini: qualche cosa ci vuole, ha pensato, ed ha conseguentemente scritto. Io, però, ritengo che non sia un ordine, e tanto meno un ordine cavalleresco, quello che ci vuole per appagare gli uomini.
Lasciare insoddisfatte tali esigenze sarebbe, più che un errore, una omissione. Io ammetto che si possa e si debba riparare, specialmente per quel che riguarda i meriti scientifici. Nulla vieta di pensare che un corpo scientifico possa essere dal Governo incaricato di proporre coloro che, per meriti scientifici o artistici, debbano essere insigniti ed additati alla pubblica riconoscenza per i meriti acquisiti. Nulla vieta di pensare che possano così anche essere additati alla pubblica riconoscenza i filantropi, che danno per opere benefiche il loro denaro. Ma io ritengo che il rinnovamento del costume cui noi auspichiamo – sia pure con diverse visioni, sia pure con diverse mete – io credo che una più fine sensibilità di quelle che sono le esigenze morali del popolo italiano portino a concludere che, nel 1950, non si possa più attribuire efficacia educativa a ordini cavallereschi. Ché, se questo fosse nell’aspirazione di una minoranza del popolo italiano che è abituata a pensare i cavalieri e i commendatori in un ordine superiore a quello dei normali cittadini, non ci potremmo sottrarre al ridicolo di cui ci coprirebbero i giovani. Io credo fermamente, e non è illusione la mia, che la gioventù italiana non si lascerebbe sedurre dalla “chincaglieria” cavalleresca. (Approvazioni, congratulazioni).
RAJA Giovan Battista (Partito repubblicano) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
RAJA Giovan Battista (Partito repubblicano) – Stante l’ora tarda, propongo che il seguito di questa discussione sia rinviato a domani.
PRESIDENTE – Essendo stata presentata la proposta di rinviare a domani la discussione di questo disegno di legge, pongo in votazione la proposta stessa. Chi l’approva è pregato di alzarsi.
Essendo dubbio il risultato della votazione per alzata e seduta, si procederà alla votazione per divisione. I senatori favorevoli alla proposta di rinvio della seduta si porranno a sinistra e quelli contrari a destra.

È approvata.

Il seguito di questa discussione è rinviato.

Senato della Repubblica, seduta del 25 ottobre 1950

PRESIDENTE (Adone Zoli) – L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: «Istituzione dell’Ordine cavalleresco al Merito della Repubblica Italiana e disciplina del conferimento e dell’uso delle onorificenze».
È iscritto a parlare il senatore Gasparotto, ne ha facoltà.
GASPAROTTO Luigi (Gruppo misto) – Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, cercherò di fissare il principio adottato dalla Costituzione in materia di assegnazione di pubblici onori.
L’articolo primo della Costituzione dice che l’Italia è costituita in Repubblica democratica; l’articolo 3 che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale; l’articolo 37 che il Presidente conferisce le onorificenze della Repubblica. Non dice però quali, lasciando intatta la materia al Parlamento. La questione, dunque, è impregiudicata. A sua volta, l’articolo XIV delle disposizioni transitorie dice che i titoli nobiliari non sono riconosciuti ed i predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome.
Il Presidente della Commissione, Ruini, che è l’interprete più accreditato del testo della Costituzione, ha scritto a pag. 2.884 del resoconto dell’Assemblea Costituente: «Il riconoscimento è negato a tutti i titoli nobiliari. Nei riguardi di quelli concessi durante il fascismo, la disposizione è più grave, perché non consente, come è consentito per i titoli anteriori al fascismo, di usarne come predicato del nome». E continua: «Questa disposizione, dunque, vuol dire che non vi saranno più principi, conti e baroni, ma qualche indicazione di casato storico sarà incorporata nel nome».
Ebbene, quali sono state le conseguenze di questi chiari princìpi adottati dalla Costituzione? Che, malgrado la soppressione dei titoli nobiliari, quando il Governo deve nominare il suo Ministro degli Esteri, lo chiama il «conte Sforza»; quando deve nominare il proprio ambasciatore a Londra, lo chiama «duca Gallarati Scotti»; e che in tutte le riviste settimanali che si pubblicano nel Paese ‑ adesso se ne è aggiunta un’ultima che il suo editore chiama «la più grande rivista d’Europa» ‑ nei resoconti dei ricevimenti, dei thè, dei pich-nik [così nel testo, N.d.C.] non si hanno che nomi di principi, baroni, contesse e principesse. Questo l’effetto della Costituzione, pur così chiara nella disposizione contenuta nel citato articolo. Nemmeno a farlo apposta – e dico subito che farò distinzione, anche per buona pace del mio grande amico Casati, fra i titoli storici e quelli «presicci», che chiamo al pari degli uccelli che si prendono nelle reti; e, cioè, farò distinzione tra titoli vecchi e titoli nuovi – ebbene, dopo la pubblicazione della Costituzione, si è pubblicato niente meno il «Dizionario universale degli ordini equestri antichi e moderni», ove si esaltano non solo i vecchi ordini, ma si tiene conto della costituzione di ordini nuovi.
«Crollarono imperi – dice questo ampolloso proclama – monarchie, signorie, repubbliche, democrazie, autocrazie, le società politiche furono trasformate da cicloni tempestosi, i popoli vissero volta a volta reggimi discordanti e diversissimi, ma tutti sentirono la necessità di segnalare al pubblico elogio cavalieri, commendatori ecc.». Infine, in grassetto si dice: «nessun uomo ha mai provato dispiacere a sentirsi chiamare cavaliere o commendatore». (Commenti). A questo motto vorrei contrapporre, invece, quello di Giacomo Leopardi, che ha scritto: «l’uso dei titoli onorifici è segno di corrotta e bassa civiltà».
Ma non basta. Proprio in questi giorni, arrivano alle famiglie circolari a stampa di un Centro di ricerche storico araldiche e genealogiche e di consulenza araldica. Ne è arrivata una anche a me, il che – se fosse diretta personalmente – potrebbe anche essere giustificato… Poiché si può ritenere che uno che sia stato quattro volte Ministro abbia qualche antenato che sia stato alle Crociate… (ilarità). Ma si scrive alla famiglia Gasparotto, allo scopo di decorare la mia modestissima famiglia dello stemma araldico. E poi, onorevole Sottosegretario, gentile e diligente Sottosegretario, c’è un periodico che si pubblica sotto il nome Lo scoglio di Santa Rita, che annuncia la creazione di un ordine nuovo.
Signori, la Costituzione porta la firma del Presidente provvisorio della Repubblica De Nicola in data 27 dicembre 1947. Con essa abbiamo inteso di abolire tutti gli ordini cavallereschi. Ebbene, questo periodico dice: «Siamo lieti di comunicare anche ai lettori di questo periodico, e diamo loro notizia, della costituzione del Sovrano Ordine Militare Ospedaliero dei Cavalieri di Santa Rita, avvenuta in data 30 ottobre 1948», cioè successivamente all’entrata in vigore della Costituzione! Il che dimostra quanta serietà il pubblico abbia attribuito a questi alti princìpi fissati dalla Carta fondamentale dello Stato. E proprio oggi che, se non erro, è il 25 ottobre, c’è un giornale, un grande giornale quotidiano di Roma, che pubblica: «Il signor Cassinelli Francesco è stato insignito della croce di Cavaliere dell’Ordine dell’Aquila d’Este. Al neo Cavaliere vivissime felicitazioni». Congratulazioni a pagamento… Il che mi suggerisce un pensiero difforme da quello dell’onorevole Nitti: non è esatto che non sia questo il momento di trattare questa materia. È proprio il momento per finirla con queste truffaldine agenzie dispensiere di titoli a pagamento!
L’onorevole Sacco ha fatto un lungo elenco di questi ordini che volle chiamare fasulli. Io non intendo ripetere neppure una delle voci che sono uscite dalle sue labbra. Siamo davanti a ordini capitolari, capitolini, militari, ospedalieri, a cavalieri di tutti i paesi; ordini che vanno da Betlemme ad Antiochia, dall’Albania alla Normandia, dalla Carinzia all’Estremadura… Insomma, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, in tutto il mondo. E da questi centri di infezione partono continuamente distribuzioni di croci. Ecco un altro elenco, in aggiunta, non in ripetizione, a quello dell’onorevole Sacco: Ordine di S. Uberto di Lorena e Bar, Ordine della SS. Trinità, Ordine Militare e Ospedaliero di Santa Maria di Betlemme (del quale parlerò subito), Ordine della Concordia, Ordine Costantiniano, Ordine Militare di San Giorgio di Antiochia e della Corona Normanna di Altavilla, Cavalieri di Betlemme, Ordine di Gesù in Giappone (non ho mai sentito dire che questo grande Apostolo dell’umanità, davanti al quale tutti ci inchiniamo riverenti, abbia avuto a che fare con il Giappone; eppure, hanno osato creare un ordine di Gesù in Giappone!), Ordine di San Giorgio di Carinzia, e gli Equites Pacis, l’Ordine Capitolare dei Cavalieri di Colombo, l’Ordine Militare dei Cavalieri del Soccorso, l’Ordine Capitolare dei Cavalieri della Concordia. Basta, per carità! E questi ordini, che cosa fanno?
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – C’è anche l’Ordine dell’Infinito…
GASPAROTTO Luigi (Gruppo misto) – Sia. Questo sarà stato certamente suggerito da quei meravigliosi versi del Leopardi. Ebbene, uno dei principali di questi ordini, che ha per presidente una principessa di alto lignaggio che fu consorte di un generale italiano che ha illustrato il suo nome nella guerra, manda in giro di queste circolari, una delle quali niente di meno fu diretta ad un attuale Sottosegretario di Stato in carica, dove lo si invita ad esprimere quale onorificenza egli desidera, per riceverla come degna ricompensa al proprio valore. Ecco: «La preghiamo di ritornarci la domanda compilandola e sottoscrivendola ed indicandoci l’onorificenza preferita». Gli intendimenti, insomma, sono onesti. E nella scheda allegata si dice: «Io sottoscritto eccetera eccetera ho l’onore di presentare domanda perché sia annoverato tra i componenti dell’ordine col grado…(e qui è lasciato in bianco); fornisce il certificato penale (qui è cancellato; non si richiede, dunque, il certificato penale!) ed offre per le opere dell’ordine, per il grado di cavaliere o di dama non meno di 25 mila lire; per il grado di commendatore non meno di 60 mila lire; per il grado di grande ufficiale non meno di 100 mila lire». Questo è un ordine che si fregia di un nome illustre e storico; ma vi è subito dopo qualcuno che intende fare concorrenza ed offre prezzi ancora più onesti. Ed ecco che un certo Franco Segatino, professore in scienze occulte, in veggenza e psicoterapia, ed un certo Carlo Zimatore, Gran Maestro dell’Ordine della Bianca Croce e della Spada d’Argento, offre titoli a prezzi, onesti, a tutta prova: accademico fondatore, 10 mila lire; accademico benemerito, 5 mila lire e via di questo passo, abbassando ancora i prezzi per far concorrenza ai colleghi degli altri ordini.
Dunque, di fronte a questa indegna commedia che si sta recitando, noi non possiamo rimanere impassibili e, per questa parte, dichiaro di approvare l’accurata relazione dell’onorevole Fantoni. Ma, onorevole Fantoni, dobbiamo sopprimere tutti i titoli che non ricevono la loro origine da sigillo statale e, cioè, dall’autorità dello Stato. Dobbiamo sopprimerli tutti e quindi (ne parlo con grande rispetto) anche l’Ordine dei Cavalieri di Malta, che voi volete mantenere, perché se lo Stato deve dare una onorificenza, deve darla nel proprio nome e non deve subire la concorrenza di ordini privati.
Parlerò, dico, con grande rispetto del Sacro Militare Ordine Gerosolimitano di Malta, che dispone di una larga gerarchia di Cavalieri d’onore e di devozione, di Cavalieri di giustizia, di Cavalieri professi, di Commendatori professi, di Balì Gran Croce di giustizia. Voglio ricordare anche le sue prime origini gloriose, quando fu fondato dagli ultimi pescatori della Repubblica di Amalfi, che fu la più piccola ma, nello stesso tempo, la più audace e guerriera repubblica del suo tempo. Ricorderò che la sua primitiva origine assistenziale è diventata poi di carattere guerriero, quando ha partecipato, dopo il Mille, alle Crociate per la difesa della Terra Santa. Ricorderò anche che ha conquistato e occupato Rodi e da Rodi ha sviluppato il commercio con l’Oriente. Ricorderò poi che in tempi recenti, 1530, Malta da Carlo V è stata concessa, in feudo, ai Cavalieri dell’ordine stesso. Però, esaurita la funzione guerriera e politica, essa è rimasta una semplice istituzione ospedaliera, la quale quando, Napoleone veleggiando per l’Egitto, si è vista parare davanti la flotta francese, ha ceduto le armi ed è finita ingloriosamente.
Ecco perché Napoleone, diventato imperatore, ha detto che, di fronte a tanta viltà, era impossibile conservare il suo privilegio e quest’ordine finì per avere tre sedi: una in Inghilterra, una in Russia ed una in Italia, delle quali due sussistono ancora. Riconosco, ho detto, le benemerenze di questa istituzione. Recentemente, essa ha anzi armato 28 idrovolanti per il soccorso in caso di naufragio. Riconosco che essa ha diritto di sussistere come ente assistenziale; non le riconosco, però, il diritto di dare dei titoli di onore da associare al nome personale, perché questo privilegio non può essere riconosciuto dallo Stato italiano. Voi, onorevole Fantoni, dite nella vostra relazione che si tratta di ordine di carattere internazionale. Certo, ma tutti questi ordini, più o meno fasulli, sono internazionali! Vi ho già detto che mille sono gli ordini, citati in questo famoso dizionario, esistenti in tutto il mondo. E tutti cercano di debordare e di cercare i loro accoliti, sempre dietro pagamento, nei vari Stati, al di fuori dello Stato proprio. Ma un titolo di nobiltà e di cavalleria non può essere dato che dallo Stato sovrano e, siccome questi non sono Stati sovrani, non hanno diritto di mettersi a pari dello Stato in materia di distribuzione di pubblici onori.
Allora, affrontiamo senz’altro la questione di fondo. Si dice: all’estero si distribuiscono pubblici onori, l’Italia deve seguire le correnti straniere. Andiamo adagio. L’Austria non ha che un distintivo d’onore per meriti verso la Repubblica – si avvicina, con ciò, all’emendamento Terracini –; la Cecoslovacchia aveva l’ordine del «Leon Bianco», destinato agli stranieri, che, probabilmente, non esiste più; l’Etiopia ha quattro ordini; la Germania, con la costituzione di Weimar del 1919, ha abolito tutti gli ordini; la Turchia, diventata repubblica, li ha pure aboliti! È vero, come ha detto l’onorevole Nitti, che la Russia ha quattro ordini, ma non tutti sono militari. Correggo questa sua non esatta affermazione: infatti, l’Ordine della Bandiera Rossa e l’Ordine di Lenin sono bensì militari, ma l’Ordine della Stella Rossa e del Lavoro sono civili. La Santa Sede ha quattro ordini: l’Ordine del Cristo, l’Ordine dello Speron d’Oro, l’Ordine Piano e l’Ordine di San Silvestro. Ma la Santa Sede è Stato sovrano e noi non abbiamo titolo per contrastarli.
Vi sono invece, come ha detto l’onorevole Nitti, due Stati veramente democratici, la Svizzera e l’America, che non conferiscono onorificenze. Vi è di più, onorevole Nitti. La Svizzera non solo non ha ordini propri, ma vieta ai suoi cittadini di accettare onorificenze straniere! E notate che la Svizzera, pur essendo un popolo educato alla pace da lunghi secoli, è popolo guerriero, popolo che non avrebbe ceduto le armi durante l’ultima guerra di fronte ad un’aggressione germanica e, a tale fine, aveva preparato il ridotto del Gottardo per combattere fino all’ultima ora la sua battaglia per la difesa del suo territorio e nel quadrilatero del Gottardo aveva disposto vettovaglie e munizione per resistere per anni.
In America non vi è che un ordine conferito dal Congresso, la Revolution ad honorem, un ordine parlamentare che è corrispondente a quello che i francesi diedero a Clemenceau dopo la prima guerra europea. Infatti, allora, il Parlamento francese deliberò solennemente: «Le citoyen George Clemenceau a bien mérité de la Patrie». Questa è un’alta onorificenza! E questo ci ricorda Roma, che non dava titoli onorifici, ma ai vincitori delle sue battaglie offriva colonne ed archi di trionfo, ma mai pergamene di carta che costituissero elemento di decorazione personale.
Io, personalmente, sono contrario alla concezione di qualsiasi onorificenza. Bisogna, signori, elevare il costume nostro, purificare il popolo da questi inutili orpelli, perché non possiamo dimenticare che i titoli cavallereschi sono stati in passato compenso a prestazioni elettorali, ovvero soddisfazioni di vanità a profitto degli arricchiti. Io so che questa mia idea non è condivisa da molti della maggioranza. Perciò mi rivolgo ad essi per dire: se voleste fare qualche cosa per soddisfare queste ostinate ambizioni, avvicinandomi alla proposta Terracini – che però dovrebbe essere modificata nella forma – cambiate la sostanza del disegno di legge e fate sì che sia proposto un atto di alto riconoscimento a chi abbia fatto azioni di benemerenza verso la Patria, benemerenza di non facile formulazione.
Ripeto di accettare, nella parte negativa, la relazione dell’onorevole Fantoni, in quanto passa la spugna sopra tutti questi vecchi e brutti residui spagnoleschi, contrastanti con i princìpi democratici della Costituzione italiana e negando l’istituzione anche di titoli nuovi. Se, eventualmente, il Senato non dovesse essere di questo avviso, io allora mi auguro che il nuovo ordine, qualunque esso sia, non rappresenti il compenso alla vanità dei ricchi e premio al traffico degli agenti elettorali. (Applausi dalla sinistra).
PRESIDENTE – È iscritto a parlare il senatore Terracini, ne ha facoltà.
TERRACINI Umberto (Partito comunista italiano) – Signor Presidente, onorevoli senatori, io sono d’accordo con quanti, nel corso di questa discussione – breve discussione e che sarà ancor più abbreviata dalla manifesta intenzione di rinunciare alla parola da parte di molti che si erano iscritti ‑ hanno detto che il disegno di legge che esaminiamo non rappresenta nulla di urgente e di essenziale, né per l’opera di costruzione o perfezionamento della Repubblica, né nel quadro dell’attività nostra legislativa. Ma, d’altra parte, io mi permetto di chiedere a quei colleghi che ieri ed oggi hanno sollevato questa obiezione, che cosa mai essi abbiano fatto perché disegni di legge affrontanti problemi più urgenti e più essenziali per lo sviluppo della Repubblica fossero portati dinanzi al Parlamento.
Ma è questa una battuta di carattere puramente polemico e, pertanto, non la svolgo più a lungo. Comunque, questo disegno di legge c’è. Bisogna, dunque, che esprimiamo il nostro giudizio nei suoi confronti. Ma, per farlo, sono inutili le riesumazioni di carattere culturale e archeologico che ci sono state ampiamente propinate. Tutti lo sappiamo che cosa sono stati nel passato gli ordini cavallereschi e ci rendiamo perfettamente conto che essi sono ormai cosa superata e perenta. Ma quanto meno nel suo spirito, se non nella sua formulazione, questo disegno di legge non vuole o non dovrebbe proporre un ordine cavalleresco – che suonerebbe anacronismo – ma, bensì, un segno di distinzione e benemerenza da attribuirsi a quei cittadini che abbiano in modo particolare operato a favore della Repubblica e, cioè, del popolo italiano.
La sorgente di questa dignità è, quindi, completamente da quella delle insegne cavalleresche; ciò che comporta che la misura necessaria all’apprezzamento della nuova istituzione deve essere del tutto diversa, come diversi sono i criteri coi quali la si deve ordinare e poi, successivamente, far funzionare. Due sono i motivi o scopi, mi pare, che hanno suggerito questo disegno di legge.
Il primo – e riconosciamolo, il più urgente e il più avvertito, quanto meno da me – è la necessità di creare uno strumento che aiuti a sgombrare il campo dal pullulare patologico e truffaldino degli ordini cavallereschi di carattere apocrifo. Non mi soffermo su questo tema, perché è stato già largamente sviluppato e mi limito appunto a dire che per potere, con una certa probabilità di successo, ingaggiare la lotta contro questo fenomeno di corruzione, è necessario contrapporvi qualcosa di concreto. Non sarebbe bastevole una misura soppressiva. Ma, al vuoto conseguente, bisogna offrire alcunché che lo riempia. Naturalmente, qualcosa di completamente diverso e, nello stesso tempo, di analogo.
Il secondo motivo – il più serio, per quanto secondo nell’ordine delle sensazioni – è l’opportunità, anzi direi, la giustezza del concetto il quale vuole che vengano riconosciute le benemerenze dei cittadini che particolarmente si distinguono nel pensiero e nelle opere.
Onorevoli colleghi, non si tratta di soddisfare la vanità, poiché coloro che operano meritoriamente, con ciò solo già dimostrano di non nutrire vanagloria. Si tratta di additarli agli altri cittadini, così che divengano esempio per tutto il popolo.
Ora, il primo scopo, quello della distruzione degli ordini apocrifi, si potrà raggiungere grazie a questo disegno di legge, se l’Amministrazione e, precisamente, la polizia e la Magistratura l’applicheranno. È evidente che se, a legge promulgata, gli organi dello Stato incaricati di applicarla se ne disinteresseranno e se ne faranno beffa, come purtroppo accade per tante altre leggi, essa, per ciò che si riferisce ai suoi scopi di moralizzazione della nostra vita pubblica, resterà inutile. Con ciò si avallerà, a posteriori, la tesi di coloro che sostengono che è errore dare un po’ del nostro tempo al suo esame.
Comunque, ogni cittadino potrà concorrere a rendere operante la legge, anche se le autorità rimanessero insensibili ai suoi ordini – e cioè non procedessero di ufficio per le sue violazioni – e, precisamente, denunciando quanti non la osserveranno. E sarebbe sufficiente che ognuno di noi che in questa discussione ha denunciato l’illiceità del mercato delle onorificenze abusive, ripetesse di fronte alla Magistratura quanto qui ha riferito fra ieri e questa mattina, perché restasse garantita l’efficienza operante della legge in rapporto ai suoi scopi sanatori.
Per quanto si attiene al secondo scopo – quello di dare un segno di distinzione ai cittadini che hanno acquistato particolari benemerenze verso il popolo italiano – la sua soddisfazione potrà raggiungersi senza che la istituzione nuova traligni, ricreando nel Paese l’ambiente ammorbato e morboso proprio dalle vecchie tradizioni cavalleresche, a patto che si instauri nel centro della nostra vita nazionale e, cioè, nel Governo, un nuovo incorrotto costume morale, un metodo di direzione che si astenga dai facili mercanteggiamenti, dai mercimoni – adoperiamola la specifica parola! ‑ che ne hanno caratterizzato sempre, nel passato, l’amministrazione.
Possiamo attenderci che ciò avvenga? È possibile che, a partire da domani – dal giorno successivo alla pubblicazione di questa legge nella Gazzetta Ufficiale – il Governo e, cioè, i Ministri e, cioè, gli alti funzionari e, cioè, i gruppi che ne determinano l’azione e, cioè, i rappresentanti delle forze sociali dominanti rinuncino all’impiego di questo economico mezzo di acquisto di clientele e di adesioni?
Io sono d’accordo con coloro che hanno espresso al proposito seri dubbi e profonde esitazioni. E temo che, se il disegno di legge passasse così come è stato redatto, se non fosse completato da freni, da termini inibitori, da limiti ben precisi, rapidamente vedremmo il nuovo segno di distinzione trascinato nel fango dei mercanteggiamenti e spogliato completamente della dignità di cui inizialmente lo rivestimmo.
Farò ora alcune osservazioni su quanto ieri è stato detto dal nostro illustre collega senatore Nitti. Non è vero che negli Stati Uniti d’America non esistano ordini cavallereschi. Ma essi, in quel Paese, hanno carattere privato, così che quel particolare fenomeno morboso e deteriore, rappresentato dalle onorificenze non richiamantisi ad una autorità pubblica e collettiva, è peggiore che nel nostro Paese, addirittura allo stato cronico, perenne. Ciò, d’altra parte, non è che il riflesso, su questo piano, dei princìpi generali che reggono tutta la vita sociale e politica degli Stati Uniti d’America, dove, almeno a parole, trionfa la piena libertà degli individui, sia pure fra di loro collegati, di far ciò che meglio intendono e preferiscono, nell’assenza e nella indifferenza dei poteri pubblici. Troviamo, infatti, negli Stati Uniti l’Ordine dei Cavalieri di Colombo e l’Ordine dei Figli d’America con l’altro, correlativo e congiunto, delle Figlie d’America. Ed è difficile che un cittadino statunitense, che abbia di se stesso una certa considerazione, non si orni l’occhiello degli emblemi di questi ordini che hanno acquistato in quel Paese lo stesso valore che hanno in Italia i nastrini delle antiche onorificenze monarchiche o quelle più recenti, distribuite sotto la Repubblica. Il fenomeno è lo stesso, adeguato all’ambiente, ai princìpi informatori della vita di quel Paese.
GASPAROTTO Luigi (Gruppo misto) – Sono ordini privati.
TERRACINI Umberto (Partito comunista italiano) – Sono ordini privati, così come tutto in America è privato, fino ad oggi. D’altra parte, privati o pubblici, ciò non influisce sull’aspetto morale del fenomeno, che è quello che ha suggerito il richiamo ai Paesi stranieri. Anche nei riguardi dell’Unione Sovietica (e l’onorevole Gasparotto lo ha già fatto rilevare) l’affermazione dell’onorevole Nitti non corrisponde alla realtà. Non è vero che nell’Unione Sovietica non vi siano se non ordini militari e non si ottengano onorificenze se non per meriti militari. Ben al contrario, nell’Unione Sovietica le onorificenze hanno prevalentemente carattere civile. E solo perché la guerra le è stata imposta, come una triste ma gloriosa necessità, per la difesa del suo territorio, le onorificenze militari vi hanno acquistato rilievo.
L’onorevole Gasparotto non ha ricordato la massima onorificenza sovietica, quella per la quale il cittadino riceve il titolo di Eroe dell’Unione. Se noi la citiamo nei nostri ambenti, nei nostri Paesi, nelle nostre società abituate a considerare l’eroismo come fatto d’arme, come capacità di uccidere il maggior numero di nemici o di compiere gli atti più audaci sul campo, la maggioranza s’immagina l’Eroe dell’Unione Sovietica come qualcuno che, in combattimento, si è acquistato gloria. Eroi dell’Unione Sovietica sono, invece, coloro che, in tutti i campi dell’attività culturale, artistica, produttiva, scientifica, morale ecc., si sono affermati in modo eccelso, assicurando al popolo nuove possibilità di progresso nel confronto del passato.
Questo concetto dovrebbe stare alla base di ogni onorificenza che l’Italia, in quanto Paese democratico, si apprestasse a istituire. Ed è con questa persuasione che, in linea generale, io mi dichiaro favorevole alla istituzione di quella al Merito della Repubblica. Distinzione, dunque, destinata ai benemeriti verso il popolo e la Nazione e null’altro. Da qui discendono gli emendamenti che ho proposto. Innanzitutto, quelli più banali e semplici, che mirano a spogliare l’istituzione da tutti gli orpelli decorativi, antiquati ed umoristici conservati, invece, nel disegno di legge. Ad esempio, dei titoli distintivi dei gradi nei quali l’onorificenza dovrebbe essere concessa; della carica e del titolo di Cancelliere; della facoltà di concessione dell’onorificenza a beneplacito dell’autorità, in gradi eccezionali, fuori della serie già elencata. Ma gli emendamenti che ho presentato sono stati da me affrettatamente redatti e non soddisfano all’esigenza di garantire l’onorificenza contro le possibili deformazioni. Ne occorrono degli altri, più sostanziali, più immediatamente connessi alla struttura interna stessa del nuovo istituto, alle condizioni esterne in cui si svilupperà e alle istituzioni analoghe alle quali si contrapporrà. A quest’ultimo proposito, faccio la proposta che, all’entrata in vigore di questa legge, tutte le onorificenze oggi esistenti in Italia, anche se istituite dopo il 1946, siano soppresse, così che essa sola sussista. Evidentemente, non può esistere più di un metro per commisurare le benemerenze dei cittadini nei confronti della Nazione.
Questo concetto mi suggerisce una obiezione a quanto ieri è stato detto dal senatore Raja. Non è vero, a parer mio, che i ceti umili, come egli si è espresso, siano contrari alla esistenza delle onorificenze. Essi lo sono invece alla esistenza di onorificenze che determinino, per loro, una nuova umiliazione. Ed è ciò che è sempre avvenuto in Italia. Le decorazioni e le onorificenze della monarchia erano riservate esclusivamente ai ceti abbienti o a quei ceti che pur essendo, per le loro condizioni materiali di vita, non solo umili, ma umilissimi – come i funzionari di gradi inferiori – presumevano di trovarsi, in confronto delle larghe masse dei lavoratori, su un gradino sociale superiore. Non so quante insegne della Corona d’Italia siano mai state date ad operai o a contadini! E si ricordano, negli ambienti dei Ministeri, i casi eccezionalissimi degli uscieri nominati cavalieri dal capriccio momentaneo di un Sottosegretario o di un Ministro. (Interruzione dell’onorevole Conti). Le decorazioni tradizionali erano, sì, concesse largamente ai funzionari, a partire da un certo grado, ma rappresentavano un’eccezione per i dipendenti dello Stato che, nella loro categoria, costituiscono l’analogo sociale dei ceti umili. A partire da un certo momento, per questi ceti si crearono addirittura speciali decorazioni, come la Stella al Merito del Lavoro. Con l’esistenza di un’unica onorificenza, i cittadini italiani si troveranno, invece, posti tutti su uno stesso piano. E, se ne verranno riconosciuti degni, il grande poeta e l’operaio di fabbrica, avendo acquistato ugualmente titoli di riconoscenza nei confronti della Nazione – il grande poeta coi suoi versi alati e l’operaio con l’aumentata e migliorata produzione – riceveranno ambedue lo stesso onore. Allora ogni sensazione di umiliazione scomparirà fra i ceti sociali così detti inferiori ed essi non si apporranno, con animo ostile e sospettoso, contro la giusta assegnazione delle onorificenze ben meritate.
Ma, per raggiungere lo scopo risanatore da me indicato, non è sufficiente stabilire che una sola onorificenza abbia vigore nella Repubblica. Occorre anche limitare in un numero ben definito la quantità delle assegnazioni. Vi è un articolo, nel disegno di legge, che deferisce al Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dell’Ordine, la determinazione del quantum delle onorificenze da corrispondersi ogni anno per i singoli gradi. Ciò non basta per garantirci da un’inflazione di decorati. Io faccio proposta che nella stessa legge sia fissato il numero massimo di onorificenze sussistibili in ogni grado e mai superabile in nessun momento. Quando tale limite sarà raggiunto, occorrerà attendere che qualcuno degli insigniti abbandoni la terra, come è triste caso di ogni giorno e, con la terra, anche l’onorificenza, perché nuove assegnazioni possano essere fatte. Solo se l’onorificenza al merito della Repubblica sarà ristretta in un numero ragionevole e serio di insigniti – poche migliaia – si riuscirà ad impedire che essa divenga oggetto di mercato politico e le si conserveranno la dignità e l’importanza che possono renderla ambita dai cittadini, che la salveranno dalla degenerazione nel ridicolo.
E con questo concludo la parte generale del mio intervento. Devo ora giustificare l’emendamento che ho proposto, circa alcuni ordini cavallereschi per i quali la Commissione chiede un trattamento di eccezione nella norma relativa all’autorizzazione necessaria per esserne insigniti. Io chiedo che le onorificenze del Santo Sepolcro e del Sovrano Militare Ordine di Malta vengano trattate alla stregua di ordini stranieri. Per l’Ordine del Santo Sepolcro, mi sembra che nella relazione si affermi che esso è considerato dai Patti del Laterano, col che viene equiparato alle decorazioni concesse dall’Autorità vaticana che hanno libero corso in Italia. Corrisponde ciò al vero? Credo di no. D’altronde, la stessa relazione dice che l’Ordine del Santo Sepolcro è «sostanzialmente analogo ecc.». L’avverbio fa comprendere che ci troviamo di fronte ad una illazione e non ad una riproduzione di formula letterale; illazione, quindi, gratuita, a cui mi oppongo. L’Ordine del Santo Sepolcro, con tutta la gloria di cui la tradizione lo circonda, è certamente, nei confronti della Repubblica Italiana, un ordine straniero, che devesi pertanto subordinare alle norme generali dettate per gli ordini stranieri. In quando all’Ordine Sovrano Militare di Malta, l’onorevole Gasparotto ha già portato alcune informazioni che servono a lumeggiarne il carattere. Ma, onorevoli colleghi, mi si consenta di fornire anch’io al Senato, prima delle sue decisioni, alcuni elementi di ulteriore conoscenza. Il Sovrano Militare Ordine di Malta è oggi – io non mi interesso di ciò che fu nei secoli trascorsi – uno di quegli ordini che vendono sul mercato i loro titoli onorifici a prezzi prestabiliti. Ho qui la riproduzione fotografica di una corrispondenza intercorsa tra un emerito signore, bramoso di onorificenze, e il Grande Magistero del Sovrano Ordine di Malta. Le firme sono, nella riproduzione fotografica, bene identificabili. Leggo il testo di una lettera inviata all’insignito dal rappresentante dell’ordine: «Gentilissimo Commendatore, anzitutto voglio ringraziarla, in unione al confratello conte Thun – non è un italiano, quindi posso farne il nome…
BERLINGUER Mario (Partito socialista italiano) – È il Ministro degli Esteri dell’Ordine di Malta.
TERRACINI Umberto (Partito comunista italiano) – …per la squisita colazione che ella volle offrirci giovedì scorso. Assolto questo compito, passo ad intrattenerla di quanto fu oggetto della nostra conversazione. Ella si è offerto di proporci una ventina e più di nominativi di italiani residenti in Argentina e in Brasile, per la concessione della Croce di Grazia. Per quanto Sua Altezza il Grande Maestro dell’Ordine Sovrano già da lungo tempo sia venuto nella determinazione di usare il massimo rigore per l’ammissione in tale categoria, pur tuttavia, data la sua personalità, non abbiamo difficoltà di affidarle, come faccio, l’incarico di trovare nella Repubblica Argentina, come nel Brasile, un congruo numero di connazionali che si acquistano, con offerte, dei titoli per l’onore cui aspirano. Le unisco, a parte, un promemoria inerente alle condizioni di ammissione». Ed ecco le condizioni di ammissione: «Titolo di Cavaliere magistrale, pesos argentini 5.000, pari a lire italiane 500.000; Donato di prima classe – sono titoli stranissimi, evidentemente escogitati per variare l’offerta – pesos argentini 3.000, lire italiane 300.000; Donato di seconda classe, pesos argentini 2.000, lire italiane 200.000». E poi: «Nota bene. La somma deve essere versata in conto corrente in pesos – le lire non affidano! – presso la Banca della Nazione Argentina alla seguente indicazione: Grande Magistero Sovrano Militare Ordine di Malta, via Condotti, Roma».
Risulta chiarissimo, da questo documento, quale sia oggi il carattere di questo ordine cavalleresco. Nulla, pertanto, giustifica un trattamento di eccezione nei suoi confronti. Di volta in volta che un cittadino italiano sarà spontaneamente onorato di un suo titolo, ovvero se lo sarà comprato a prezzo di pesos o di altra valuta internazionale o nazionale, richieda alle autorità della Repubblica la facoltà di insignirsene. Ed io spero che le autorità italiane, poste in guardia da questo avvertimento, sappiano essere guardinghe, se anche giuste, nei confronti dei sollecitatori.
E con questo, onorevoli colleghi, ho detto tutto nel quadro della nostra discussione generale. Le mie parole testimoniano che, in linea di principio, non sono senz’altro contrario al disegno di legge, che accetto, cioè il concetto che occorre istituire un segno di riconoscimento delle benemerenze dei cittadini nei confronti della Repubblica. Ma dipenderà dal modo con cui verrà organato il disegno di legge, nel corso della discussione dei singoli articoli, se il mio voto finale potrà essere o no conseguente a questa mia affermazione pregiudiziale. (Approvazioni dalla sinistra).
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – Chiedo di parlare per fatto personale.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – Poiché ieri ero sofferente, potei dire solo poche cose. Vi è una questione cui ieri ho solo accennato: chi dispone delle onorificenze? Solo certamente il conte Sforza, perché, caso unico al mondo, l’onorificenza è stata creata da un solo Ministro, è mantenuta per cura di un solo Ministro. Perché, caso mai avvenuto, l’onorificenza deve essere conferita dal Ministro degli Affari Esteri, sia che si tratti di un letterato, di uno scienziato, di un cittadino italiano o straniero o di qualunque altra persona? È un fenomeno mai visto che l’onorificenza in generale, riguardante l’ordine cavalleresco in tutte le sue funzioni, sia conferita da un solo Ministero, il Ministero degli Esteri. Si è mai vista al mondo una simile banale assurdità, per cui la vanità ci porta al punto che il Presidente della Repubblica non è che un’apparenza, perché una cosa delicata, come la concessione della onorificenza…
PRESIDENTE – Onorevole Nitti, debbo richiamarla al fatto personale e pregarla di non divagare.
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – Vengo al fatto personale. Devo dire all’onorevole Terracini – anche questo è un fatto personale – che ha parlato per quello che rappresenta l’ideale comunista, che non si sa mai come si finisce, anche se si sa come si comincia.
L’onorevole Terracini sa cosa è successo ad un uomo che non fu comunista, in un Paese che non era comunista, la Svezia. In questo Paese, in un tempo non lontano, Napoleone mise sul trono un cittadino straniero, il generale Bernadotte. Ebbene, a Bernadotte capitò la più strana avventura che sotto un’altra forma può capitare, un giorno non lontano, anche ai nostri amici comunisti. Noi non sappiamo quale potrà essere il futuro, ma sappiamo soltanto che a Bernadotte capitò una strana avventura. Egli fu re di Svezia e fu re illustre, ma scontentò Napoleone, che pur lo aveva accettato, ma che poi capì che non gli era sicuro ed allora si dimostrò malcontento. Bernadotte, un giorno, morì…
BOCCONI Alessandro (Unità socialista) – Ma dove sta il fatto personale?
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – Glielo dico subito, se mi userà la cortesia di farsi dare una lezione di storia. Ora, quando Bernadotte morì, il suo cadavere fu imbalsamato e fu una terribile sorpresa trovare sul suo corpo un tatuaggio con una grande scritta: «Morte al Re»! Bernadotte, che era stato rivoluzionario, aveva da giovane voluto farsi tatuare, per ricordare sempre la sua avversione ai re. Ma non l’aveva più ricordata quando era diventato egli stesso Re. (Commenti).
Sembra che abbiate fretta. E come potete aver fretta di risolvere un argomento che non avete nemmeno definito?
Io dirò comunque, come ho accennato anche nel mio discorso di ieri, lamentando questa confusione di idee e di poteri, questa situazione assurda, che questo argomento non si esaurisce subito. Questa non è cosa seria e le cose comiche o di semplice vanità portano sempre lunghi strascichi. Noi non potremo, come hanno detto i nostri colleghi, non dare a tutti i proletari una onorificenza, poiché questo sarà forse merito del comunismo. Ad ogni modo, vi prego di una sola cosa: non facciamo ridere su di noi l’Europa intera, non rendiamoci ridicoli. Io vi scongiuro: non creiamo cose assurde. Vi supplico: non fate la ridicola farsa di creare le decorazioni, di rimettere tutto al Ministero degli Esteri e ad un solo Ministro, cosa che non è mai avvenuta in nessun Paese.
Ora, come vedete, il fatto personale mio è molto limitato, perché non volevo che si interpretasse male la mia proposta. Io non ho nemmeno malanimo per l’onorevole Sforza, che ha tanti meriti, ma che se ne attribuisce tanti e assai maggiori; non ho nemmeno per lui alcuna malevolenza. Sono disposto a fare tutte le concessioni che vi piace ma, vi scongiuro, non rendiamo ridicola l’Italia creando una decorazione comica che non esiste in nessun Paese, che non ha tradizioni, che dovrebbe essere conferita da un solo Ministro e… distribuita in precedenza senza legge.
L’onorevole Sforza ha detto al Presidente della Repubblica di non avere onorificenze da distribuire, mentre ne fa già uso. L’onorevole Sforza ha dato nuove onorificenze prima di adesso, prima che esistessero, prima che ce ne occupassimo e ne ha date a tante categorie di persone ed anche a tanti venerandi arcivescovi e vescovi. Meritatissime onorificenze, se volete; ma non si è mai visto un Parlamento che subisce in forma paradossale il ridicolo. Abolita la monarchia, ora che la monarchia non ha più come prerogativa sovrana il diritto di creare o abolire onorificenze, si è fatto peggio e, in nome del Presidente della Repubblica, si sono date, anche in questi giorni, delle onorificenze ad arcivescovi d’America con decorazioni che non esistevano ancora.
Per fare una decorazione occorre istituire un ordine e per fare un ordine bisogna fare una legge. Ora, leggi non ve ne sono, tanto è vero che noi stiamo ora discutendo se occorre fare la legge. Non sappiamo nemmeno se e quanti ordini saranno istituiti e quali. Da ciò viene questo mio richiamo semplice, cui ho soltanto accennato ieri. Se volete creare l’ordine, create prima di tutto la legge; ma io non voglio creare l’ordine e, quindi, non voglio creare la legge.
Non mi spiego la premura perché l’onorevole Sforza riconosce…
PRESIDENTE – Onorevole Nitti, io devo richiamarla al fatto personale. Lei ha chiesto la parola per fatto personale.
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – Signor Presidente, ho chiarito qual è la mia opinione, ho chiarito la situazione che si è creata, ho chiarito il pericolo e, poiché tutto non potrà procedere sommariamente e questa legge dovrà passare per la Camera dei Deputati, sarà di nuovo rimaneggiata e studiata, mi riservo allora col suo consenso, se mi permette, di parlare.
Intanto, un rinvio è necessario. Dobbiamo, prima di tutto, rendere conto di ciò che si vuole fare. Ora non ho altro da dire.
PRESIDENTE – È iscritto a parlare il senatore Carboni, ne ha facoltà.
CARBONI Enrico (Democrazia cristiana) – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il senatore Gasparotto, nel suo discorso riguardante questa materia, ha anche parlato dell’Ordine Sovrano di Malta ed ha fatto alcune affermazioni che, a mio giudizio, non sono esatte, né da un punto di vista storico, né da un punto di vista giuridico. Egli mi perdonerà se io mi permetterò di indicarle. Non sono Cavaliere di Malta e non lo diventerò mai. (Commenti da sinistra). Egli ha detto che vi sono molti ordini di caratteri internazionale e ha sostenuto che uno tra questi è l’Ordine di Malta e ha anche detto che il titolo di nobiltà e di cavalleria non può essere dato che dallo Stato sovrano. Quindi, ha riaffermato una teoria esatta, che soltanto la sovranità permette la concessione di onorificenze. Se non che io mi permetto di far presente che l’Ordine Militare di Malta non è un ordine internazionale: ha personalità giuridica internazionale, cioè è fornito di una sovranità che trova nel campo internazionale il suo riconoscimento, ed è questa la differenza con gli altri ordini.
È, cioè, un ordine che ha il diritto di legazione, attiva e passiva, che ha una bandiera propria e, come ha ricordato lo stesso onorevole Gasparotto, arma aerei come in tempi passati armò navi. Quindi, non si può dire che sia un ordine internazionale come gli altri: bisogna dire che ha una caratteristica sua propria, cioè quella di avere personalità giuridica internazionale. Anzi, dirò, mi permetta, onorevole Gasparotto, che è una di quelle pochissime eccezioni in cui, in campo internazionale, si è riconosciuta la sovranità ad enti che non abbiano i tre caratteri che sono propri dello Stato. Perciò l’Ordine Militare di Malta, pur non avendo territorio, è considerato un soggetto di diritto internazionale, è fornito quindi di una sovranità che supera largamente, in questo senso, quella interna dello stato, perché si affaccia in un campo molto più vasto ed è universalmente riconosciuta. Quindi, l’idea che soltanto chi sia fornito di sovranità possa concedere titoli cavallereschi ben si addice all’Ordine Militare di Malta, che ha una sua sovranità di natura internazionale. Quindi, mi pare che questo requisito, d’accordo in questo con l’onorevole Gasparotto, sia proprio dell’Ordine Militare di Malta.
Quanto poi alla seconda parte, che non è bene che si faccia concorrenza allo Stato, è una frase commerciale che al Presidente della Fiera di Milano è scappata di bocca, ma non può certo assurgere al grado di una argomentazione in questo campo.
Ed io vi dico: vogliamo essere noi, contro l’Ordine Militare di Malta, più rigidi di quello che non fu Napoleone? Non credo che l’onorevole Gasparotto voglia assumere questa funzione, né credo che il Senato voglia seguirlo. Bisogna, in sostanza, precisare che noi ci troviamo di fronte ad un ordine che ha una personalità giuridica, una sovranità nel campo internazionale e, come tale, è autorizzato a rilasciare onorificenze.
Ho finito. Penso che il Senato deciderà come meglio crederà di fare, se conservare o meno l’onorificenza dell’ordine che ho detto. Mi pareva, ad ogni modo, che una precisazione in questo campo fosse necessaria, perché, a mio avviso, non è stata esattamente delineata la figura dell’Ordine Militare di Malta nel modo come è stata qui descritta.
GASPAROTTO Luigi (Gruppo misto) – Domando di parlare per fatto personale.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
GASPAROTTO Luigi (Gruppo misto) – Io ho detto che quello di Malta è un ordine internazionale, tanto è vero (e non lo dico adesso) che ha nientemeno che tre legazioni all’estero. Ma per me, come per l’onorevole Terracini – in questa parte soltanto sono con lui d’accordo – ha diritto di emanare ordini, di costituire ordini cavallereschi solo lo Stato sovrano. E non vi è Stato sovrano senza territorio, ma soltanto Stato simbolico. Tanto è vero quel che dico, che la Santa Sede è diventata Stato Sovrano soltanto dopo il Concordato che le ha riconosciuto un territorio. (Commenti).
CARBONI Enrico (Democrazia cristiana) – Non è esatto questo! Lei ignora la teoria giuridica della personalità internazionale!
PRESIDENTE – È iscritto a parlare l’onorevole Conti. Ne ha facoltà.
CONTI Giovanni (Partito repubblicano italiano) – Io dirò pochissime cose e, soprattutto, ho preso la parola per fare una lettura, più che dire cose mie. Ho domandato se prima di me non dovesse parlare l’onorevole Cingolani, perché volevo fare una cordiale insinuazione: Cingolani desiderava forse parlare per ultimo, per la mozione degli affetti. Questo è il motivo della sostituzione del senatore Carboni ed io ho voluto fare il rilievo. (Ilarità).
Non sono d’accordo con chi ha detto che questa discussione non si doveva fare in questo momento, e non sono d’accordo perché credo che sia utilissimo che si discuta, prima che si cominci a rotolare sulla strada inclinata e quando si può, invece, evitare che il rotolamento avvenga.
Questa discussione può essere educativa per il Paese. Sarà diseducativa, se il Senato darà spettacolo che non desidero e non auguro. Se il Senato approverà questa legge, darà quanto meno la dimostrazione di non avere buon gusto, di non avere senso della misura e, ciò dicendo, mi riferisco un po’ a quello che ho detto prima a proposito di Cingolani. Deve esserci, sotto sotto, il proposito dei fautori di avere un buon mucchio di croci da cavaliere da distribuire in vista delle elezioni amministrative. Ho afferrato a volo la parola di un autorevole esponente della maggioranza. Egli spiegava che, insomma, queste onorificenze si daranno al bravo sindaco, al bravo consigliere comunale, al bravo amministratore… Aggiungo io, al fedele zelatore del partito. Così, su questa strada, andiamo velocemente verso la degenerazione più spaventosa che si possa immaginare. Ricordo, a questo proposito, quello che fu capace di fare il pretendente Umberto, alla vigilia delle elezioni del 2 giugno. Distribuì migliaia di croci di cavaliere e di commende, creò conti e marchesi, creò conte perfino un assistente di un nostro collega professore universitario, venti giorni prima delle elezioni. Queste onorificenze sono un’arma ignobile che i governi usano per corrompere. Usandola oggi, si corromperà sempre più il Paese ed io non voglio essere complice di corruzione.
Poiché una questione di costume è posta, bisognerà allargare la discussione e passare anche all’esame del problema del cerimoniale, il quale è regolato anche oggi da soprastanti del tempo passato, probabilmente dell’epoca napoleonica. Essi fanno sopravvivere una condizione di cose mortificante. Bisognerà che il Parlamento provveda esso a riformare il cerimoniale e che non siano i funzionari della burocrazia e diplomazia a manipolarlo. È deplorevole che noi viviamo proprio come si viveva in tempo di monarchia. Io sono il primo a riconoscere che alla monarchia era necessario un fastoso cerimoniale, perché bisognava presentare le cose con la pompa opportuna per mantenere in vita il mito della regalità. Di questo argomento parleremo a suo tempo e, se non ci sarà un’iniziativa del Governo, vedremo di prenderla, questa iniziativa, fra persone ragionevoli, in modo che sia eliminato lo scandalo degli eccessi dei pennacchi e delle forme protocollari.
È connesso col tema del cerimoniale quello dei titoli. La distribuzione dei titoli di Eccellenza è diventata addirittura deplorevole. Il titolo esce dalla bocca anche delle persone più corrette. Un giorno, dovetti dire qui all’amico Bubbio, il quale ci annunciava che ad una certa interrogazione avrebbe risposto «Sua Eccellenza il Ministro», che egli cadeva in un errore nel quale proprio lui, uomo così semplice, così buono e così amabile, non doveva cadere. Bisogna farla finita. C’è di peggio. L’altro giorno, ho avuto dal collega Lanzetta una notizia che è addirittura strabiliante. Chi ha detto quanto il senatore Lanzetta ha udito è da mettere in un cantuccio, come un ragazzaccio che non sa quello che dice. Un Sottosegretario, spiegando l’esistenza sui treni di uno scompartimento riservato ai Sottosegretari – siamo a questo punto nel nostro Paese – ha giustificato la disposizione come applicazione del principio della gerarchia. Onorevoli colleghi, dobbiamo eliminare questo andazzo. Siamo di fronte ad abusi e ad arbitri. Nel nostro Paese vigono le vecchie regole, che potevano valere nel passato, ma siamo in un tempo nel quale bisogna sforzarsi di correggere tutti gli usi e i costumi che sono propri di altri tempi politici. Credo che la stessa monarchia, se sopravvissuta, si sarebbe piegata a liberarsi da tante forme. Può dirsi che si erano dati i primi colpi alla tradizione. Ricordate che Bissolati, invitato in occasione di crisi ministeriali, non volle recarsi al Quirinale non potendo piegarsi a indossare un palamidone. Si cominciò, così, ad affermare l’esistenza di un problema nuovo nella vita di un popolo del ventesimo secolo.
Vediamo di non commettere errori, onorevoli colleghi. Lo dico a voi della così detta maggioranza. Sono convintissimo che tra di voi ci sono uomini di serietà assoluta, ai quali ripugna questa legge. Non commettiamo questo errore, che farebbe nel Paese un’impressione deleteria. Io mi spiego benissimo l’atteggiamento dei comunisti. Essi devono sostenere il principio: in Russia ci sono decorazioni, ci siano dunque anche in Italia. Ma in Russia c’è un imperatore vero e proprio, con gli eredi e con tutte le forme di una magnifica monarchia. In Italia non c’è ancora democrazia, perché questa benedetta democrazia cristiana la Repubblica non la vuole formare, non la sente, non la capisce. Le eccezioni non mutano la realtà. Lo so, tra voi sono repubblicani convinti. È qui vicino l’amico Bo. È un repubblicano franco e leale, che dice volentieri di essere repubblicano, ma per molti tra di voi questa parola, Repubblica, è una parola che non si vuol pronunziare. Ho notato che, nei suoi discorsi, il Presidente del Consiglio parla sempre di democrazia, della gloriosa democrazia, ma non una volta egli ha detto «Repubblica».
SANTERO Natale (Democrazia cristiana) – Ma senza Repubblica non c’è democrazia.
CONTI Giovanni (Partito repubblicano italiano) – Bravo Santero! È proprio esatto, ma decidetevi tutti, voi democristiani, a dirlo francamente.
Ma passiamo all’argomento in esame, più strettamente. Dico più strettamente, poiché anche quanto ho detto finora attiene all’argomento. Parliamo ora delle così dette patacche. Non arrivo a capire questo proposito di introdurre un altro elemento di perdizione nel nostro Paese. Ricordate – e qui, davanti a me, c’è l’onorevole Orlando, che mi fa tanto piacere di vedere…
ORLANDO Vittorio Emanuele (Gruppo misto) – Il piacere è reciproco!
CONTI Giovanni (Partito repubblicano italiano) – Ricordate – dico agli anziani – l’Avanti! di Bissolati, che fu il primo direttore di quel giornale? L’Avanti! intitolò il bollettino delle estrazioni del lotto «Tassa degli imbecilli». Anche per le onorificenze si tratta di una tassa sugli imbecilli. Ma in Italia, ormai, di queste tasse ce ne sono tante: tutte le settimane leggiamo che qualcuno ha vinto una quantità di milioni. Gli italiani, piano piano, finiranno per non capire più che al mondo si vive lavorando, facendo qualcosa per tirare avanti. Essi ormai pensano che si deve vincere al lotto per forza, a tutti i costi. Aggiungiamo al lotto anche la lotteria delle croci di cavaliere dello Stato! Lo Stato dice: «Voi, mercanti di croci di cavaliere, andatevene. Ora faccio io questo commercio!». Si tratta, appunto, di un commercio finanziario e politico, soprattutto politico. Lo Stato dice che provvederà lui; ma chi è lo Stato? Vedo qui l’onorevole Andreotti. Chissà quante croci di cavaliere distribuirebbe! Anch’egli pensa che alla richiesta di una croce di cavaliere non si può opporre un rifiuto. Ma Andreotti è uno. Al Governo ci sono giovani e vecchi che hanno attitudini spiccatissime per queste concessioni.
Ma io spero che allo scandalo delle croci non arriveremo. Mettiamoci, onorevoli colleghi, su un terreno di serietà, e non voglio dire la parola che in Inghilterra non è affatto disprezzata, cioè la parola austerità. Sarebbe tanto bene che ci mettessimo su questa strada per tanti altri motivi: per esempio, per motivi economici. Noi siamo un popolo di scialacquatori. In Italia, nelle città, si lotta non per il necessario, ma per il superfluo, tanto da credere che mai giungerà un momento nel quale si dirà che abbiamo migliorato le nostre condizioni, perché in Italia un miglioramento non si riconoscerà mai.
Gioverà un esempio. Quanti, in Italia, riconoscono che noi godiamo tutta la libertà possibile ed immaginabile? Quanti ricordano e ripensano all’inferno dal quale proveniamo? Il miglioramento, per gli italiani, è sempre quello che deve venire. Quando l’Italia sarà un Paese in cui la disoccupazione sarà ridottissima, in cui le terre saranno tutte coltivate, quando il Paese avrà una faccia nuova, ebbene, anche quel giorno si dirà che non abbiamo fatto niente. Le generazioni nuove, naturalmente, non sanno quali e quanti furono i patimenti delle generazioni passate. Basta osservare che rinasce perfino il fascismo, fatto addirittura inconcepibile, ma che si spiega, se si considera che i giovani non conoscono neppure le cronache della vita italiana del 1918, 1919, 1920, 1921, 1922 e quelle e degli anni seguenti; non conoscono le liste dei lutti e dei dolori del popolo italiano. Io vorrei che il Senato riflettesse su queste cose. È inutile, onorevole Cingolani, che lei si prepari a tenere un discorso… caldo ed eloquente.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Se potessi, le assicuro che rinunzierei a parlare: farebbe più piacere a me che a lei.
CONTI Giovanni (Partito repubblicano italiano) – Farebbe bene e vorrei, per i suoi seguaci, una rinunzia a sostenere questa legge.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Che ne sa lei di quello che io dirò?
CONTI Giovanni (Partito repubblicano italiano) – Comunque, mi fa piacere che vi sia una certa intenzione di revocare entusiasmi. Ho detto che ho preso la parola più che per parlare io, per far parlare un uomo di grande autorità, un uomo del quale dobbiamo tener presente il pensiero, non per la magistratura che riveste, ma perché è uno dei nostri maestri. Io, per conto mio, sento di aver avuto come maestri, nella mia giovinezza, anche Nitti, Orlando ed Einaudi.
Nitti mi mise sulla strada buona, quando – avevo diciotto anni – stavo per precipitare nella retorica e nel ridicolo della politica dei ragazzi che fanno chiasso.
Einaudi ci ha dato insegnamenti che devono essere ricordati e tenuti presenti, se vogliamo avviarci alla formazione di un’Italia seria. La parola di Luigi Einaudi, in questo momento, può riuscire utile.
In un volumetto pubblicato nel 1922 da La Voce di Firenze, intitolato: «Gli ideali di un economista», Einaudi raccolse i suoi articoli sul Corriere della Sera, sulla Rivista di Milano e su Minerva. Uno è di interesse specifico e serve in modo particolare per le nostre deliberazioni. Pubblicato su Minerva del 1° marzo 1918, fu riprodotto nel libro dopo un occhiello significativo: «Regole di galateo» e con il titolo: «Torniamo al Signor». Se permettete, io leggerò brani dello scritto affinché restino negli atti del Senato.
Scriveva, dunque, Luigi Einaudi:
Il giorno 4 febbraio era diramato da Versailles il seguente comunicato: «Dal 30 gennaio al 2 febbraio, il Consiglio superiore di guerra, sotto la presidenza del signor Clemenceau, ha tenuto sette sedute plenarie a Versailles. Erano presenti, per la Francia, il signor Clemenceau, il signor Pinchon, il generale Foch, il generale Pétain, il generale Weigand; per la Gran Bretagna, il signor Lloyd George, Lord Milner, il generale sir Robertson, il Feld Maresciallo sir D. Hais e il generale sir H. Wilson; per l’Italia, il signor Orlando, il barone Sonnino, il generale Alfieri e il generale Cadorna; per gli Stati Uniti, il generale Bliss, il generale Pershing».
Se quel comunicato, invece che da Versailles, fosse stato diramato dalla Stefani e da Roma, innanzi al nome di ogni Ministro sarebbero state messe le sacramentali S. E. (Sua Eccellenza) e innanzi al nome di ogni generale i titoli cavallereschi di cui sono forniti.
Accadde non di rado leggere, nei rendiconti dei pranzi ufficiali offerti dal Governo italiano ai Ministri alleati, che i Ministri italiani cominciavano i loro brindisi con la parola che da noi, per la normale lunga abitudine, suona naturale – Eccellenza – come se questo titolo competesse ai Ministri in Francia e in Inghilterra. E nei giornali italiani, quando si parla del signor Clemenceau e del signor Lloyd George, per lo più si prefigge al nome la sillaba On. Quando, addirittura, non si qualifica di Lord qualsiasi Ministro inglese, anche se si chiama Lloyd George o Asquith e come se non fosse, per un premier liberale inglese, un punto di onore il non accettare di far parte della Camera dei Lords. Ho voluto fare queste osservazioni, che solo in apparenza paiono formalistiche, perché mi sembra che i maggiori contatti con l’estero provocati dalla guerra presente dovrebbero almeno, tra gli altri, produrre questo risultato: di ricordare agli italiani come essi, inavvertitamente, nei sessant’anni di vita nazionale siano scivolati in uno spagnolismo di linguaggio e di titolature quale non si usa forse in nessun paese d’Europa e quale non si usava un tempo negli antichi Stati italiani, e di persuaderli come questo linguaggio altisonante, da basso impero, contrasti vivamente, e non possa non produrre una impressione, direi quasi, di grottesco, negli amici nostri appartenenti alle Nazioni di civiltà occidentale. Soltanto in Italia, confrontando, si intende, le nostre abitudini con quelle francesi, inglesi, nord-americane, si usa nel discorso e nello scritto indirizzare la lettera, la relazione stampata ai Ministri con la formula Eccellenza. In Francia, si dice o si scrive semplicemente Monsieur le Ministre. In Inghilterra, sempre Sir nel parlare; Sir o Mister, a seconda della qualità della persona, nello scrivere. Negli Stati Uniti, sempre Sir nel parlare e Mr. nello scrivere. Negli Stati Uniti, il signor Wilson medesimo è semplicemente il signor Wilson e, nella relazioni ufficiali, Mr. President. Tutto al più, coloro che vogliono dare un titolo nello scrivere al loro Presidente lo chiamano Dottor Wilson, dal suo titolo accademico. Dire Sua Eccellenza Wilson, o Sua Eccellenza Lloyd George o Sua Eccellenza Clemenceau sarebbe una stravaganza. Soltanto in Italia si usa prefiggere al nome dei deputati alla Camera il titolo di Onorevole.
Ancora un brano dello scritto di Einaudi:
Soltanto in Italia si usa, nel parlare e nello scrivere, perfino nello scrivere, perfino nel semplice saluto, indirizzare il discorso o le lettere agli insigniti di onorificenze cavalleresche con le parole Cavaliere, Commendatore. Se da noi non si è ancora giunti a salutare taluni col titolo di Cavaliere ufficiale o Grande Ufficiale o Cavaliere di Gran Croce, ciò è accaduto soltanto perché la pronuncia di questi titoli è un po’ lunga e fastidiosa. Non manca, però, la buona volontà di fare qualche progresso su questa via, tanto è vero che nello scrivere, i puristi delle titolature già usano notare sugli indirizzi un Cav. per Cavaliere semplice, ed invece un Cavaliere, per esteso, per quello di Gran Croce. Alla brava gente che si compiace nel sentirsi salutare per via con i titoli di cavaliere e di commendatore può far dispiacere, ma sta di fatto che questa abitudine spagnolesca – e forse io calunnio la Spagna – dei saluti in termini cavallereschi è una peculiarità tutta nostra.
Sarebbe tempo che si tornasse, dappertutto, nelle costumanze ufficiali e sociali, nel parlar e nello scrivere, all’antica semplicità, e abbandonassimo le recenti non lodevoli abitudini di linguaggio arlecchinesco, che devono essere cagione di stupore non piccolo ai nostri alleati, usi a vivere in paesi dove la democrazia nuova non ha fatto dimenticare le antiche forme del vivere aristocratico, che vuol dire fine e semplice.
Non devo io rilevare l’eloquenza dello scritto che ho letto. Il discorso di ieri del Presidente Nitti è una eco delle parole sagge di Luigi Einaudi. Ed è naturale: la mentalità di Einaudi e la mentalità di Nitti sono vicinissime. Furono condirettori di una delle più belle riviste italiane, «La Riforma sociale». Ebbene, onorevoli colleghi, se noi abbiamo così autorevole avviamento ad una soluzione saggia di questo problema, perché vogliamo discostarcene? Perché vogliamo permettere lo sproposito di questo disegno di legge? Badate, pensate alla fiera di domani, allo spettacolo di gente che si affannerà dietro a deputati, a senatori e a ministri, dietro a pezzi grossi di ogni razza per avere la croce o la crocetta; pensate alle meschine clientele che si costituirebbero! Pensate, insomma, a tutto quello che noi prepareremmo con le nostre mani, approvando il disegno di legge.
Ho ascoltato il discorso dell’onorevole Terracini. Egli è un benedett’uomo (ilarità), il quale schematizza tutto, rende tutto in linee geometriche. Quando ha segnato alcune figure geometriche sul foglio, crede che quelle rappresentino la realtà. Forse anche il comunismo dell’onorevole Terracini è una figura geometrica: egli lo vede attraverso la sua immaginazione, in punti e in linee, tutto sistemato. Si fa la legge e si crede di accomodare tutto. Non si pensa ad una cosa proprio importante, che anche le leggi le maneggiano gli uomini. Chi, infatti, distribuirebbe le croci e gli accessori?
L’onorevole Nitti si è preoccupato dell’azione probabile del conte Sforza. Povero Sforza! Ci sono in Italia tanti altri che valgono in questa materia molto più di lui. Di croci di cavaliere si farebbe, certamente, una distribuzione progressivamente crescente. Voglio proprio io ricordare le parole argute di Vittorio Emanuele II: «A nessuno si nega un sigaro e una croce di cavaliere». Questo insegnamento dovrebbe ricordare almeno i monarchici che sono qui dentro, a meno che non ce ne siano più! (Ilarità).
Questo insegnamento bisogna tenere presente; bisogna, insomma, tenere presente la indifferenza di certi uomini che consideravano la concessione di croci una regalìa di loro spettanza. Ci vogliamo mettere su una strada diversa, onorevoli colleghi? Oppure, vogliamo che alla corruzione italiana, che alla crisi del senso morale, alla degradazione della coscienza pubblica, per la quale tutto è arrembaggio, tutto è corsa al fortuito arricchimento, si opponga una resistenza? Ho sentito parlare di questo problema come di una cosa da niente, ne ho visto sorridere uomini che credevo di qualche serietà. No, noi dobbiamo preoccuparci di certe aspirazioni, dobbiamo essere attenti, perché la boria è un veleno che può uccidere, che può rovinare ancor più il nostro povero Paese, specie nella sua parte meno elevata, che è quella che più ambirebbe alle così dette onorificenze.
Terracini ha parlato di contadini, di operai che potrebbero avere la croce. Ma che importa al contadino, all’operaio, della croce! La croce che il contadino desidera è un piccolo campo con la casetta; la croce che vuole l’operaio è il lavoro continuo, una casa ed un vestito per sé e per i suoi figlioli.
TERRACINI Umberto (Partito comunista italiano) – Hai votato per il progetto di stralcio e così la terra il contadino l’avrà!
CONTI Giovanni (Partito repubblicano italiano) – Certo, pochina magari, ma l’avrà. E, poi, meglio che l’abbia lui che non lo Stato al quale la vorresti dar tu.
Teniamo presenti le considerazioni che sono esposte contro la legge, onorevoli colleghi. Vogliamo che la persona del deputato, del senatore sia sempre di più diminuita nella considerazione del Paese? Gli vogliamo dare quest’altro incarico umiliante? Vogliamo prostituire ancora senatori e deputati ed esporli all’inseguimento di questo o di quell’arricchito che, avendo la figlia fidanzata col nobile spiantato, vorrà una croce di cavaliere per nobilitare la situazione? Facciamola finita con questo spettacolo! Sarei felice se, da parte del Governo, venisse il bel gesto del ritiro del disegno di legge. Se fosse stato presente l’onorevole De Gasperi, lo avrei pregato di ritirarlo seduta stante. È tanto brutto, è così dimostrativo di cattive intenzioni. Smentitemi, signori del Governo, ritirando il vostro progetto di legge! (Applausi).
PRESIDENTE – È iscritto a parlare il senatore Cingolani. Ne ha la facoltà
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Onorevoli colleghi, ho ascoltato i discorsi qui pronunciati, escluso quello dell’onorevole Terracini, perché, per l’adempimento di un doloroso dovere, ho dovuto assentarmi dall’Aula. Ma so che Terracini le cose le prende sempre seriamente e non fa mai delle affermazioni fuori posto, né tratta mai con sciatteria problemi anche minimi. Io mi permetto di prendere seriamente l’adempimento del mio dovere, come democratico e come repubblicano. Io ho avuto sempre il concetto che la democrazia dovesse aspirare, non ad un livellamento meccanico, ma ad un livellamento morale, intellettuale, economico, tra tutti gli uomini; ma non un livellamento in basso, un livellamento in alto. In parole povere, per me democrazia non è togliere il colletto a chi c’è l’ha, ma metterlo a chi non c’è l’ha, vale a dire fare opera che è politica, che è sociale, che è morale, per innalzare quei ceti e quelle classi che da secoli si sono trovati in condizione di minorità, di fronte a classi che hanno diretto finora la vita pubblica e hanno dominato la vita economica.
È un grande sforzo questo, è un grande sforzo al quale non si sottraggono nemmeno quei ceti che formano la classe media, contro la quale ha violentemente inveito l’onorevole Raja. Oggi certamente la borghesia, non solo italiana, è in uno stato di profonda crisi. Il fatto è che dal suo seno si esprimono elementi dirigenti e capaci di compiere azioni di formazione di coscienza anche di partiti che agiscono sotto la denominazione di partiti operai, con un atteggiamento che possiamo chiamare di sinistra, di una élite sensibilissima alla evoluzione sociale, che guarda molto lontano. Io credo che, per un processo di esosmosi e di endosmosi, possono venire alla superficie, da tutte le classi, gli uomini migliori e più preparati. E il risultato sarà questo: di una uguaglianza in partenza, nel senso che coloro che hanno in sé la capacità di sviluppo della loro intelligenza e più squisito il senso di responsabilità, saranno chiamati dal consenso fiducioso dei loro amici a posti, non di dominio, ché la parola è brutta, ma a posti di indirizzo, di responsabilità.
Noi non viviamo nel mondo della luna, ma in una tribolata associazione di uomini che ha subito tutte le esperienze della storia e che ne portano in sé, di generazione in generazione, le cicatrici. E su questo si basa il mio ottimismo: malgrado alti e bassi, l’alternarsi di luce e di ombra, sempre l’umanità sale verso un piano più alto, da cui può aversi una visione più completa della vita e della storia. È una specie di ideale, di Weltanschauung applicata fiduciosamente a quello che è il cammino dell’umanità. Io credo nel progresso; non nella frase solita del progresso indefinito, ma credo che la esperienza delle generazioni passate abbia sempre ispirato gli uomini di buona volontà a cercare di guardare più in alto e più lontano.
Se guardo a quelle che sono le forme esterne, diciamo così, di questa fiducia, io trovo che anche esse si vanno perfezionando: esse perdono di faciloneria e si vanno adeguando ad una concezione più alta della dignità della persona umana. Quando io noto, per esempio, il garbo con cui l’Ambasciatore di Russia ci invita a festeggiare il 7 novembre nella sua ambasciata e noto con compiacimento questo elegante biglietto di invito con lo stemma rilevato in oro, redatto con perfetta formula diplomatica, io trovo che l’Ambasciatore compie un’opera di intelligente adeguamento a questa funzione nobilissima di rappresentante di una repubblica che vuole essere di lavoratori. Ma i lavoratori di quella Repubblica hanno vigile su di sé l’occhio dello Stato (non faccio qui la critica al mondo comunista), allo scopo di premiarne le manifestazioni che siano in qualche modo inerenti alla politica russa. Quando ho letto l’elenco delle 28 onorificenze e decorazioni che la Repubblica dei Soviet dà ai suoi cittadini, ho dovuto riconoscere che si tratta di una strumentalizzazione, diciamo così, psicologica di enorme valore, perché è vero che l’abito non fa il monaco. Ora, quel rispetto della forma che è proprio inerente alla nostra personalità non può mai essere dimenticato.
Io adesso mi voglio porre dal punto di vista, per esempio, di voi comunisti e dei russi: l’operaio che ho visto anche nelle sale dell’ambasciata (perché l’invito l’accetto e vado molto volentieri a questi ricevimenti, ad osservare un mondo estremamente interessante), portava con fierezza le sue decorazioni. Allo stesso modo, del resto, ho visto portare con fierezza, da operai italiani, la Stella del Lavoro; ho visto un tecnico, un dirigente agricolo, che aveva fatto sessanta anni di lavoro intelligente nella sua tenuta, portare la Stella al Merito Agricolo, come ho visto nella Francia repubblicana portare con orgoglio le palme accademiche e le varie decorazioni fiancheggiatrici di quella che è la grande e luminosa Legion d’Onore. Io trovo che questo, in qualche modo, giova a quello che tutti vogliamo: noi vogliamo essere tutti migliori, nel senso non soltanto dell’interiore bontà, ma nel desiderio unanime che tutti abbiamo, tanto noi che i nostri compagni di vita e di lavoro, anche di fronte ad un mondo piatto, abulico ed opaco, di essere, anche visibilmente, animati da un senso di alta umanità, che deve riempire la vita di ciascuno di noi. Piccole cose e grandi cose: l’una vale l’altra.
Quando mi sono trovato delegato italiano alla Conferenza internazionale del lavoro di Parigi nel 1945 – io ero vice capo della delegazione, mentre capo della delegazione era il Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri onorevole Negarville – ho inteso con compiacimento l’onorevole Negarville fare una osservazione, cordiale se volete, ma pur sempre un’osservazione, ad un altro nostro collega, non del suo partito, ma di un partito alleato al suo, perché la sera ai ricevimenti, invece di mettersi la giacca scura, blu o nera, veniva in giacca grigia. Piccole cose … (interruzione dell’onorevole Tonello).
Caro Tonello, il mondo dal quale tu vieni e che fu anche quello della mia giovinezza, aveva l’orgoglio di una certa sciatteria. C’era una specie di uniforme di giovinezza sciattata, grandi cravatte svolazzanti, cappelloni sgualciti sulla destra, giacche sciamannone. Ma questo avveniva al di fuori di una espressione formale, estetica, di quelli che erano i riformisti del vostro Partito. Chi non ricorda i vostri compagni defunti? Il tight di Modigliani e degli altri? Con questo non voglio dire che, adesso, dobbiamo entrare tutti in tight al Senato. Voglio soltanto dire che ciascuno dava a sé quella dignitosa forma estetica che conferiva alla sua persona e che era una manifestazione della dignità che nella vita aveva acquistato per meriti personali e per consonanza di adesioni. Io non faccio sdegnosi gesti disperati, non mi strappo le vesti, né cerco di crearmi una fierezza civica e democratica lontana dalla realtà.
Ora, se noi, con questo progetto di legge, non facciamo un’opera di corruzione, ma un’opera di indicazione di quelli che sono gli onesti e i modesti cittadini italiani che hanno compiuto una determinata opera per parecchi anni al servizio dello Stato, della nostra Repubblica o per attività di pubblica utilità o per beneficenza, ditemi voi dove è lo scandalo.
C’è un errore, compiuto nel passato, per la sovrabbondanza di decorazioni concesse? Ed anche qui sarebbe bene intenderci sullo spreco delle decorazioni. Chi vive la vita nella realtà sa come esse sono state date. Io sono stato al Governo sotto la monarchia prima del fascismo e mi vanto di avere avuto la prima decorazione quando ero Sottosegretario, decorazione data alla mia seggiola, e poi non ne ho avute più altre. Ma voi tutti avrete letto la commedia di Bersezio, «Monsù Travet» e avrete capito quale era la mentalità della borghesia piemontese, quale importanza aveva per un impiegato essere nominato cavaliere e per un capo divisione essere nominato commendatore. Era una questione di prestigio, una forma di precisazione di autorità e di responsabilità, non un elemento di corruzione. Quando voi conferite una decorazione ad un medico condotto che ha fatto per cinquant’anni una propria condotta in un paese di campagna o di montagna, voi date una piccola soddisfazione non soltanto all’individuo, ma al tutto il Paese.
Noi non possiamo dimenticare, anche in questo – noi che siamo un po’ sul candeliere della vita del Paese – gli umili che vivono nel grigiore della vita quotidiana; gli umili di questa povera classe media che è quella che si dibatte fra il terrore di scendere i gradini che la faranno diventare proletaria e l’aspirazione naturale di salire qualche gradino più su nella vita; questa classe che forma ancora la spina dorsale del nostro Paese. Desideriamo tutti innalzare il proletariato per condurlo là dove non vi siano più distinzioni di classi, ma solo distinzioni di funzioni. Ma, per intanto, giudichiamo le cose come sono. E non era tanto un’adesione alla monarchia che la croce di cavaliere portava con sé, allora; abbiamo tutti vissuto in quel tempo e ricordiamo che era considerata un distintivo caratteristico di un pubblico riconoscimento di qualche benemerenza. Quando ero direttore del laboratorio di restauro dell’Archivio di Stato, fu dato ad un caro collega, che compiva 45 anni di servizio, la croce di Cavaliere. Questi si fece fare la fotografia e la distribuì ai colleghi con la firma. Era un uomo felice! Non si sentiva affatto corrotto, egli che era un uomo probo, incapace di negare la fedele collaborazione al suo capo ufficio. Egli era stato sempre fedele allo Stato per quella forma mentis del burocrate italiano che può fare sciopero, può brontolare, ma si sente legato agli interessi del Paese e alla difesa della sua casa e della casa di tutti. Per tutto questo, quindi, onorevoli colleghi, io penso che non dobbiamo drammatizzare il problema di cui è espressione il progetto di legge che stiamo esaminando. Bisogna prenderlo come è.
C’era, in Italia, un fascio di onorificenze, decorazioni eccetera. Il Governo, di fronte a quelle soppresse, propone una nuova onorificenza o decorazione, chiamatela come volete, per dare una distinzione a tutti coloro che, in Italia o all’estero, avranno ben meritato dallo Stato italiano, eretto ad istituzione repubblicana. Dico di più, vi scandalizzerò di più. Noi auspichiamo che anche qui da noi possano crearsi altre forme di questo genere per le donne che hanno ben meritato per la assistenza sociale, per la loro funzione di madri e anche per tutta la loro attività economica e sociale, come i gradi che si danno all’Accademia dei Lincei; poiché tutto questo, in democrazia, è proprio una caratteristica esterna, che deve essere visibile e tangibile, del valore di uomini che servono il bene comune nelle forme democratiche a cui sono attaccati e fedeli.
Detto questo, non aggiungo altro. Ma ho pure il dovere di dire qualcosa di un’associazione che mi è cara e alla quale appartengo da circa quaranta anni, di cui ha parlato qui il senatore Terracini. Intendo parlare dell’Associazione dei Cavalieri Italiani dell’Ordine di Malta. La documentazione che qui egli ha portato, da quanto ho inteso, ha avuto già una risposta dall’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, il quale prega di attendere una verifica dell’autenticità delle lettere fotografate. Comunque sia, io mi permetto soltanto di attrarre l’attenzione degli onorevoli colleghi su quelli che è veramente degno di encomio: lo stato di servizio di questa Associazione dei Cavalieri Italiani. L’Ordine di Malta crea, tra i cavalieri delle diverse lingue e nazioni, delle associazioni per il servizio sanitario e comunque umanitario, in guerra, nelle calamità ecc. In Italia, l’Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta ha adempiuto sempre a queste funzioni dal tempo antico.
Voce da sinistra – Oh, gran virtù dei cavalieri antichi!
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Gran virtù dei cavalieri antichi. Gran virtù quando si combatté a Rodi fino all’ultimo sangue e quando si è stati soggetti al furto di Malta al tempo di Napoleone ed anche gran virtù nel periodo di trapasso dall’armistizio alla pace, quando si è tentato (è una piccola rivelazione che faccio e che vale quello che vale) di far tornare a Rodi l’Ordine di Malta per la creazione di un grande centro sanatoriale nel Mediterraneo orientale, in una forma politica simile a quella che Malta aveva di fronte al Regno di Napoli. Una forma che, in francese, si chiama suzeraineté, che non ha una corrispondente parola italiana, ma che esprime un istituto che, sotto la sovranità greca dell’isola di Rodi, avrebbe permesso all’Ordine di Malta questo ritorno alle sue funzioni anche esterne e sovrane a beneficio del prossimo. La questione fu trattata proprio da me coi cavalieri di Saint John, che è l’Ordine di Malta dei cavalieri protestanti inglesi; ma poi, per il precipitare degli avvenimenti, non se ne fece più nulla.
Per quanto riguarda quella che è stata l’attività di questa associazione in quest’ultima guerra, mi permetto di ricordare alcune cifre. Posso intanto dire questo, che i dirigenti degli ospedali non sono gli ufficiali medici, ma sono i cavalieri che prestano servizio gratuitamente e pagano a parte anche la quota mensa del pasto quotidiano.
In questi ospedali furono ricoverati 25.348 feriti e i treni ospedali hanno trasportato 9.162 feriti. Al posto di soccorso di Leopoli furono i soccorsi 2.714 disgraziati, quasi tutti ebrei. Gli ospedali convenzionati con la Direzione Generale di Sanità Militare hanno ricoverato 177.390 feriti, con un totale di 2.272.420 giornate di degenza. Durante la guerra, abbiamo avuto qui a Roma quattro ospedali: l’Ospedale Principe di Piemonte, con 250 letti; il Monte Grappa, con 200 letti; il Villa Taverna, con 50 letti; il San Carlo, con 200 letti. Abbiamo avuto, poi, dei posti di soccorso alla periferia di Roma, uno dei quali in linea al Santuario del Divino Amore, dove ha avuto l’onore di servire la mia figliuola e le sorelle del Cavaliere direttore. Si tratta di quattro posti di soccorso, più, nel periodo dell’occupazione tedesca, nove posti di gratuita distribuzione di 2.000 litri di latte al giorno per i bambini delle famiglie bisognose; e quest’opera, oltre che a Roma, è stata fatta a Torino con due ospedali e quattro posti di soccorso; a Chivasso, con dispensario di latte e viveri; a Villafranca di Piemonte, con un dispensario e un posto di soccorso per bambini orfani di guerra; a Milano e provincia, con due ospedali, un centro di chirurgia plastica ricostruttiva, tre dispensari di latte e viveri, quattro ambulatori per bambini a Milano, Bergamo, Garbagnate e a Moltrasio. A Como e provincia, si impiantarono gli ospedali Sant’Anna, Villa Giova e un Centro mutilati con 450 letti con annessa officina ortopedica per costruzione di arti artificiali. In provincia di Pavia, un vasto asilo per bambini accoglie ora orfani abbandonati per causa di guerra, perché, dopo la guerra, l’opera è continuata e seguita ancora con questi magnifici risultati. A Napoli, l’Ospedale Principe di Piemonte, con 300 letti per feriti di guerra, durante i tragici mesi dell’occupazione nazista costituì un sicuro rifugio oltre che per i numerosissimi feriti, anche per quanti si nascondevano per evitare i campi di concentramento e la morte. E tutto l’elemento dirigente dell’ospedale ha avuto la tessera di patriota. L’Ospedale Arcoleo, con 200 letti; l’Ospedale Sant’Alfonso a Paganica, con 400 letti…
CONTI Giovanni (Partito repubblicano italiano) – Ma su questo siamo d’accordo, ci mancherebbe altro che non fossimo d’accordo! Il problema è un altro.
TERRACINI Umberto (Partito comunista italiano) – Io non chiedo la soppressione dell’Ordine, ma chiedo che venga trattato come un ordine straniero!
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Abbiate pazienza, queste cose non le conoscete ed io voglio avere il gusto di farvele sapere.
Nel settembre del 1943, chi è stato a Roma lo sa, quando si iniziarono da parte del governo nazi-fascista la chiamata per il servizio del lavoro obbligatorio e gli arruolamenti militari, si provvide col chiamare in servizio presso il nostro Ordine, per salvarli, numerosissimi giovani, ottenendo, dopo aver superato gravissime difficoltà, l’esonero dal servizio del lavoro obbligatorio e, cosa ancor più importante, l’esonero dal servizio militare nell’esercito della Repubblica di Salò per oltre mille giovani. Per di più, oltre questi, c’era un reparto speciale nell’ospedale di Monserrato, al terzo piano, reparto cosiddetto «Gerusalemme», in cui sono stati ricoverati, come finti malati e finti feriti, nostri valorosi soldati, carabinieri e guardie di finanza sfuggiti alle retate nazi-fasciste.
Nel periodo post-bellico, l’opera ha proseguito. Ma non voglio più dilungarmi in questa elencazione e vi esporrò quindi soltanto le cose principali. La Casa Maria Beatrice per bambini supermutilati, che prima ancora dell’opera di don Gnocchi, a Roma raccolse, nella prima settimana, ben 34 bambini, taluno senza i due arti; un ambulatorio antirachitico nella provincia di Roma e altri quattro ospedali; a Firenze un altro ospedale, a Livorno, l’ospedale sanatoriale del Calambrone; nelle Marche, a Loreto, l’ospedale della Santissima Annunziata e a Senigallia l’ospedale delle Grazie, aperto da pochi mesi; a Napoli, a Pozzuoli, l’ospedale sanatoriale. Merita, inoltre, di essere ricordato il famoso posto di soccorso a Ponte Chiasso che accoglieva, rifocillava e vestiva i nostri profughi da e per la Svizzera e i nostri prigionieri liberati.
Tutto ciò è stato attuato ed è attuato da numerosi comitati di assistenza e voglio risparmiarvi il resto.
Tutto questo perché l’ho detto? Perché è bene si sappia quanto è stato compiuto da un ordine che ha le forme di un ordine cavalleresco, ma che, in fondo, non è che una grande associazione di carattere religioso e umanitario insieme. Io, e lo dico modestamente, ho volontariamente servito in quest’ordine e ho avuto, anche recentemente, una decorazione dell’ordine stesso. Non mi hanno mai chiesto un soldo, né l’avrei potuto dare perché non lo avevo. Comunque sia, sta di fatto che con lo stesso zelo, ancora oggi, quando non c’è la fanfara della guerra, questa opera umanitaria si compie.
Onorevole Terracini, lei vuole che sia considerato un ordine straniero. E perché? Straniero, in un certo senso, sì, e in un certo senso no. È un ordine universale, perché se lei avesse la bontà di farlo, io vorrei pregarla di venire con me – lei che è tanto disinvolto (e ben comprende cosa io voglio dire con questa parola), tanto privo di pregiudizi. Venga a visitare la Casa di Roma e vedrà le antiche bandiere, vedrà come c’è una universalità in questa opera di assistenza veramente mirabile. Ogni Nazione ha il suo vanto di tenere in palma di mano questi cavalieri di questo ordine universale per le opere che compiono senza guardare più al jus sanguinis, che vigeva un tempo, ma guardando solo ai meriti e alle capacità, per cui anche l’umile soldato volontario è quello che merita il riconoscimento e le decorazioni dell’ordine. Così hanno avuto il riconoscimento 40 nostri infermieri che condussero un treno di feriti tedeschi, quando tutti gli infermieri e i medici tedeschi erano fuggiti e che, nonostante la parola d’onore data a me che sarebbero stati rilasciati al confine, passata la frontiera vennero internati e mandati in campo di concentramento. Al ritorno, sono stati tutti decorati dall’ordine. Si tratta di una grande famiglia che tutti comprende, dal più umile al più alto, da coloro che rappresentano la grande tradizione storica del Paese a coloro che vengono dalla plebe, dalla piccola borghesia, dall’artigianato, dai contadini.
Per quanto riguarda i clamori che sono stati fatti intorno alla questione del presunto traffico delle onorificenze, vedremo quello che ci potrà dire l’onorevole Sottosegretario. Quello che penso che noi dobbiamo fare è di approvare questo riconoscimento nella forma che ci è presentata e che corrisponde, presso a poco, al riconoscimento degli altri ordini stranieri. Ad ogni modo, io tengo a dichiarare che ogni cavaliere dell’Ordine di Malta sente la fierezza dell’universale famiglia cui appartiene e sente la dedizione di se stesso per le cause del bene; ma sente anche profondamente l’amore per la propria Patria.
Con i Cavalieri dell’Ordine di Malta siamo stati in Russia con i nostri treni ed abbiamo raccolto la popolazione dolorante, a rischio di attirare su di noi le fucilate tedesche. I russi ci hanno sempre accolto con il grido di benvenuto, Liublin Italia!, e ci amavano perché sentivano quella che è la caratteristica nostra, la gentilezza e l’umana fraternità del nostro gesto. Abbiamo inteso questa universalità dell’amore che supera i confini della Patria, ed insieme questa alta dignità italiana.
Cavalieri antichi e moderni per la bellezza di una nobilissima e fraterna idealità (Applausi).
PRESIDENTE – È iscritto a parlare il senatore Tonello. Ne ha facoltà.
TONELLO Tommaso (Gruppo misto) – Onorevoli colleghi, Vittorio Emanuele Il, che fu un buon re perché ebbe la fortuna di aver studiato alla scuola di quel genio che fu Cavour, diceva bonariamente: «Un mezzo toscano ed una croce di cavaliere non si nega a nessuno». Si vede, da questo, che aveva un concetto molto limitato dell’importanza delle decorazioni. Quando pensiamo che anche negli ultimi tempi noi, prima del fascismo, avevamo l’onore di farci radere la barba da un cavaliere della corona d’Italia a Montecitorio, vedete che questa importanza tragica che molti vogliono dare a queste decorazioni realmente non esiste. Il collega repubblicano che ha parlato ieri è stato un po’ troppo tragico. Non bisogna prendere sul serio questa legge: è una legge fatta per esigenze elettorali. Voi capite che non è una cosa da poco per quelli che hanno i tre, quattro amici grandi elettori nelle circoscrizioni che stanno ad attendere, perché sappiamo che in tutti i partiti è entrata questa specie di sifilide delle decorazioni. Ho sentito molte volte, anche da quelli che erano degli spregiudicati: «Cosa vuoi, è un segno di riconoscimento…» Io, dentro di me ridevo e pensavo che, in fondo in fondo, la natura umana è fatta così; quando andate dal barbiere, anche qui in Senato, e vi fate la barba e poi, alla fine vi dice: «Arrivederci, Eccellenza», una volta gli dite: «Lo sai che non sono Eccellenza». Se, però, ve lo torna a dire, non sorridete come se vi facessero il solletico sotto il mento, ma non prendete il titolo di Eccellenza come un insulto. E anche adesso, malgrado Nenni lo abbia abolito, il titolo se lo sente dire anche lui, perché è nella natura umana quella di avere un distintivo. Avete mai visto i giuochi dei fanciulli? Quelli che fanno da generale si mettono almeno una penna di cappone in cima al cappello. Se guardate all’umanità primitiva, il capo, quello che ha ammazzato più gente, il più forte, porta gli amuleti o la pelle del capo dei nemici che ha ammazzato. L’umanità ha avuto sempre questi simboli: gli uni comandano, gli altri obbediscono. Qualunque decorazione ha origine dalla tirannide, non dalla libertà.
In Italia, era diventata una tradizione domestica la croce di Cavaliere: il padre che era nella burocrazia l’aveva, il figliolo subentra nella carica della burocrazia e desidera di avere anche lui la sua croce di Cavaliere. Vi fu un provveditore agli studi, un bravo uomo che mi voleva bene, che un giorno mi disse: «Senta, ispettore, come mai lei solo, qui, non ha la croce di Cavaliere?». Dissi: «Non la voglio perché sono contrario; io sono socialista e la croce di Cavaliere è un simbolo di monarchia.» Egli borbottò un poco, ma non disse niente. Due giorni dopo, mi mandò a chiamare il prefetto e mi disse: « Senta, ispettore, perché non vuole essere proposto per la nomina a Cavaliere?» «Perché – risposi – è una spesa che non posso sopportare». «Ma no – dice – non c’è nessuna spesa». «Sì – ribatto io – perché se mi date la croce di Cavaliere, devo comperare un piccolo cane per attaccargli al collare la croce che mi darete». Allora mi mandò via e non se ne parlò più.
Gli uomini che fanno il loro dovere non hanno bisogno di riconoscimento e sono indifferenti quando li applaudono come quando li fischiano. Io, per esempio, ho provato una grandissima soddisfazione più quando mi fischiavano che quando mi applaudivano, perché l’uomo deve sentire dentro di sé, nel suo mondo, quello che può essere per lui un bisogno di elevazione. Altrimenti, cosa volete che significhino tutte queste forme esteriori? Vestitelo pure con tutte le decorazioni, comprese quelle fastose dei cavalieri di Malta, vestitelo pure con tutte le decorazioni, ma un uomo rimane sempre quello che è: se è una carogna, rimane sempre una carogna; se è un galantuomo, resta un galantuomo.
Non dico che se voi farete passare la legge, tutti quelli che avranno le decorazioni saranno degli individui spregevoli. Se, per esempio, vedessi il mio amico Terracini Commendatore della Repubblica Italiana, non mi meraviglierei affatto, perché pare che un po’ di quella malattia delle decorazioni l’abbiano anche in Russia. Anche in Russia avete tanti ordini cavallereschi, anche voi vedo che cominciate ad imitare la borghesia e le classi dominanti più di quello che dovreste fare. Non è vero che la democrazia debba essere sbracata, in maniche di camicia e, magari, con la camicia sporca; ma è vero che la vera democrazia non si basa sui simboli e sulle esteriorità, non si basa su tutto questo armamentario che serve, forse, a giustificare le indegnità di certi uomini che occupano certi posti nella vita pubblica.
Io non do un valore assoluto a queste critiche, non dico che il mondo cadrà se voi metterete insieme un’altra compagnia di cavalieri e di commendatori di un altro colore, differente da quello vecchio. Certo, questi ordini cavallereschi almeno li darete a quelli che non sono mai stati monarchici. Le decorazioni, quasi sempre. sono elargite dalle classi dominanti e, in Italia, erano elargite dal Re: per essere cavalieri, si doveva accettare la forma monarchica. Adesso, per fortuna, si può avere una decorazione e dire che non si accetta la forma monarchica, ma si aderisce alle forme repubblicane, che rappresentano un passo avanti nella democrazia. Vorrò vedere, poi, come si regoleranno i monarchici per accettare dalla Repubblica le decorazioni e vorrò vedere anche come le accetteranno i nostri magnati del clero, perché mi immagino che non mancheranno le grandi commende e i grandi cordoni concessi, specialmente, ai cardinali e a tutti i pezzi grossi della Chiesa!
Comunque, si regolino loro! Per me, ha una importanza relativa. Non darò, naturalmente, il mio voto, perché non sarebbe questa una legge moralizzatrice; ma, nello stesso tempo, faccio notare che se essa passerà (come è facile prevedere, perché mentre noi qui discutiamo, ormai la voce del padrone ha già parlato e voi capite che, bene o male, la legge verrà approvata) non sarà un gran male. Potremo ridere di certi decorati, potremo fare determinate statistiche e rivedere le bucce di certa gente che si fregerà dei galloni di benemerito della Repubblica. Ma, comunque, le conseguenze non saranno gravi.
Sarebbe, però, molto più nobile e più serio se noi dessimo voto contrario al passaggio alla discussione degli articoli. O, almeno, se non volete mettere a riposo definitivo la legge, si prescrivesse che, per dieci anni, non si daranno decorazioni. Da qui a dieci anni quelli che si comporteranno bene avranno la onorificenza. E basta. (Approvazioni).
PRESIDENTE – È iscritto a parlare il senatore Lanzetta. Ne ha facoltà.
LANZETTA Michele (Partito socialista italiano) – Rinunzio alla parola, osservando che si è già riso abbastanza e non vale la pena di ridere di più.
RUINI Meuccio (Gruppo misto) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
RUINI Meuccio (Gruppo misto) – Vorrei fare la seguente proposta, rimettendomi alla lettera o, almeno, allo spirito del regolamento ed alle facoltà ed ai diritti della Commissione e dell’Assemblea. Noi ci troviamo qui di fronte a varie tesi. La prima, di respingere la legge in blocco, e ciò farebbe la gioia degli ordini «fasulli» (approvazioni) che ho motivo di ritenere facciano opera di pressione in questo senso. La seconda è di accettare la legge in blocco e credo che nemmeno la Commissione lo desideri più, di fronte agli emendamenti presentati e che meritano grave ponderazione.
Non entro nel merito. Dico soltanto che siamo giunti ad un punto nel quale la Commissione ha facoltà di chiedere, ed il Senato di deliberare, che la discussione sia sospesa (del resto siamo già ad un’ora in cui la sospensione è inevitabile); così che la Commissione possa riesaminare non tanto gli emendamenti, quanto la ragione stessa della legge. Questa è prassi costantemente seguita nelle assemblee parlamentari.
PRESIDENTE – Voglio far presente al senatore Ruini che la sua proposta è prematura, anzitutto perché dobbiamo chiudere la discussione generale, dovendo ancora parlare il relatore e il rappresentante del Governo. Dopo di che, essendovi una proposta formale, presentata sotto forma di ordine del giorno a firma Asquini, di respingere il disegno di legge, evidentemente, prima di decidere se rimandare o meno l’esame degli emendamenti alla Commissione, dobbiamo votare l’ordine del giorno.
Faccio inoltre presente che su questo ordine del giorno è stata richiesta la votazione a scrutinio segreto. Però, dato che noi siamo – come è stato osservato dal senatore Ruini – giunti alle ore 12,20; dato che la Presidenza ritiene del massimo interesse che la seduta di oggi pomeriggio abbia inizio puntualmente alle ore 16 (mentre, se continuassimo la discussione, dovrebbe probabilmente essere rinviata alle 16,30); ritenendosi necessario che la discussione della legge sulla perequazione tributaria abbia termine prima che il Senato prenda un breve periodo di vacanze, in occasione della coincidenza dei vari giorni festivi – faccio presente fin da ora, poiché in seguito può darsi che alcuni senatori si allontanino, che nella seduta di sabato mattina è probabile che, oltre allo svolgimento delle interrogazioni, si riprenda la discussione sul disegno di legge sulla perequazione tributaria. Comunico questo fin da ora, perché gli onorevoli senatori non dicano poi di aver già preso altri impegni; per tutte queste considerazioni, le ultime sono occasionali, io dichiaro chiusa la discussione generale su questo disegno di legge, riservando la parola al relatore e al Ministro. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
Oggi seduta alle ore 16, con l’ordine del giorno già distribuito.

La seduta è tolta (ore 12,30)

Senato della Repubblica, seduta del 10 novembre 1950

PRESIDENTE (Adone Zoli) – L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: «Istituzione dell’Ordine cavalleresco al merito della Repubblica Italiana e disciplina del conferimento e dell’uso delle onorificenze».
Ha facoltà di parlare il relatore, senatore Fantoni.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Onorevoli colleghi, credo che il Senato sarà lieto se gli annuncio solo pochi minuti di tedio e di pazienza. A me pare, invero, che le ragioni degli avversari addotte contro il disegno di legge non siano riuscite a scalzarne le basi ed i criteri direttivi, come non mi pare che abbiano servito a scuotere i motivi d’indole realistica coi quali modestamente, nella mia relazione ho cercato – in anticipo – di ribattere alcune, almeno, delle eccezioni pregiudiziali e di merito che contro il disegno stesso pensavo fossero opposte. Come, in verità, lo furono, specialmente dagli onorevoli senatori Nitti, Raja Conti e Gasparotto.
In realtà, noi abbiamo dei punti di partenza diversi. Voi oppositori partite dall’astratto, pensando a quello che gli uomini dovrebbero essere; noi, invece, della maggioranza della Commissione ed il Governo stesso, partiamo dal reale e dal pratico, pensando non a quello che gli uomini dovrebbero essere, ma a quello che sono, con i loro meriti ma anche con i loro difetti. Ed allora, onorevoli colleghi, un incontro fra noi può apparire difficile, anche perché parliamo un linguaggio diverso, in quanto là dove noi diciamo «premiare il merito», voi dite «abbassare» o anche «corrompere» il costume civile.
Potrei, in questa condizione di cose, limitarmi a brevissime e, penso, decisive dichiarazioni. Il disegno di legge che è sottoposto al vostro esame ha due finalità: la prima, di istituire l’ordine o ‑ come propone di dire l’onorevole Terracini – l’onorificenza della Repubblica; la seconda, di disciplinare i conferimenti, dando una protezione giuridica all’onorificenza repubblicana, con il divieto, fra l’altro, ad enti, associazioni e privati di conferire titoli, onorificenze e distinzioni di carattere cavalleresco.
Ora, mentre la prima di codeste due finalità risponde ad un precetto implicito dell’articolo 87 della Costituzione, onde, sotto questo aspetto, il disegno di legge si traduce – come ha già giustamente osservato il senatore Berlinguer, che ringrazio delle parole cortesi rivolte – in legge di attuazione, sulla seconda l’assenso è stato esplicito da tutte le parti del Senato. Ed allora, una opposizione al disegno di legge non è concepibile, a meno che non ci si voglia, da un lato, mettere contro la Costituzione e, dall’altro porre in contraddizione con se stessi, favorendo l’esistenza, l’incremento ed il dilagare di quegli ordini cosiddetti liberi, contro le malefatte dei quali si è tanto e giustamente tuonato, specie dall’onorevole Gasparotto. Ora, io penso che se si vuole giungere a questo stupefacente assurdo, il Senato non avrebbe evidentemente che da accogliere l’ordine del giorno del mio amico senatore Asquini. Con quali conseguenze? Che, contro il precetto della Costituzione, non sarà istituito l’ordine della Repubblica e continuerà lo scandalo di quegli autonomi o liberi.
ASQUINI Giuseppe (Unità socialista) – Continueranno lo stesso.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – No, se il disegno di legge è approvato. Ed io penso che il Senato della Repubblica, in una situazione politica e giuridica qual è quella che ho prospettato, non si porrà contro la proposta del Governo, perché porsi contro la proposta del Governo è un voler porsi contro la Costituzione.
È per lo meno strano il vostro contegno. Mentre dai vostri banchi (indica la sinistra) sorge continuo il lamento che il Governo non attua la Costituzione e se ne indicano i precetti da seguirsi, ora che lo fa, dando esecuzione all’articolo 87, ultimo alinea, della stessa, voi sostenete che questa legge non si deve fare. (Proteste da sinistra). Non si deve fare, forse perché restino gli ordini cosi detti liberi ed autonomi? Se così fosse, ditelo pure francamente: la situazione sarà chiara.
La mia risposta agli oppositori potrebbe fermarsi qui, anche perché certe questioni di carattere particolare potranno essere affrontate in sede di discussione degli articoli, se il Senato consentirà – come mi auguro – di farlo.
Però, qualche osservazione e delucidazione in merito a certe eccezioni è necessario che io le faccia.
Che, nelle circostanze attuali, majora premunt, come hanno osservato gli onorevoli Nitti e Raja, non v’è dubbio. Una prova è anche data dal fatto che il disegno di legge, pur essendo all’ordine del giorno, se non erro, dal dicembre del 1949, è venuto solo ora in discussione, tanto che L’Araldo, organo ufficiale dei così detti ordini liberi, poté scrivere, tempo addietro, che non se ne sarebbe fatto nulla. Non v’è dubbio, dunque, che majora premunt. Ma non v’è dubbio, del pari, che esistono nella vita cose che trascendono gli interessi puramente materiali e che, accanto a problemi ed a situazioni interne ed internazionali di carattere politico, economico, finanziario e sociale, sussistono anche altri problemi ed altre situazioni, sia pure sul solo piano interno, che attengono all’ordine etico-istituzionale, come è quello di disporre per un’onorificenza a carattere onorifico a favore di quanti si sono resi benemeriti della Repubblica o della Nazione. Affrontare anche questi problemi è doveroso, tanto più che, nel caso, si tratta – come dissi – di dare esecuzione ad un precetto della Carta Costituzionale.
Certe obiezioni e certe eccezioni, di natura direi quasi pregiudiziale, si basano su di un fondo che pare a me non sia nella sfera dell’umano o che dell’umano prescinda. Dice il senatore Raja, e lo dissero altri come lui: perché coltivare il senso di vanità che è un senso deteriore, con l’istituzione di un ordine cavalleresco, e creare quasi il monopolio della vanità e del gingillismo da parte dello Stato? Sul terreno puramente ideologico, onorevole senatore Raja, io potrei anche dirmi completamente d’accordo con quanti vorrebbero che non ci fossero né decorazioni, né decorati; ma se, anziché navigare nell’irreale o nella stratosfera, ci mettiamo sul terreno puramente umano, sul terreno della realtà pratica, sul terreno di questo povero mondo nel quale l’uomo agisce con le sue virtù, ma anche con i suoi difetti, allora dobbiamo pensare e concludere diversamente.
Tutti, in astratto – onorevole Raja – compiono il loro dovere: lo compiono verso la categoria alla quale appartengono, lo compiono verso la società, verso la Patria, verso la Nazione, verso l’umanità e lo compiono o per senso nobilissimo di vocazione e di dedizione o perché il compimento risponde ad una necessità dello spirito e restano paghi della soddisfazione morale della coscienza. Ma il segno tangibile di riconoscimento dei loro meriti o della loro opera non è da tutti disdegnato – a parte le anime elette – ma, diciamolo francamente, dalla maggior parte sommessamente ambito.
L’Unione delle Repubbliche Sovietiche lo ha riconosciuto. (Interruzione dell’onorevole Nitti). Onorevole Nitti, io ho qui tutta la raccolta delle onorificenze esistenti in quello Stato ed è una raccolta più che attendibile, in quanto è stata fornita dall’Ambasciatore italiano a Mosca. Sono quindi in grado di informarla di quali e quanti ordini e decorazioni, non solo di carattere militare, ma anche di carattere civile, è dotata quella Repubblica, gli uomini della quale hanno dimostrato di avere un senso della lealtà ben superiore a quello di uomini che, qui, si oppongono a che la giovane Repubblica Italiana abbia un suo ordine.
Io ho ricevuto delle lettere che dicono quella che è l’umanità. Ci sono, da un lato, lettere che deprecano la possibilità che le onorificenze date dagli ordini liberi siano non riconosciute; ce ne sono, dall’altra, di quelle nelle quali il mittente esprime la sua ferma fiducia che la Repubblica sappia e voglia compensare con segni onorificamente tangibili le benemerenze dei cittadini verso la Nazione. Perché, in effetti, si pensa – e su questo richiamo l’attenzione di tutti coloro che sono veramente repubblicani nel Senato della Repubblica – che la Repubblica non possa essere da meno della monarchia, nel premiare coloro i quali hanno meritato e meritano. (Approvazioni).
È inutile deprecare o deplorare. La realtà è quella che è e a me sembra, come è sembrato alla Commissione, che sia opera politicamente saggia inchinarvisi ed accettarla, adeguandosi a costumi che, anziché tramontati, sono in atto presso la quasi totalità degli Stati europei.
L’onorevole Nitti ha ancora affermato, nonostante che l’onorevole Terracini glielo avesse ricordato, che nella Repubblica Sovietica non ci sono ordini per ricompensare i meriti dei cittadini o dei lavoratori.
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – Ho detto esattamente il contrario: in effetti non ce ne sono molti.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Scusi, onorevole Nitti, lei mi ha interrotto prima ed io ho ritenuto che intendesse contestare quello che io affermavo, e cioè che le onorificenze sovietiche riguardano non solo le benemerenze militari, ma anche quelle civili, come quella, ad esempio, intitolata «Eroe del Lavoro Socialista». Ed allora, ero pronto a dirle quali sono gli ordini della Repubblica Sovietica che premiano chi ha bene meritato nelle opere civili e quelli che concernono esclusivamente le benemerenze militari. Perché, in realtà, come dissi nella relazione e ricordarono altri colleghi, fra i quali l’onorevole Cingolani, essa ne ha molti e di questi e di quelli. Una prova, del resto, della necessità di dotare la nostra Repubblica di un’onorificenza è data, altresì, dal fatto che nella mancanza di conferimento ufficiali, dopo la caduta della monarchia, è sorta una colluvie di ordini così detti liberi ed indipendenti o si sono riesumati di quelli già estinti; ordini tutti che, a scopo prevalentemente speculativo, distribuiscono dignità ed insegne. Perché, d’altronde, noi non dovremmo porre la Repubblica nella condizione di dover premiare, mediante un segno tangibile di onore, quanti l’hanno servita e la servono con zelo, fedeltà e disinteresse e quanti si sono resi benemeriti della Nazione?
Io qui – e mi dispiace di non vederlo presente – devo una spiegazione all’onorevole Berlinguer. Egli, con molta cortesia, della quale lo ringrazio nuovamente, ha fatto un appunto alla mia relazione per quel che riguarda sia la parola «regime» che ho adoperato, sia quell’accenno al povero impiegato dello Stato che, male o insufficientemente retribuito, va in pensione e, andandovi, forse non terrà il broncio verso lo Stato se questo lo onorerà con una onorificenza che lo elevi nella considerazione del pubblico. Ora, a parte che la parola “regime” non è il fascismo che l’abbia introdotta nel vocabolario italiano, debbo osservare che quando accennavo nella relazione (interruzione dell’onorevole Labriola) … a questo paria, a questo povero funzionario che si ritira senza pensione adeguata, dopo una vita di zelante attività, non intendevo dire che lo Stato – concedendo l’onorificenza – può sottrarsi a quel che è l’obbligo di giustizia di dare al suo dipendente la pensione nella misura dovuta. Dicevo solo che, accanto a questo dovere di carattere puramente materiale, lo Stato ha anche quello di dargli, se può, una ricompensa morale e questa ricompensa morale può suscitare quella certa soddisfazione che manca nell’altro campo.
E se io mi porto su altro piano, penso, ad esempio, al povero conciliatore del Comune che ha amministrato la giustizia per 25-30 anni, in contatto – non sempre facile e lieto – coi minuti litiganti, disinteressatamente, con zelo, intelligenza e senso di grande equanimità e considero che se lo nominate ad un certo momento, con sua grande soddisfazione, Cavaliere della Repubblica, questa non potrà non avvantaggiarsene, in quanto otterrà, da un lato, che si rafforzi nell’insignito la fedeltà verso di essa e, dall’altro, sensi di emulazione in altri cittadini. Queste considerazioni possono essere fatte per altri consimili casi.
Si è parlato di corruzione e di corrotti. Ho già detto, nella relazione, che l’onore di appartenere all’ordine deve essere altissimo, quindi limitato deve essere annualmente il numero delle persone da insignirsi e rigoroso l’esame dei titoli di merito e della personalità morale del soggetto. E quando noi abbiamo cercato di evitare il pericolo di una inflazione nei conferimenti ed abbiamo circondato di garanzie i conferimenti stessi – garanzie assicurate anche dalla composizione della Giunta dell’Ordine – ogni dubbio ed ogni pericolo che le onorificenze diventino mezzo, onorevole Raja, o strumento di corruzione non hanno alcun reale fondamento.
Del resto, se a qualcuno l’onorificenza può sembrare un tentativo di asservimento o di corruzione, può rifiutarla, onorevole Raja; ma è difficile che lo faccia, perché se ne è degno, ha una altezza morale che nulla può scalfire. Io non penso al passato, che appartiene alla monarchia, ma penso all’avvenire, che è della Repubblica. Ed anche per i tempi passati, credo di poter affermare che l’onorevole Nitti, che aveva altissimo il senso della dignità e della responsabilità di Ministro e di Presidente del Consiglio, non ha neppure lontanamente pensato che avrebbe contribuito ad abbassare il costume civile del popolo italiano, proponendo innumerevoli conferimenti di onorificenze dell’Ordine della Corona d’Italia e dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Per noi, il conferimento di una onorificenza a chi se ne renda degno serve, non per corrompere, ma per migliorare il costume, determinando l’emulazione e il bene della Repubblica.
Mi si permetta una citazione, che è un po’ antiquata, ma che, pur attraverso la sua ampollosità, fa scorgere quelli che sono i punti orientativi, quello che è il concetto che informa ed a cui si ispira l’istituto dell’onorificenza.
Eccola: «L’esperienza degli antichi tempi, confermata da quella delle moderne età, ha dimostrato, in maniera indubitata, che le ricompense speciali stabilite per le diverse specie di merito, e distribuite con giustizia imparziale, contribuiscono potentemente, col mezzo della emulazione che eccitano, alla gloria e prosperità degli Stati, indirizzando verso tutto ciò che è utile, bello e grande ogni maniera di virtù e di talenti».
L’onorevole Raja ed altri colleghi con lui potranno condividere queste affermazioni che si leggono nell’epigrafe degli statuti di un ordine nobilissimo, quello al Merito Civile di Savoia, al quale appartennero fulgide personalità della Patria come Manzoni e Marconi; ma non potranno non rispettare e considerare un concetto che, per noi, è ancor vivo ed operante, anche se lo riferiamo alle onorificenze in genere e non solo alle speciali a cui si riferisce il proemio che ho letto.
Noi, in verità, pensiamo che l’onorificenza serva a compensare, ma anche a determinare una nobile emulazione. D’altronde, perché non dovremmo noi porre il Presidente della Repubblica in condizione di corrispondere a certe cortesie internazionali, le quali, onorevole Nitti, hanno determinato il Re di Gran Bretagna a conferire, ultimamente, al Presidente della Repubblica Francese l’Ordine del Bagno? Perché noi dovremo avere un Presidente della Repubblica che non possa fare altrettanto? Voi dite: significa abbassare i costumi.
No, qui si tratta di cortesie e di formalità internazionali che non possono essere trascurate né omesse. D’altronde, la Repubblica ha bisogno anche di certe forme esteriori, in quanto il prestigio dell’autorità si afferma, senza dubbio, anche con il decoro e l’esteriorità della forma. Io non concepisco una Repubblica ed una democrazia – permettetemi la frase – in maniche di camicia. Se non penso – come scrissi nella relazione che riportò elogi anche da alcuni oppositori – ad una Repubblica che si affermi nel fasto ed in lussuose cerimonie, non penso neppure ad una Repubblica che rinunci a quel minimo di dignità e di decoro che piacciono al pubblico e che determinano, ad esempio, tanta parte del popolo romano ad accorrere alle cerimonie ed alle parate nelle quali il Presidente della nostra Repubblica si presenta circondato da un certo fastigio. (Applausi dal centro).
Rientrando più direttamente nel tema, devo ricordare che l’opinione pubblica, che si era pronunciata più volte, anche in organi autorevoli della stampa, per sollecitare l’intervento del Governo in materia, ha salutato con soddisfazione la presentazione del disegno di legge.
E a quanti di voi che non ne vedono, invece, l’opportunità o la necessità e che adducendo fantastici pericoli di corruzione e di abbassamento del costume, in pratica finirebbero col tollerare l’opera corruttrice che stanno compiendo gli ordini liberi dai vari nomi, io mi permetto di ricordare che persino in uno dei progetti predisposti, alla vigilia del Congresso dei Magistrati a Palermo, dal Comitato organizzatore del Centro regionale di azione per la riforma giudiziaria, è presa in considerazione la istituzione di un ordine cavalleresco da parte della Repubblica.
E invero, sotto la rubrica «Sul trattamento morale della Magistratura», v’è l’articolo 6, nel quale – essendovi in parentesi la sottorubrica: «Titoli ed onorificenze» – si legge: «I titoli e le onorificenze sono inerenti alle singole funzioni. Ai magistrati con funzioni direttive superiori spetta il diritto di onorificenza di Cavaliere di Gran Croce decorato del Gran Cordone dell’Ordine al Merito della Repubblica; ai magistrati della Corte di Cassazione quella di Grand’Ufficiale; ai magistrati della Corte di Appello quella di Commendatore; ai magistrati del Tribunale quella di Cavaliere Ufficiale ed agli Aggiunti giudiziari quella di Cavaliere». (Vivaci commenti).
Comprendo la sorpresa vivissima che questa lettura vi ha fatto. (Interruzione dell’onorevole Nobili). Può leggerne i termini, onorevole Nobili, nel n. 6 del 15 marzo 1950 del periodico Il Diritto. La richiesta, invero, prospettata com’è sotto il punto di vista del trattamento morale della Magistratura, sconvolge le basi dalle quali parte l’opposizione. L’Ordine non è fatto per corrompere o per abbassare il costume civile ma, come già dissi, per premiare ed onorare chi merita; e lo stesso posto occupato nelle gerarchie statali è di per sé – in via generale – presunzione e titolo di doveroso riguardo. (Commenti).
Fu detto, ed ecco la seconda eccezione pregiudiziale che ci fu opposta: un ordine della Repubblica va bene per onorare e premiare quanti si sono resi benemeriti della Repubblica, della Nazione o dello Stato. Ma escludiamo – si dice – titoli e dignità che ci riportano e richiamano ad ordini militari e religiosi non più di attualità.
L’onorevole Sacco, che ha scritto un bellissimo articolo sull’«Illustrazione Italiana» al riguardo, si è reso alfiere di questa corrente. Potrei dire all’onorevole Sacco che posso essere anche d’accordo con lui, nel senso che non si conciliano più, oggi, il cavaliere ed il cavallo quando funziona la motorizzazione; ma potrei chiedere anche perché continuiamo a parlare di lauree quando non si cinge più il lauro alle nostre università. Cambiamo anche questo nome, allora. Siamo nel campo della fortuna delle parole: una parola che nei tempi antichi si usava o si usava in un certo senso, oggi non si usa più o ha cambiato significato.
Abbiamo cercato, in Commissione, di poter trovare qualche correttivo, qualche cosa di meglio, ma non siamo riusciti a trovare niente, perché, effettivamente, siamo ancora sul terreno umano e il titolo di cavaliere o di commendatore è quello che soddisfa. Vorrei sapere da voi, onorevoli colleghi, se quando andate nei ministeri, al funzionario date sempre del dottore o non date costantemente del commendatore! Questa è un’altra realtà. (Applausi). È su questo terreno di umanità che si discute e si risolve la legge. Ora, d’altra parte, se noi dobbiamo consentire, per opportunità politica, il mantenimento di quelle che sono state le onorificenze della monarchia (e vedremo in che maniera le manteniamo); se dobbiamo mantenerle per opportunità politica, dico, perché allora dovremmo non ammettere i titoli stessi per l’ordine della Repubblica? Perché non dovremmo noi chiamare cavaliere, commendatore, anche quelli che sono insigniti dell’ordine della Repubblica? Non concepisco questo, perché ammettere una diversità tra gli ordini vecchi e quello che andiamo a costituire, vorrebbe dire svalorizzare l’ordine della Repubblica. E questo non lo dobbiamo volere, se desideriamo ch’esso sia circondato di prestigio.
Il disegno di legge, provvedendo all’istituzione dell’onorificenza della Repubblica, oltre che disciplinare il conferimento, si propone altresì di tutelarne il decoro. È certo (e mi trovo d’accordo con quanti hanno parlato in questo senso) che la migliore e la più efficace maniera di provvedere al riguardo sta nel rigore dei conferimenti, rigore che deve manifestarsi nella rigida valutazione della personalità morale dei decorandi e nel numero limitato delle nomine. Ma non basta. Occorre, altresì, una protezione giuridica. E qui dico ciò che avrei dovuto dir prima, in risposta a coloro che ci accusano di voler costituire il monopolio della vanità e del gingillismo. Effettivamente, noi lo vogliamo codesto monopolio, in quanto riteniamo che allo Stato soltanto, che è la fons honorum, competa il diritto di distribuire onori e dignità pubbliche. E non ammettiamo che ci siano associazioni, enti o privati – questi ultimi accampando magari discendenza da magnanimi lombi – possano arrogarsi diritti che spettano esclusivamente allo Stato ed al suo Capo.
La protezione giuridica alla quale ho accennato è data particolarmente dal divieto fatto, da un lato, ad enti, associazioni e privati di conferire onorificenze e distinzioni cavalleresche, salve le norme vigenti per gli ordini della Santa Sede, del Santo Sepolcro e del Sovrano Militare Ordine di Malta; e, dall’altro, agli insigniti di usare dei titoli e delle insegne.
È stato fatto qualche accenno, da parte del senatore Terracini, a questi due ultimi ordini, per non ammettere al riconoscimento il primo ed accusare il secondo di sistemi eguali agli ordini liberi, in fatto di conferimenti. Per l’Ordine di Malta hanno risposto esaurientemente i senatori Carboni e Cingolani. Potrò parlarne anch’io in sede di discussione degli articoli, se il passaggio alla discussione sarà dal Senato consentito.
E, nella stessa sede, potremmo eventualmente parlare anche a proposito di questi due ultimi divieti, cioè del divieto di conferire e del divieto di usare dei titoli ed onorificenze concesse da chi non ne ha il diritto.
Sin d’ora, però, tengo a riaffermare quello che fu il principio basilare, antecedentemente da me espresso, dal quale la Commissione è partita, e cioè che la fons honorum è lo Stato e che nessuno, all’infuori dello Stato, ha diritto di conferire titoli od onorificenze di carattere cavalleresco. Noi pensiamo, in linea di massima, che solo chi abbia l’esercizio effettivo, di diritto e di fatto, della sovranità possa conferire distinzioni cavalleresche. Quindi, tale facoltà noi la neghiamo non solo ai pretesi ordini cavallereschi sorti ad opera di iniziativa privata, i quali assumono il loro nome sia da ordini realmente esistiti, ma da secoli estinti, sia da ordini rimasti allo stato di progetto, sia da ordini veramente fittizi che non hanno mai avuto un qualsiasi precedente nella storia; ma anche a quelli che, assumendo una continuità storica familiare, si sono fatti placitare da qualche sentenza di magistrato.
Di fronte al pullulare di codesti ordini per il conferimento indiscriminato di onorificenze senza serietà e senza valore, ma che compromettono il prestigio di quelle autentiche, l’intervento legislativo, reclamato da molte parti, era quanto mai doveroso per tutelare la buona fede tante volte truffaldinamente gabellata.
E su questo punto non aggiungerò molto a quello che ha detto l’onorevole Gasparotto. Potrei, però, illustrare al Senato qualche altro aspetto. Ho qui delle copie circolari di lettere, di conti correnti, che si inviano ai cittadini che desiderino un titolo cavalleresco. Non si chiede la fedina penale, basta che si invii la somma, che varia a seconda del grado. Ad esempio, l’Ordine Militare Ospedaliero di Santa Maria di Betlemme chiedeva, tempo fa, per il grado di Cavaliere lire 25.000, per il titolo di Commendatore 60.000, per quello di Grande Ufficiale 100.000. I versamenti potevano farsi su apposito conto corrente postale intestato all’ordine. E potrei citare numerosi altri casi di questo genere. Ma ciò che mi pare sia interessante far rilevare al Senato è un articolo, recentemente comparso su un giornale illustrato, nel quale si segnalava che, in occasione del Giubileo, si potevano accordare onorificenze purché si versassero quelle determinate somme, somme che superano anche quelle da me testé citate. E potrei, altresì, dirvi come si sia speculato persino sul ringraziamento di qualche uomo politico – di taluno dei quali si pubblicò pure il ritratto – a concessioni, non richieste, di onorificenze.
Ora, io domando al Senato: è mai possibile che noi tolleriamo tutto questo? Voi parlate di corruzione e di abbassamento del costume civile. Ma, non volendo l’ordine della Repubblica e votando contro il disegno di legge, voi – come dissi in principio di questa mia risposta – volete che il mal costume di questi pseudo ordini continui, quando avete riconosciuto che truffaldinamente s’inganna l’opinione pubblica, col pretesto magari della beneficenza.
L’istituzione dell’Ordine al Merito della Repubblica e la sua protezione giuridica, attraverso la disciplina dei conferimenti, sono i due pilastri sui quali si fonda il disegno di legge. Come ho già detto, io credo che, sul terreno ideologico, quanti di voi lo avversano possono avere delle ragioni rispettabili, ma ritengo che sul terreno della pratica, sul terreno della realtà umana, ogni motivo di opposizione indubbiamente cade e si spezza.
Alla mia età, onorevoli colleghi, e dopo cinque legislature non si aspira né ad onori né a decorazioni; si può essere paghi e soddisfatti di una vita politicamente e moralmente retta, senza deviazioni di sorta. Con questi titoli, e da servo devoto della Repubblica (che credo risponda agli interessi e alle esigenze profonde del popolo italiano) io mi permetto di dirvi che la Repubblica non si consolida solo attraverso l’elevato costume civile, ma anche attraverso leggi ed istituzioni che siano aderenti alla realtà umana. Ed è a questa realtà che faceva appello, con linguaggio forse anche cinico, Napoleone I quando, il 18 Floreale dell’anno X, si presentava al Consiglio di Stato e chiedeva ed otteneva l’istituzione dell’Ordine della Legion d’Onore. Ed è a questa realtà, oltre che al precetto della Costituzione, che io penso si ispiri il disegno di legge presentato dal Governo, disegno di legge al quale la Commissione, nella piena consapevolezza politica e civile e, direi, quasi storica dell’atto, si onora di domandare al Senato l’approvazione. (Applausi dal centro e congratulazioni).
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole Andreotti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Onorevoli senatori, poiché ci troviamo dinanzi ad un ordine del giorno che propone al Senato il non passaggio agli articoli, io credo di fare cosa più razionale esprimendo ora il parere del Governo solo sugli argomenti di carattere generale che sono stati trattati dagli oratori nel corso della discussione sin qui svoltasi, riservandomi di esprimere l’avviso sugli emendamenti e sugli argomenti di ordine particolare, ove l’ordine del giorno proposto dal senatore Asquini non venga accolto dal Senato.
Certo, se noi dovessimo valutare, per impressione, l’atteggiamento del Senato, prendendo come elemento l’insieme dei discorsi che sono stati pronunciati in sede di discussione generale, dovremmo dire che, salvo qualche importantissima eccezione, non spira un’aria eccessivamente favorevole al disegno di legge. Mi sembra quindi che, a maggior ragione, occorra spiegare brevissimamente le ragioni per cui questo disegno di legge è stato portato all’esame del Senato e per cui il Senato è invitato dal Governo, così come lo stato or ora dal suo relatore, a dare al disegno di legge stesso l’approvazione.
Io mi permetto di non prendere in considerazione alcuni argomenti che, pur non formando eventuale oggetto di discussione successiva, mi pare che possano essere tralasciati anche in questo esame sull’aspetto generale della legge. In particolare, mi riferisco a quegli argomenti esclusivamente volti a considerazioni di ordine personale. Così, il senatore Nitti ha preso a base del suo discorso l’obiettivo che, del resto, mi pare l’obiettivo fisso dei suoi discorsi. Egli, infatti, dedica sempre le sue maggiori attenzioni al suo antico sottosegretario, all’onorevole Sforza. E, quindi, anche in questa occasione in cui il Ministro degli Esteri non ha avuto alcuna parte nella redazione del disegno di legge, né ha rivolto alcuna raccomandazione per sostenerlo davanti al Senato, né ha chiesto una formula come quella a cui si è riferito, non so per quale equivoco il senatore Nitti ha avvisato che è il Ministro degli Esteri che dovrebbe conferire questo ordine cavalleresco. Questo non è detto in nessuno degli articoli, né in alcun emendamento della Commissione. Onorevole Nitti, probabilmente quello cui ella si è riferito è quell’ordine, forse transitorio, della «Stella della Solidarietà Nazionale», creato nelle forme debite con un atto avente valore legislativo, che è stato istituito esclusivamente per i cittadini stranieri che abbiano in qualche modo, secondo l’apprezzamento delle autorità italiane, ben meritato verso il nostro Stato.
Siccome è stato qui detto con una certa ironia che, in mancanza di altre forme di distinzione da conferire a notabilità straniere, era stato dato a persona che mai aveva fatto la guerra un ordine di carattere militare, e cioè era stata concessa la croce di guerra al principe di Monaco, debbo informare il Senato sui motivi di questa decisione. Il principe di Monaco ha al suo attivo una campagna militare condotta in Francia contro i tedeschi. Per questo motivo, il Ministero della Difesa ha ritenuto di proporre, nel momento in cui egli era ospite nel nostro Paese, il conferimento di una distinzione molto importante in sé, ma non di carattere eccezionale, cioè la Croce di Guerra.
Ma, quel che a me pare debba non accettarsi è stato il severo giudizio dato contro questa legge. Rileggendo la discussione fatta qui nei giorni 24 e 25 ottobre, noi vediamo usate alcune frasi che, normalmente, non vengono adoperate verso proposte di legge fatte dal Governo al Senato o alla Camera. Si è parlato, addirittura, di uno «sconcio di legge». Ora, mi permetto di dire che una critica di questo genere non offende solo il Governo proponente, ma offende il Senato. Dopo un anno dalla presentazione di questo disegno di legge, dopo sei mesi di gestazione in seno alla Commissione, dopo la presentazione di una relazione senza l’espressione formale di un dissenso, perché non abbiamo una relazione di minoranza, perché dire che è uno «sconcio di legge»? Mi pare che sia un biasimo, non meritato, alla prima Commissione. Ma, di più, mi pare che in questa maniera si offendano anche i costituenti e la Costituzione stessa che, determinando le funzioni del Presidente della Repubblica, ha compreso tra di esse il conferimento di onorificenze della Repubblica. Questa norma a me sembra che stabilisca il fondamento positivo dell’ordine giuridico costituzionale italiano, per cui non mi pare lecito, sia pure per esprimere in un modo forse un po’ passionale la propria avversione al disegno di legge, definire questo come «uno sconcio». Io preferisco prendere da tale comma della Costituzione lo spunto per difendere la validità giuridica e repubblicana del disegno di legge.
Io non vado tanto a guardare, come qualche volta facciamo, quelli che sono gli ordinamenti stranieri; in fondo, ogni Paese ha una fisionomia e vorrei dire che è chiaro che negli Stati totalitari vi siano numerosissimi organi cavallereschi. Essi, infatti, debbono sostituire altre soddisfazioni di carattere liberale e democratico che i cittadini in uno Stato non totalitario hanno, per cui si sentono legati allo Stato senza bisogno di questo particolare legame. E se fosse vero che noi, non istituendo l’ordine cavalleresco della Repubblica, raggiungeremmo, in tutto e per tutto, le condizioni piuttosto ideali in cui si trova la Svizzera (da un punto di vista economico e sociale), allora credo che il Governo dimostrerebbe, insieme al Senato e alla Camera, non solo di non voler istituire questo ordine, ma di voler soffocare qualunque altra disposizione che non fosse negativa in questa materia. Però, ripeto, ogni Stato ed ogni Nazione hanno una loro fisionomia. Le esposte premesse valgono non per approvare o non approvare questo disegno di legge, ma per ammettere la legittimità della sua presentazione, proprio in base all’ultimo comma dell’articolo 87 della Costituzione.
Si è detto: questa legge non è urgente. Ciò è dimostrato ampiamente dalla circostanza che è un anno che è stata presentata e nessuno ha mai sollecitato la sua iscrizione all’ordine del giorno; sono sei mesi che la relazione è stata fatta e solo quando è venuto il suo turno, il disegno di legge è stato messo in discussione. Però, sarebbe stato strano che avessimo dovuto aspettare il momento in cui ci fosse stata l’urgenza obiettiva di creare questo ordine cavalleresco per discuterlo. Ora, mentre si tratta di vedere se si debba creare o no questo ordine, ritengo ingiusto dire che questa sia l’unica iniziativa proposta dal Governo al Parlamento, in ordine dell’attuazione della Costituzione.
Io non farò al Senato l’offesa di ricordare tutti quei provvedimenti, molti dei quali già approvati e che sono ormai leggi dello Stato, che sono stati proposti dal Governo e deliberati dalle due Camere in attuazione della Costituzione. Mi permetterò di dire che, anche se alcuni provvedimenti, poiché investono materie più delicate e di più difficile deliberazione, si trovano ancora all’esame del Parlamento per una più ampia discussione – come quelli sulla Corte Costituzionale, sul Consiglio dell’Economia e del Lavoro, sul Consiglio Supremo di Difesa e così via – ciò non può imputarsi ad inerzia di chi ha il preciso dovere di proporre questa materia di discussione e neanche dell’organismo parlamentare. Si tratta di una graduatoria obiettiva di certi disegni di legge che hanno un corso più lungo dinanzi alle due Camere, in rapporto diretto con la loro importanza e con la loro materia e che suscitano problemi giuridici, amministrativi e, molto spesso, anche politici di notevole interesse. Non possiamo neppure accettare quella imputazione che, fra l’altro, è offensiva per parecchi altri ordinamenti, secondo cui queste istituzioni di onorificenze si debbono considerare come strumento di corruzione. Non mi pare onesto.
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – Io non ho detto questo.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Non ho detto che ciò sia stato affermato da lei. L’han detto il senatore Conti, il senatore Raja ed altri oratori, compreso anche, mi sembra, il senatore Sacco. Ora, perché noi dobbiamo bollare con questo facile, sospettato marchio di accusa di corruzione tutto un insieme di cose che, in altri Paesi, si svolge ed anche un insieme di attività che è stato esercitato in passato in Italia?
CONTI Giovanni (Partito repubblicano italiano) – Ma non insistere!
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Perché? Ha il diritto di dire quello che crede. (vivace interruzione, scambio di apostrofi tra il senatore Conti ed il senatore Cingolani).
PRESIDENTE – Onorevole Cingolani, onorevole Conti, loro sono due vecchi parlamentari! Li prego vivamente di non interrompere. Onorevole Andreotti, continui il suo discorso.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Sarei grato agli onorevoli senatori se, dinanzi a questa legge, conservassero quella stessa serenità, che non è affatto indifferenza, che conserva il Governo che, in qualche modo, si trova quasi a subire un certo esame, come lo subisce anche la Commissione.
Ho voluto reagire perché, obiettivamente, mi pare che non si possa lasciar passare senza attenzione questo giudicare atto di corruzione, come tale, il conferimento delle onorificenze che, fra l’altro, offende anche taluni autorevoli membri di questa Camera che, ai loro tempi, quando hanno avuto l’onorificenza….
MANCINI Pietro (Partito socialista italiano) – L’Ordine della Corona d’Italia non è servito che a questo. Il Mezzogiorno d’Italia ha avuto una pioggia di onorificenze, a cominciare dal Collare dell’Annunziata, da commendatore, e non dico altro.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Mi sembra poco esatto quello che dice lei, onorevole Mancini, perché, nonostante tutte le onorificenze concesse, l’istituzione monarchica è caduta. (Interruzioni e commenti da sinistra).
Se non accettiamo questa accusa di strumento di corruzione, a maggior ragione non possiamo accettare le parole, anche più severe, che sono state usate, ad esempio dal senatore Berlinguer, quando ha detto «strumento di servaggio». Ora, un vincolo di schiavitù creato attraverso un conferimento di onorificenze mi pare che non si possa ammettere. Né mi pare, senatore Raja, che sia giusto dire, come lei fa, che questo ceto medio non aspetta altro o, almeno, vedrebbe in questo «uno strumento per soddisfare la sfrenata e ridicola bramosia di vanità che lo anima». Sono delle parole che forse possono suonare bene per lei – io non discuto la sua obiettiva convinzione – ma altrettanto serenamente ed obiettivamente, debbo dire che non mi pare sia giusto né nei confronti del ceto medio, né nei confronti dello strumento che noi stiamo cercando qui di creare, parlare di questa soddisfazione di bramosia, di incremento alla vanità. E a chi dice che si tratta di anacronismo (non seguirò il senatore Fantoni, che ha fatto altri esempi) dirò che se è anacronistico dire oggi Cavaliere e Commendatore, è altrettanto anacronistico dire “signore”. Dove è la signoria, dove ognuno di noi possa esercitare tale potere? (Commenti).
Voci – “Signore” non è un titolo araldico.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – In origine sì. In origine, infatti, il signore rappresentava il detentore di diritti precisi, verso il quale c’era un obbligo di sudditanza. (Commenti ed interruzioni dalla sinistra). Lo stesso noi dobbiamo dire nei confronti di quelle varie modulazioni che sono state fatte intorno al tema della vanità. Anche qui direi che non bisogna offendere in blocco non solo alcuni ceti cittadini, ma forse anche taluni che, per il loro passato politico, hanno accettato – per mio conto più che giustamente – delle onorificenze, vedendo in queste il riconoscimento dei propri meriti nei confronti dello Stato o il riconoscimento del valore della funzione da essi esercitata.
Penso che non sia difficile, guardando l’insieme delle cronache dei vari conferimenti di questi ordini cavallereschi, vedere che non sarebbe una novità aprire le porte a persone di ogni ceto, perché chiunque abbia pratica di un ministero sa che non c’è un capo usciere, un archivista che abbia fatto onoratamente nel passato il suo servizio e che non abbia avuto questa forma di riconoscimento. E, onorevole Berlinguer, a me pare che sia stato bene, quindi, che non sia sfuggito alla penna del relatore il rilevare che non si tratta di qualche cosa come un’offa o un pizzico di oppio nei confronti del vecchio funzionario dello Stato, ma che l’onorificenza sia un complemento di quello che è il riconoscimento di un diritto patrimoniale alla pensione. Perché, se è vero – e noi lo crediamo in modo particolare – che l’uomo non vive di solo pane (non è con questo che ci sentiamo esentati di provvedere, nei limiti del possibile, proprio del pane), certamente in uno Stato come quello d’Italia, dinanzi ad un numero così grande di pensionati, nessuno può onestamente, qualunque sia la forma di reggimento politico e quali che siano le convinzioni politiche e le condizioni economiche, nessuno può onestamente prevedere che si possa mai assicurare una vita agiata, con tutte le necessarie provvidenze, a coloro che abbiano servito lo Stato. E come lei, onorevole Berlinguer, ha ricordato, sia pure incidentalmente, le condizioni dei pensionati della Previdenza sociale, affermo che anche in questo problema ‑ anche se qualche notevole passo avanti si è fatto negli ultimi anni ‑ noi dobbiamo riconoscere l’esistenza di determinate difficoltà. Leggerò due cifre soltanto, a questo proposito. Quando si dice: in tempi passati, la vita dei pensionati della invalidità e vecchiaia era molto più confortevole e molto meno disagiata, bisogna tener presente che, nel 1921, i titolari di queste pensioni di invalidità e vecchiaia erano 51 mila, per un importo di 13 milioni; nel 1931 erano 275 mila, per un importo di 212 milioni; nel 1941 erano 696 mila, per un importo 573 milioni. Oggi, essi sono oltre un milione e mezzo, per un importo di 46 miliardi.
RIZZO Domenico (Partito socialista italiano) – Che significa? Ci sono i contributi che sono aumentati.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Se fosse vero che aumentando i contributi e, in proporzione diretta, aumentando il numero di coloro che godono di queste pensioni, le condizioni rimangano inalterate, allora mi pare che non ci sarebbe da dire che oggi si sta peggio di ieri. Ma, nella realtà dei fatti, questo non è vero, perché sia per condizioni di ordine generale, sia per il meccanismo stesso assicurativo, sia per quelle spese generali che sono, in notevolissima parte, assorbenti di quel che è il gettito Previdenza sociale, ci troviamo dinanzi a delle gravi difficoltà. Io sfido chiunque a dire, onestamente, che in un’economia come l’italiana e in un sistema come l’attuale, in cui occorre anche una notevole pressione fiscale per poter sostenere gli oneri pubblici ed anche gli oneri di spese produttive, il problema si possa risolvere così. Ma torniamo alle onorificenze.
Accennerò, soltanto fra parentesi, ad una proposta che è stata fatta dal senatore Nitti, se non sbaglio, il quale ha detto che, ove passasse questa legge, bisognerebbe fissare in una norma l’impossibilità per i parlamentari ad esserne beneficiari, ossia ad essere investiti di questa decorazione. Ed egli ha citato l’esempio della Legion d’Onore in Francia, esempio che trova una sua precisa conferma nella storia della Repubblica Francese. Perché, dopo l’altra guerra, per potere decorare della Legion d’Onore membri del Parlamento che avevano ben meritato in campo militare, occorse una precisa norma di legge-deroga. Però, mi permetterei di sottoporre al Senato queste considerazioni: bisognerebbe che, ove noi riconoscessimo l’opportunità ed il fondamento – che ha la sua consistenza, vorrei dire, oltre che politica anche morale – di non turbare il rapporto fra Stato e parlamentari con qualche cosa che possa anche sembrare contraccambio di una prestazione politica, di un voto di orientamento, dovremmo sancirlo non con una legge, ma trasformarlo in una norma imperativa del costume, perché solo così ciò avrebbe un significato e, prima di tutto, quello di un grande rispetto di ciascuno per sé e per i colleghi. (Applausi).
Altre critiche a questa legge sono state fatte, non più sulla sua liceità o sulla sua bontà secondo una visione generale, ma sull’uso che, una volta approvata questa legge, sarebbe poi fatto del conferimento delle onorificenze. Si è parlato di inflazione e qui abbiamo visto la Commissione perfezionare ancora quel meccanismo già proposto nel testo governativo, per limitare quelle che sono le varie quote nelle diverse classi dell’ordine da conferire nei dodici mesi dell’anno. È stato poi detto che se ne farebbe sicuramente un cattivo uso. Il senatore Terracini ha detto: io non ho stima – e, direi, non può averla e, anche se l’avesse, non potrebbe dirlo in Parlamento – della classe politica che ha la maggioranza e non credo che farà un buon uso di questo provvedimento. Altri hanno detto che è un’offa elettorale, dimenticando che oggi non siamo più dinanzi al collegio uninominale. Dinanzi ai venti o ventiquattro milioni di voti che una corrente politica deve ricercare, possiamo veramente credere che, con una infornata di cavalieri o di commendatori, si possa influenzare quello che è l’orientamento del corpo elettorale? Direi anche di più, e cioè che, forse, un Governo che guardasse molto a fondo all’interesse elettorale non favorirebbe l’approvazione di questa legge, perché, se in una zona oppure anche in tutto il Paese sarà facile, eventualmente, acquisire le simpatie di poche diecine di persone a cui sia stata conferita una onorificenza, certamente la massa degli scontenti – e ciò smentisce coloro che hanno detto che c’è una maggioranza ostile all’ordine cavalleresco – sarebbe con il broncio nei confronti delle autorità governative e non sarebbe, come galoppino elettorale, disposta a battersi per le fortune di chi non abbia, a suo giudizio, riconosciuto quei meriti che, comparativamente, nessuno crederà altri abbia più di se stesso.
Ma dico di più. Nella proposta fatta dal Governo, l’amministrazione di questo ordine è chiamata ad esprimere il proprio avviso, quando il Capo dello Stato debba conferire le onorificenze. Orbene, noi chiameremo a far parte di questa Giunta, per la metà dei membri, uomini scelti dal Parlamento ed anche questo, a mio giudizio, è un chiaro indice che non si intenda fare una piccola fucina di clientela, di simpatie e di amicizie, ma che si vuol fare qualcosa che, guardando alla sostanza dei rapporti fra Stato e cittadino, apra necessariamente le porte ad una larghissima partecipazione dei membri del Parlamento nell’amministrazione di questo ordine cavalleresco.
Onorevoli senatori, io, sulla parte generale di questa legge non ho altre osservazioni da fare e da proporre alla vostra considerazione. Vorrei solo osservare che, se è vero che noi abbiamo tutti, sia pure concependola con tonalità e con sfumature diverse, la preoccupazione di creare uno Stato che abbia sempre di più il conforto dell’adesione, la più larga possibile, dei cittadini, noi dobbiamo stare attenti a non favorire un indirizzo che non rappresenterebbe in sé, anche se qualcuno soggettivamente ci credesse, il contributo ad una elevazione morale del costume politico dei cittadini, ma staccherebbe certe classi, o meglio non aggancerebbe certi ceti, certe professioni a quello che è lo Stato nella sua organizzazione centrale.
E se è stato detto dal senatore Sacco che a chi è forte di una propria dignità accademica, a chi sente il prestigio del proprio peso nel campo culturale, nel campo scientifico, nulla può aggiungere o togliere il conferimento o meno di un’onorificenza, noi diciamo che, intanto, tutta l’esperienza del passato dimostra che questo è un ragionamento fondato solo sulla teoria; ed aggiungiamo che, certamente, il conferimento di una onorificenza non accrescerà le competenze scientifiche od il prestigio culturale di questi uomini, ma potrà indicare che lo Stato non è estraneo al dovuto riconoscimento e possiede lo strumento per poter esprimere, obbiettivamente e concretamente, questa valutazione positiva di meriti scientifici ed accademici.
E se io non parlassi di un disegno di legge che ha una sua portata limitata, e se un giorno noi parlassimo, nel complesso, di tutte le organizzazioni di questi riconoscimenti, che non debbono certo limitarsi in un campo araldico di onorificenze, forse per lo Stato italiano, pur riconoscendo tutto il valore dell’Accademia dei Lincei, sorgerebbe il problema di creare anche un’altra organizzazione che ricostituisca un rapporto tra il mondo della cultura, della scienza e dell’arte e lo Stato. Non certamente come una piccola manovretta elettorale, ma come l’esigenza di ricostituire uno dei legami per il quale lo Stato possa camminare, senza correre il rischio di vedere inaridite certe fonti. Noi abbiamo, per necessità, soppresse molte cose. Ma chi di voi guardi al fondo del problema della pubblica amministrazione e si preoccupi non dei numeri, dei quadri, degli organici, ma dello spirito della pubblica amministrazione, sente che (per ragioni che tutti conosciamo, che hanno un loro contenuto apprezzabilissimo ed una loro validità storica che nessuno contesta) non avendo più i migliori dell’amministrazione pubblica quello sbocco che una volta avevano in questo palazzo, se non si trovano altre forme di riconoscimento pubblico, si produrrà una deviazione che, qualitativamente, peggiorerà la pubblica amministrazione.
Non è questo, certo, il momento di allargare la discussione in questo campo. Io osservo solo al Senato che questo strumento di poter riconoscere in un modo esterno, formale, le benemerenze di cittadini e stranieri nei confronti dello Stato italiano, darà certamente all’esecutivo, darà ai deputati e ai senatori che amministreranno questo ordine tutta una serie di noie, di preoccupazioni, creerà un mondo di inimicizie, ma darà la possibilità di restaurare una delle forme di collegamento tra il cittadino e lo Stato, delle quali non credo possiamo, senza preoccuparci, far tanto agevolmente a meno.
Certamente, le sorti del Governo non sono legate a questo disegno di legge. Ma ritengo che, nel caldeggiare da parte del Senato la non approvazione dell’ordine del giorno Asquini e l’approvazione di tutte le modifiche che riterremo assieme di dover concordare, contribuiremo a rendere possibile non solo, nella forma, l’attuazione di un precetto costituzionale, ma a rendere, nella sostanza, un servizio utile al nostro Stato. (Vivi applausi dal centro).
PRESIDENTE – Faccio presente al Senato che dal senatore Asquini è stato presentato il seguente ordine del giorno: «Il Senato non approva il passaggio agli articoli del disegno di legge sulla istituzione dell’Ordine cavalleresco al Merito della Repubblica Italiana e sulla disciplina del conferimento e dell’uso delle onorificenze».
RICCI Federico (Partito repubblicano italiano) – Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
RICCI Federico (Partito repubblicano italiano) – Ho sentito con interesse le spiegazioni che l’onorevole Fantoni ha aggiunto alla sua relazione, della quale io ammiro lo sforzo per difendere una causa per lo meno pericolante. Credo in primo luogo opportuno rispondere ad alcune argomentazioni, diciamo di natura sensazionale. L’una è che la Costituzione imponga questo provvedimento. In verità, essa non lo vieta, ma neppure lo impone: non diciamo, dunque, che la legge in questione viene presentata per attuare la Costituzione.
Altro ragionamento, che può fare una certa impressione, è l’aver la Russia istituito un gran numero di decorazioni e di ordini cavallereschi. Ora, io non credo che si debba, specialmente da quella parte, (indica la destra) invocare l’esempio della Russia, che viene poi criticata continuamente. Comunque, come ha osservato benissimo l’onorevole Sottosegretario Andreotti, sono i Paesi totalitari che hanno bisogno e che ricorrono frequentemente a tale genere di ricompense per i servizi che i cittadini rendono allo Stato o al Governo. Ma ben diverso è il caso nei Paesi a regime democratico.
Altro argomento è stato quello citato relativamente alla Magistratura, la quale, nel recente congresso di Napoli, avrebbe votato un ordine del giorno della cui autenticità (non da parte del relatore, s’intende) io dubito, ordine del giorno in cui si affermerebbe che i magistrati dovranno avere tutte le decorazioni in modo preminente o, per lo meno, alla pari con le altre categorie di funzionari. Non mi pare verosimile che i magistrati, se pure discutono per le loro condizioni materiali, si lascino indurre a discutere anche delle loro condizioni cavalleresche. Ho troppa stima della solidità della loro cultura e dell’elevatezza del loro spirito.
Un quarto argomento si riferisce allo scambio di cortesie internazionali, quasi che noi, qualora non avessimo istituti cavallereschi, non potessimo corrispondere con altri mezzi a quelle cortesie che vengono fatte ai rappresentanti od ai funzionari dell’Italia, mediante il conferimento di croci, da Paesi esteri che ne dispongono. Ma, allora, in quale situazione si troverebbero la Svizzera, gli Stati Uniti ed altre repubbliche che non hanno decorazioni? È sempre questione di vanità e non altro. Ricordo un prefetto il quale, tutte le volte che c’erano visite di autorità fasciste, comunicava essere loro desiderio che si intervenisse con decorazioni. Perché questo? Perché egli compariva con un drago appeso all’abito, che destava la curiosità di tutti, e si compiaceva a spiegare di averlo conseguito in una missione diplomatica nell’Estremo Oriente.
Infine, si adduce anche un preteso orientamento dell’opinione pubblica la quale, a parere di taluni difensori di queste distinzioni, reclamerebbe l’istituzione di qualche cosa del genere, cioè di bijouterie, di chincaglierie, di distintivi da appendere all’occhiello, di croci, di stelle, di cordoni più o meno grandi. È difficile sapere l’opinione di 46 milioni di persone. Le nostre conoscenze personali si estendono, sì e no, a poche centinaia, ma le poche centinaia che conosco io sono tutte contrarie a questa istituzione e credo che molti miei colleghi possano dire altrettanto.
PRESIDENTE – Onorevole Ricci, mi permetto ricordarle che deve limitarsi semplicemente alla dichiarazione di voto.
RICCI Federico (Partito repubblicano italiano) – Dico subito i motivi per i quali sono contrario. Credo che questo disegno di legge non sia conforme allo spirito democratico della nostra nuova Repubblica, principalmente nel momento attuale. Noi stiamo così tornando alla fiera delle vanità, stiamo avviandoci nuovamente al fasto, quasi che non avessimo sufficienti insegnamenti dal passato e, specialmente, dalla storia del regime fascista, quando vi era una continua fabbricazione di distintivi e molti ne erano attratti e si facevano fascisti per poterli portare; quando si istituiva la sciarpa littoria, quando si istituiva l’orbace e tutti diventavano grand’ufficiali e partecipavano alle parate e la cosa più importante del regime era lo studio di nuovi sistemi coreografici.
Dove ci ha condotto il fascismo colle sue vanità, voi tutti lo sapete. Io credo che, in luogo di queste cose vuote e fastose, sia molto meglio insegnare ai cittadini a riflettere su se stessi, sentire la propria coscienza ed apprezzare la soddisfazione del dovere compiuto. Non è per guadagnarsi una croce che si adempie al proprio dovere, ma per gli obblighi della propria coscienza. La massima ricompensa è la soddisfazione del dovere compiuto, come diceva Kant, quando la confrontava alla bellezza del cielo stellato.
Vi sono pure ragioni pratiche, oltre che ideali. Si dice che anche l’emulazione e, in un certo senso, lo sfruttamento delle vanità possono servire a qualche cosa. Io potrei forse consentire, ove fosse possibile dare le decorazioni esclusivamente a coloro che le meritano. Dice il relatore che la tendenza alla vanità è ormai una cosa sorpassata. Questo non mi pare risponda a verità. La sciocca tendenza all’esteriorità e alla frivolezza continua ed anzi, disgraziatamente, aumenta. Purtroppo, è ormai nella nostra natura la ricerca del titolo da aggiungere al nome. E sotto questo punto di vista, il nostro carattere è peggiorato sensibilmente in questi ultimi anni. Dobbiamo porre un freno a ciò; dobbiamo cercare di riformare il costume.
Ora, avviene necessariamente che, istituito un ordine cavalleresco, le decorazioni sono distribuite, anzitutto, non secondo i meriti delle singole persone, ma secondo categorie di funzionari: tutti quelli d’un certo grado cavalieri; quelli d’un grado più importante commendatori; quelli che vanno in pensione pure han tutti un titolo cavalleresco e così lo avranno coloro cui spetta la liquidazione del sussidio di invalidità e vecchiaia a compenso dell’insufficienza del sussidio stesso. E che dire, poi, dei favori e delle raccomandazioni. Ma quanti cavalieri faremo allora! Così svalutiamo il titolo, come lo abbiamo svalutato in passato come stiamo svalutando anche i titoli accademici.
PRESIDENTE – Onorevole Ricci, le faccio presente che si tratta di una dichiarazione di voto.
RICCI Federico (Partito repubblicano italiano) – Ho finito. È insomma, questa, una tendenza contro la quale dobbiamo reagire. Ci dobbiamo opporre con cose concrete all’ondata di vanità che minaccia di sommergerci. Per concludere, potrei citare l’esempio di Shri Nehru che, pochi giorni fa, ha diramato una circolare con la quale vieta l’uso dei titoli e, nei propri riguardi, abolisce il titolo di «Pandit».
Vorrei veramente che si sentisse lo spirito della nostra Repubblica e vorrei che si respingesse questa legge. Sono contento che il Governo, dopo aver dichiarato che invita i senatori a votare a favore, abbia poi concluso che sarà in definitiva indifferente, perché, se avesse fatto una questione di fiducia e la legge fosse respinta, trattandosi di cavalieri potremmo assistere ad una… caduta da cavallo. (Congratulazioni).
FAZIO Egidio (Partito liberale italiano) – Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE – Prego il senatore Fazio di mantenersi nei limiti della dichiarazione di voto e non, come ha fatto il senatore Ricci, invitare il Senato a respingere il disegno di legge, perché ciò non rientra in una dichiarazione di voto. Ha facoltà di parlare.
FAZIO Egidio (Partito liberale italiano) – Onorevoli colleghi, naturalmente io non entro nel merito di questo problema, che considero non grave, anzi alquanto piccino per quanto presenti tante difficoltà, come la discussione ha dimostrato. Io mi arresto davanti ad una considerazione di semplice opportunità, anzi di tempestività di questa legge. Oh, che proprio non c’era altro lavoro più urgente, più importante? (Proteste. Approvazioni.) Eppure, abbiamo la sensazione che ci sono dei problemi gravi che pesano sul Senato e sulle nostre coscienze. Questa domanda semplice non solo è ripetuta qui dentro, ma anche fuori. Bisogna tenerne conto, non per le nostre persone e neppure per i partiti che hanno sostituito le persone; bisogna tenerne conto nell’interesse stesso del regime rappresentativo e della fiducia che lo deve sostenere. Ciò premesso, ritenuto che il Governo non solo mantiene il progetto, ma non ha creduto neppure di differirlo, non avendo altro mezzo per manifestare il dissenso, voterò contro il passaggio agli articoli. (Applausi).
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – Onorevoli colleghi, parecchie volte avrei dovuto chiedere la parola per fatto personale. Non l’ho chiesta e non volevo chiederla, perché non volevo partecipare oltre alla discussione. Io avevo tale antipatia della discussione di questo argomento, che mi umilia, che non avrei mai creduto che potesse essere grave motivo di contese questo miserabile progetto che ci diminuisce davanti a noi stessi. Non avrei neanche mai creduto che ci potessimo dividere in questo campo. Saremo divisi in tutto, ma qui siamo soltanto nel campo del ridicolo!
Consentitemi, onorevole Andreotti. Io ho molta simpatia per voi, mi hanno anche rimproverato di averla espressa. Vi auguro ogni fortuna, ma non siete stato felice. Oggi eravate come un avvocato di ufficio, dovevate difendere una causa a cui non credevate e voi siete troppo intelligente per uscirne bene. Ma anche l’uomo più intelligente esce in queste circostanze male. Siamo tutti a disagio. L’onorevole Orlando ed io ci siamo ricordati ‑ non ridete ‑ della nostra carriera. Quando, la prima volta, fummo Ministri, lui ed io, non eravamo veramente decorati; anzi, io ero solo Cavaliere della Corona d’Italia, ma non me ne ricordavo. Il giorno in cui dovetti andare ad inaugurare la più bella e grande esposizione che abbia avuto l’Italia, l’Esposizione di Torino, io m’informai dalle persone esperte, dagli anziani, di che cosa dovevo fare e mi fu suggerito di non dimenticare di mettere le decorazioni. Io ero soltanto, e lo avevo dimenticato, Cavaliere della Corona d’Italia. Allora mi rivolsi al mio commesso e gli domandai se aveva per caso quella piccola decorazione; egli l’aveva e me la portò subito Così, io inaugurai l’Esposizione di Torino – qui ci sono dei vecchi e lo ricorderanno – con l’umile croce di Cavaliere della Corona d’Italia datami dal mio commesso. (Commenti).
Ora, quando vedo che ci litighiamo per queste decorazioni, ricordo che un tempo eravamo più semplici; l’onorevole Orlando ricorderà. Siamo andati avanti così, umilmente, alle grandi funzioni. Ebbene, ora litigheremo su questo, che non è argomento da noi! Un vile, stupido argomento che non è da noi discutere e che non certo eleva l’ambiente…!
Ma vi è qualcuno che possa occuparsene sul serio, senza ridere, senza far ridere? È possibile che si creda che quest’Aula possa elevarsi o abbassarsi per queste volgarità? No, non è nemmeno possibile che questo sia seriamente argomento di discussione! La stessa abilità con cui l’onorevole Andreotti ha sorvolato su certi argomenti dimostra che anche un uomo di sicuro talento possa trovarsi in imbarazzo, come diceva Cicerone, quando difende una cattiva causa. La causa, però, non è né cattiva né buona; è insignificante. Noi onoreremmo questa discussione dicendo che è un grave argomento che bisogna trattare a fondo. Di che? Io vi prego soltanto di ricordare una mia preghiera. Non ci rendiamo ridicoli! Noi siamo il solo Paese d’Europa che, dopo una guerra così poco fortunata e dopo un regime così poco felice, senta il bisogno di glorificare questi avvenimenti.
Ho sentito parlare di Napoleone e chi ne ha parlato non ne sa nulla, perché gli ha attribuito cose che non sono esistite. Napoleone creò la Legion d’Onore dopo che era venuto in Italia e dopo che aveva vinto tutti. Venne col disdegno del vincitore. Non amò il nostro Paese, non ci amava e non ci stimava, nonostante le affermazioni in contrario di qualche cattivo storico, come non stimava la Chiesa. Egli non aveva in sé nulla di realismo. Napoleone era un uomo terribile, un uomo che non aveva che una sola passione: la propria persona. Ora, Napoleone creò la Legion d’Onore, ma solo dopo aver vinto, solo dopo essere diventato il padrone. Quale guerra noi abbiamo vinto? Noi, ora, vogliamo istituire una decorazione che, almeno nella forma esteriore, somiglia alla Legion d’Onore. Perché? Vogliamo forse ricordare le nostre vittorie? Vogliamo solennizzare, oggi, la Repubblica che abbiamo fondato, dopo che abbiamo molto esitato se rimanere in regime monarchico o se passare alla Repubblica? Vogliamo glorificare forse, dopo tutto quello che è avvenuto, la nostra indifferenza morale? Volete forse che noi ci glorifichiamo anche delle nostre debolezze? Tutto ciò che è passione è nobile, tutto ciò che è sentimento è degno, ma tutto ciò che è convenienza è ridicolo.
Qualcuno si è offeso, perché mi ha attribuito di aver detto che le onorificenze che noi potremo dare abbasseranno il livello morale. Sì, tutto quello che ho detto è preciso e cento volte lo ripeto. La Legion d’Onore per Napoleone era, nei primi tempi, causa di imbarazzo. Quando Fouché volle mettere la Legion d’Onore, se ne vergognò egli stesso e, per nascondere la prima impressione, la mise al rovescio, sotto il bavero della giubba militare.
Noi, oggi, ci vogliamo glorificare di quel che abbiamo fatto. Ma la Repubblica deve essere un fatto concreto, non una illusione, non un equivoco. La Repubblica, venuta attraverso varie incertezze di chi il giorno prima era monarchico – e non monarchico di sentimenti, ma monarchico di consuetudine – deve essere servita anche da coloro che non erano ad essa favorevoli. Quando un Paese è nelle difficoltà del nostro, non si devono creare altre difficoltà.
La Repubblica deve essere servita in buona fede e, in questo momento, la buona fede può essere solo nella dignità del sentimento e non nelle parole.
Or dunque, istituiamo, se volete, le onorificenze. Servitevi pure. Però, vi devo dire che, senza rilevare i fatti personali, alcune cose mi hanno dispiaciuto. Mi hanno perfino attribuito, come se fossi un improvvisatore, di aver detto che le decorazioni si fanno al Ministero degli Esteri; altri, che le decorazioni si danno al Ministero degli Esteri. Purtroppo, così è. Non sono io, sono le pubblicazioni del Ministro degli Esteri che dicono che tutti gli ordini sono dati dal Ministero degli Esteri. Caso nuovo nella storia degli ordini cavallereschi, la facoltà di conferire le onorificenze è stata data non più al Presidente del Consiglio, come rappresentante di tutto il Governo, non più al Ministro dell’Interno, non più a tutti quelli che sono i ministri politici, ma è stata data al Ministro degli Esteri. Se all’onorevole Sforza fa piacere, egli può anche dare le onorificenze. Basta leggere la rivista «Esteri», pubblicata dal Ministero dello stesso nome, per vedere come sia stata regolata la materia del Gran Consiglio dell’Ordine e per vedere come la confusione sia stata volontaria, almeno in organi del Ministero. Perché un Consiglio così enorme e pomposo, se lo scopo deve essere così limitato, come oggi si dice?
Io di una sola cosa vi devo pregare e non parlerò più: non ci rendiamo ridicoli! Noi siamo minacciati veramente di far ridere. L’Italia è il solo Paese che ha fatto un ordine cavalleresco dopo una guerra non gloriosa; l’Italia è il solo Paese che non solo ha fatto questo, ma che ha voluto, attraverso il Ministero degli Esteri, regolare tutti gli ordini cavallereschi. Qui, anche gli amici dell’estrema hanno trovato le ragioni per sostenere questo disegno di legge.
PRESIDENTE – Onorevole Nitti, la prego di riassumere.
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – Finisco subito. Siccome sono pedante – un professore è sempre pedante – ritornerò a tempo opportuno su questa questione. Ero sicuro che non se ne doveva far nulla. A me i titoli cavallereschi non importano niente. Ma, per la visione di politica generale, per la dignità nostra, per il nostro prestigio, vorrei che non si facesse nulla di ciò che può produrre la confusione e il ridicolo.
Votate pure, votate e assumetevi la responsabilità. Io vi devo dire che questa responsabilità non l’assumo, ma parlerò a fondo e agirò contro nel momento che mi parrà più opportuno. (Approvazioni).
RIZZO Domenico (Partito socialista italiano) – Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
RIZZO Domenico (Partito socialista italiano) – Sono autorizzato dal Gruppo socialista a dichiarare che il Gruppo stesso voterà a favore dell’ordine del giorno Asquini, cioè per il non passaggio agli articoli. Questo non vuol significare che il Gruppo condivida appieno gli apprezzamenti che, da varie parti, sono stati fatti del disegno di legge. Il Gruppo, che in seno alla prima Commissione fu solo a manifestare il proprio dissenso in ordine a questo disegno di legge, riconosce che in esso non tutto è sconcio e non tutto è cattivo, così come si è affermato. Nel disegno di legge sono fissati due concetti: il primo, al quale noi siamo decisamente contrari, non fosse altro che per ragioni di tempestività e di opportunità, si riferisce alla istituzione della nuova onorificenza. Su tale punto, io non devo aggiungere parola per giustificare il voto del Gruppo, decisamente negativo, dopo quanto è stato detto dall’onorevole Nitti, dall’onorevole Raja e da tutti gli altri che hanno condiviso questa nostra opinione, quale è stata espressa fino dal lontano maggio 1949 in sede di Commissione.
All’onorevole Andreotti ricorderò, poi, che non è uno degli ultimi disegni di legge, questo, fra i pochi che il Governo ha apprestati in attuazione dell’obbligo costituzionale. Fu, anzi, una delle prime preoccupazioni governative quella di presentare questo disegno di legge, perché non bisogna guardare alla data di discussione, ma, precisamente, alla data di presentazione che risale, come ho detto, al maggio 1949.
Una seconda parte, invece, del disegno di legge per noi è apprezzabile, ed è quella che riflette la disciplina dell’uso di quella “chincaglieria”, che non è neppure di origine ufficiale, ed è rappresentata dalle onorificenze private. Purtroppo, l’ordine del giorno ci mette nella condizione di non poter esaminare questa parte del disegno di legge ed il Gruppo socialista esprime vivo rammarico per la richiesta di voto segreto, che potrebbe, in definitiva, tradursi nella difesa e nella tutela, attraverso la loro conservazione, di questi falsi ordini onorifici, contro i quali il Gruppo socialista particolarmente insorge.
Naturalmente, poiché il voto segreto è stato richiesto e non è possibile rifiutarlo, noi ci auguriamo che l’ordine del giorno Asquini abbia, anche attraverso tale forma di voto, l’esito che noi auspichiamo. Ma se, per avventura, questo dovesse significare poi l’abbandono definitivo di una doverosa disciplina dell’uso di quelle onorificenze di cui si fa abuso, noi assumiamo impegno di presentare un disegno di legge di iniziativa parlamentare, naturalmente nei termini del regolamento, che impedisca l’ulteriore dilagare di quello che è veramente un fenomeno di corruttela sociale. (Approvazioni).
BERLINGUER Mario (Partito socialista italiano) – Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
BERLINGUER Mario (Partito socialista italiano) – Avrei desiderato che la votazione sull’ordine del giorno del collega Asquini si fosse svolta per appello nominale. Giustamente ha osservato il collega Rizzo, che una votazione col sistema dello scrutinio segreto può autorizzare anche il sospetto che qualche voto a favore dell’ordine del giorno Asquini possa essere determinato dall’intento di far sopravvivere gli ordini irregolari. Proprio perciò, ho chiesto la parola per una dichiarazione di voto a titolo personale, dato che il mio intervento non è stato da tutti interpretato secondo lo spirito che lo animava. Nel mio discorso, ho inteso dar risalto a due esigenze. La prima è questa: un’avversione chiara ed esplicita contro l’istituzione di un nuovo ordine cavalleresco. La seconda esigenza era quella di evitare che, invece, rimanessero in vita quegli ordini clandestini che costituiscono, come osservava lo stesso relatore nella sua relazione, un’autentica truffa alla buona fede… e qualche volta anche alla mala fede di coloro che ne sono insigniti.
Voterò a favore dell’ordine del giorno Asquini, ma dichiarando, per mio conto e per conto del mio Gruppo, che noi impegniamo il Governo, nel caso di un risultato favorevole a tale ordine del giorno, a presentare immediatamente un nuovo disegno da legge per la pressione degli ordini cavallereschi irregolari e per la punizione di chi faccia traffico di queste onorificenze; e se il Governo resterà inerte, come ha già detto il collega Rizzo, presenteremo noi socialisti questo progetto di legge.
Ma vorrei che mi fosse consentito di aggiungere ancora qualche parola, in risposta alle osservazioni dell’onorevole Sottosegretario. Il mio voto ha anche un altro significato, quello di una protesta contro la irrisione che questa legge implica alla miseria dei pensionati! Mi duole che l’onorevole Andreotti abbia, a nome del Governo, mostrato di ignorare o di voler ritrattare gli impegni governativi presi anche in quest’Aula, e perfino in un comunicato ufficiale, di provvedere a questi pensionati, specialmente ai pensionati della Previdenza sociale.
Onorevoli colleghi, troppe volte si adducono esigenze di bilancio contro la miseria e la fame; ma non devono essere i pensionati a pagare le spese della passata guerra, né quelle della guerra futura che la dissennata politica governativa sta preparando! (Approvazioni da sinistra).
SAPORI Armando (democratico di sinistra) ‑ Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
SAPORI Armando (democratico di sinistra) – Onorevoli colleghi, durante la discussione, l’onorevole Andreotti ha auspicato che i parlamentari sentano rispetto di se stessi e non ambiscano a queste onorificenze. Io tale rispetto auspico che per se stessi lo sentano i tutti gli italiani; ed è con questo intendimento di serietà che voto contro il progetto di legge.

Senato della Repubblica, seduta del 10 novembre 1950

Ripresa della discussione

PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il senatore Asquini, per svolgere il suo ordine del giorno.
ASQUINI Giuseppe (Unità socialista) – Signor Presidente, l’ordine del giorno che ho l’onore di presentare è stato già sufficientemente illustrato dagli interventi autorevoli ed efficaci dei senatori Nitti, Berlinguer, Raja, Sacco, Gasparotto, Conti, Tonello e Ricci Federico, illustri parlamentari ricchi di esperienza, appartenenti a quasi tutti i gruppi politici del Senato. Io mi permetto di aggiungere una sola considerazione, considerazione di opportunità, come ha bene sottolineato il senatore Fazio. Il Parlamento ha davanti a sé molti, importanti, gravi ed urgenti problemi da risolvere: il Paese attende le promesse riforme. Non deludiamo il Paese con una legge che non interessa che pochi vanitosi e non certo il popolo che lavora e che produce. Non abbiamo tempo da perdere.
Per questi motivi, ampiamente illustrati dai parlamentari che ho già ricordato, con il mio ordine del giorno propongo di chiudere definitivamente la discussione, senza passare agli articoli.

Votazione a scrutinio segreto

PRESIDENTE – Faccio presente al Senato che dai senatori Asquini, Parri, Momigliano, Benedetti Tullio, Raja, Gonzales, Bocconi, Grisolia, Filippini, Persico, Castagno, Casati, Tissi, Giua, Zanardi, Anfossi, Lucifero, Lanzetta, Tomasi della Torretta, Cortese, Cavallera, Armato, Reale Vito e Mastino è stato richiesto che la votazione su questo ordine del giorno avvenga a scrutinio segreto.
Prima di iniziare la votazione, chiarisco che, trattandosi di votare su un ordine dei giorno in cui si propone di non passare agli articoli, chi vota mettendo la palla bianca nell’urna bianca e quella nera nell’urna nera, intende approvare l’ordine del giorno, chi mette invece la palla bianca nell’urna nera, e la palla nera nell’urna bianca, intende respingerlo.

Dichiaro aperta la votazione.

Chiusura di votazione

PRESIDENTE ‑ Dichiaro chiusa la votazione. Prego i senatori segretari di procedere allo spoglio delle urne.
I senatori segretari procedono alla numerazione dei voti.
Hanno preso parte alla votazione i senatori Adinolfi, Anfossi, Angelini Cesare, Angelini Nicola, Asquini, Azara, Barbareschi, Barontini, Bastianetto, Battista, Bei Adele, Benedetti Luigi, Bergmann, Berlinguer, Bertone, Bisori, Bo, Boccassi, Bocconi, Boeri, Borromeo, Bosco, Braitenberg, Braschi, Buffoni, Buizza, Cadorna, Caldera, Caminiti, Canaletti Gaudenti, Caporali, Cappellini, Carbonari, Carboni, Carelli, Carmagnola, Casardi, Casati, Castelnuovo, Cavallera, Cemmi, Cerica, Cermenati, Cermignani, Cerruti, Ceschi, Ciampitti, Ciccolungo, Cingolani, Coffari, Conci, Corbellini, Cosattini, De Bosio, De Gasperis, De Luca, Di Giovanni, Di Rocco, Donati, Elia, Fantoni, Fantuzzi, Farina, Farioli, Fazio, Ferrabino, Ferrari, Filippini, Fiore, Focaccia, Franza, Frassati, Fusco, Gasparotto, Gava, Gavina, Gelmetti, Genco, Gervasi, Ghidini, Giacometti, Giardina, Gramegna, Grava, Grieco, Guarienti, Guglielmone, Italia, Jannuzzi, Lamberti, Lanzara, Lanzetta, Lavia, Lazzarino, Lazzaro, Leone, Lepore, Li Causi, Lodato, Lovera, Lucifero, Macrelli, Magli, Magliano, Magrì, Malintoppi, Mancini, Marani, Marconcini, Mariotti, Martini, Massini, Medici, Menghi, Menotti, Merlin Angelina, Merlin Umberto, Miceli Picardi, Milillo, Minio, Minoja, Molè Enrico, Molè Salvatore, Molinelli, Momigliano, Monaldi, Montagnana Rita, Mott, Musolino, Nitti, Nobili, Ottani, Panetti, Paratore, Pasquini, Pezzini, Pezzullo, Picchiotti, Piemonte, Pieraccini, Piscitelli, Priolo, Proli, Quagliariello, Raffeiner, Raja, Reale Vito, Restagno, Ricci Federico, Ricci Mosè, Riccio, Rizzo Domenico, Rizzo Giambattista, Rocco, Romano Antonio, Romano Domenico, Romita, Ruini, Russo, Sacco, Saggioro, Salomone, Salvagiani, Salvi, Samek Lodovici, Sanmartino, Sanna, Randaccio, Santero, Santonastaso, Sapori, Schiavone, Scoccimarro, Sinforiani, Spallicci, Spezzano, Tafuri, Tambarin, Tamburrano, Tessitori, Tissi, Tomasi della Torretta, Tomè, Tommasini, Tonello, Toselli, Traina, Tripepi, Troiano, Tupini, Turco, Uberti, Vaccaro, Valmarana, Vanoni, Varaldo, Varriale, Vigiani, Vischia, Voccoli, Zanardi, Zane, Zelioli, Ziino.

Risultato della votazione

PRESIDENTE – Proclamo il risultato della votazione a scrutinio segreto sull’ordine del giorno del senatore Asquini:

Votanti
203
Favorevoli 97
Contrari 106

Il Senato non approva.

PRESIDENTE – Sospendo la seduta per qualche minuto.

La seduta, sospesa alle ore 18,35, è ripresa alle ore 19.

PRESIDENTE – Iniziamo ora la discussione del titolo del disegno di legge: «Istituzione dell’Ordine cavalleresco al Merito della Repubblica Italiana e disciplina del conferimento e dell’uso delle onorificenze».
Anzitutto, vi è l’emendamento del senatore Nobili: «Rinviare la discussione e l’approvazione del titolo del disegno di legge dopo la discussione dell’articolo 11».
Inoltre, vi è l’emendamento del senatore Terracini che, in sua assenza, è stato fatto proprio dal senatore Lucifero: «Sostituire alla dizione del titolo del disegno di legge la seguente: “Istituzione e disciplina dell’onorificenza al Merito della Repubblica e disciplina in generale delle onorificenze e ordini cavallereschi”».
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – Propongo che il titolo si discuta dopo esaurita la discussione degli articoli.
PRESIDENTE – Poiché vi sono molti emendamenti che possono modificare il disegno di legge, la proposta del senatore Lucifero credo possa essere accolta.
NOBILI Tito Oro (Partito socialista) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
NOBILI Tito Oro (Partito socialista) – Presentatore io pure della proposta di sospendere la discussione del titolo della legge fino a che non sia stato esaminato e votato l’intiero disegno, prendo atto con piacere che essa non è contrastata. E dico subito che la mia emendazione dovrebbe condurre, qualora accolta, alla soppressione della prima parte del titolo che accompagna il disegno relativo alla istituzione dell’Ordine cavalleresco al Merito della Repubblica, riducendosi così alle sole «norme relative alla soppressione degli ordini cavallereschi esistenti e al conferimento e all’uso delle onorificenze».
E poiché i primi sei emendamenti miei, soppressivi ciascuno di uno dei primi sei articoli del disegno – nonché quello che al terzo comma dell’articolo 9 propone che, in ogni caso, sia escluso dalla delega legislativa il potere di emanare, entro un anno, anche le norme per la «trasformazione» di ordini cavallereschi ancora esistenti – costituiscono un tutto organico e inscindibile, che mira non solo a impedire la istituzione del nuovo ordine cavalleresco progettato, ma a sopprimere quelli che tuttora esistono e ogni giorno più imperversano, spero che l’onorevole Presidente e il Senato vorranno riconoscere alla mia emendazione soppressiva la precedenza nella discussione, in quanto essa ha la portata emendatrice più estesa, in modo che io debba parlare una sola volta, pur non consumando tutto il tempo cui mi darebbe diritto il numero degli emendamenti.
Se questo punto di vista, che mi pare fondamentalmente ortodosso, è condiviso…
PRESIDENTE – È chiaro che, quando fosse accolto il suo emendamento, diventerebbe una necessità la correzione del titolo, perché non possiamo dire che in una legge si contengono delle materie che poi, in effetti, non vi sono contenute. Non mi sembra, quindi, che ci sia ragione di discutere ora il titolo.
NOBILI Tito Oro (Partito socialista) – Allora, siamo d’accordo.
PRESIDENTE – Passiamo allora agli articoli, che rileggo nel testo della Commissione:

Art. 1.

«È istituito l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, destinato a dare una particolare attestazione a coloro che abbiano acquistato od acquistino speciali benemerenze verso la Nazione».
A questo articolo sono stati presentati tre emendamenti, tra cui uno del senatore Nobili, soppressivo dell’articolo. Ha facoltà di parlare il senatore Nobili.
NOBILI Tito Oro (Partito socialista) – Tale essendo la determinazione dell’onorevole Presidente, preoccupato – e gliene va data lode – della più meticolosa osservanza formale del regolamento, io non posso che obbedire. Ma l’onorevole Presidente e il Senato si accorgeranno subito che questa doverosa obbedienza non modifica affatto l’ordine che io avevo chiesto di dare alla discussione. Infatti, questa si concentrerà e si esaurirà, per la struttura stessa della mia emendazione, sul primo articolo: o questo sarà soppresso e non avranno sorte diversa i successivi, dal secondo al sesto, e l’emendamento soppressivo e coordinatore proposto del terzo comma dell’articolo 9; o l’articolo 1 sopravviverà e tutta l’emendazione cadrà.
Intuisce ognuno che questa, inesorabilmente, si adagia sulla critica mossa da tante e tanto diverse parti del Senato a questo disegno di legge che, con l’effetto non educativo e non formativo del carattere che bisogna dare al Paese, cumula la inopportuna scelta del momento, nel quale tanto seri e tanto ponderosi problemi reclamano sollecite e coraggiose soluzioni. Io mi guarderò bene dal ripetere ciò, che in proposito, si è detto qui dentro, per quanto costituisca il presupposto della mia emendazione, ma non posso a meno di soffermarmi, sia pure brevemente, sulle confutazioni tentate dall’onorevole relatore.
È vero, egli ha riconosciuto che queste onorificenze solleticano la vanità e gli altri sentimenti deteriori dei cittadini, ma l’uomo è quello che è e gli oppositori del disegno commettono un grave errore di visuale rappresentandoseli l’opposto di quello che sono in realtà.
Qui la nostra critica non è stata nemmeno sfiorata e compresa: che il sentimento di vanità, che le vanesie ambizioni siano diffusi, non significa che lo Stato e il Governo abbiano il dovere di soddisfarli. Quanto più esteso e morboso si presenta, invece, il fenomeno, tanto più lo Stato, che è l’ente morale per eccellenza, ha il dovere di combatterlo radicalmente, per il bisogno che ognor più si avverte di caratteri modesti, ma forti e indipendenti. Parlare oggi, con quello che bolle in pentola, della creazione di ordini cavallereschi è d’altra parte, oltre tutto, nostalgia di feudalesimo, quanto meno anacronismo storico.
Ha riecheggiato, attraverso la robusta eloquenza del relatore, l’affermazione contenuta nella relazione che presentò il disegno: che questo, cioè, realizzi il postulato dell’articolo 87 della Costituzione, per il quale il conferimento delle onorificenze è espressamente previsto e riservato al Presidente della Repubblica. A questo assunto non è stato ancora risposto che, a parte lo strano, improvviso scrupolo costituzionalista dal quale si dichiara preso il Governo per queste chincaglierie, l’attributo presidenziale di cui all’articolo 87 della Costituzione non presuppone affatto la creazione di un ordine, per giunta cavalleresco, col contorno di un cancellierato ed appendici. Possono crearsi titoli di onorificenza per ogni settore delle civiche benemerenze; possono crearsi onorificenze speciali, occasionali, ad personam. Qualche cosa in tal senso è stato già fatto dalla stessa Costituzione, quando, con norma transitoria, ha deferito al Capo provvisorio dello Stato la elevazione al Senato della Repubblica di parlamentari che possedessero certi determinati requisiti; e quando riservò, nel Senato medesimo, cinque seggi a cittadini che, in Italia e all’estero, avessero illustrata la Patria per alti meriti nel campo delle lettere, delle arti e delle scienze. E questa attribuzione il primo Presidente della Repubblica ha già esercitata, conferendo l’onorifico insediamento, per i suoi meriti preclari nel campo delle scienze matematiche, al professor Castelnuovo, Presidente dell’Accademia dei Lincei. Non sono poche le onorificenze che egli ha già conferite ad invalidi di guerra e a combattenti per meriti militari; e segnalo come una delle più onorate, da comprendere nei conferimenti a lui riservati, quella del brevetto di Grande Mutilato del Lavoro, particolarmente degna dell’alta provenienza in una Repubblica che la Costituzione proclama fondata sul lavoro.
Se questo che io ho esposto risponde a realtà, come preoccuparsi che, proprio al riguardo delle onorificenze, la Repubblica si trovi in difetto rispetto alla Costituzione? Quelle che sono già a disposizione del suo primo magistrato, rivolte a premiare senza chincaglierie meriti specifici e riconosciuti, non sono forse già circondate dal rispetto popolare come le più degne di un regime democratico, veramente compreso dell’utilità di educare i cittadini, di formarne il carattere sull’esempio delle benemerenze segnalate, con onorificenze ormai giustamente avulse da nostalgie di cavalleria e di feudalesimo? (Approvazioni).
Il relatore ha agitato anche la minaccia di una inconseguenza, che pure moralmente incomberebbe sugli oppositori: costoro – egli ha detto – apprestandosi al tentativo di rigettare questo disegno di legge, sanno che il risultato di un voto in tal senso impedirebbe bensì la creazione di un ordine cavalleresco di Stato, ma lascerebbe sopravvivere tutta la “chincaglieria” che, nel campo delle decorazioni, ha lanciato in questi ultimi tempi in Italia la speculazione anonima italiana e forestiera.
Il relatore non si è peraltro accorto di avere considerati come inscindibilmente e necessariamente legati due termini che il progetto ha legati solo per opportunità e per adescamento. Non sa che gli oppositori, in caso di reiezione del disegno senza passaggio agli articoli, avrebbero in questa stessa seduta presentato una proposta di iniziativa parlamentare per un’immediata soppressione di tutti quei cosiddetti ordini, che io chiamo non identificabili, e per la repressione del relativo commercio e dell’uso delle relative decorazioni. E non ha visto che, per l’ipotesi facilmente prevedibile del passaggio agli articoli (che eravamo lontani dallo sperare potesse essere votato con la esigua e moralmente non rassicurante maggioranza di nove voti), era già stata presentata la emendazione che io svolgo; la quale infrange l’ultimo argomento, il più impressionistico di quanti posti a partito da lui.
Questa emendazione contempla la soppressione degli articoli da 1 a 6, che riguardano proprio la progettata creazione di un anacronistico ordine cavalleresco con relativo cancellierato e con più o meno relativo stanziamento in bilancio (articolo 10); e fa fulcro l’articolo 1, al quale l’onorevole Presidente mi ha chiesto di limitare la mia illustrazione. Questo primo articolo è proprio quello che proclama l’istituzione dell’ordine nuovo. L’onorevole Presidente, che ho visto alquanto nervoso durante questa mia esposizione, in quanto andava a riecheggiare argomenti già spesi nella discussione generale, deve rendersi conto come io avessi bisogno di confutare le ultime risorse polemiche spese dal relatore e dal Sottosegretario onorevole Andreotti, perché potessi ancora attendibilmente sostenere la necessità di respingere almeno questa parte del disegno, come propongono i miei emendamenti soppressivi, a cominciare dal primo, che, riguardando l’articolo 1, riguarda il presupposto degli altri articoli sopprimendi.
Le ragioni di questa soppressione sono, dunque, tutte quelle autorevolmente esposte da tutti i senatori che hanno parlato contro il disegno e che io ho cercato di riassumere e di completare alla meglio.
Alle considerazioni già svolte, altre possono essere utilmente aggiunte: quella, anzitutto, che discende dai risultati del voto, tanto più eloquenti pel discredito e per il disfavore in mezzo ai quali l’ordine sorgerebbe, in quanto la mortificante maggioranza di nove voti è più che largamente superata dal fatto che ai voti degli oppositori sono mancati quelli dei comunisti; e poi la considerazione, discendente dall’altro fatto ormai tangibile che, contrariamente a qualche dubbio che si era voluto insinuare, gli oppositori accettano di votare la parte del disegno relativa alla soppressione degli ordini cavallereschi esistenti e di quelli non identificabili e alle sanzioni stabilite contro chi fa commercio o uso delle relative concessioni ed insegne.
Sono consequenziali alla proposta soppressiva l’emendamento all’articolo 9, che dalla delega legislativa al Governo propone di escludere la facoltà di «trasformare ordini esistenti», nonché quello soppressivo dell’articolo 10, relativo allo stanziamento in bilancio, sotto lo speciale capitolo, della spesa necessaria alla creazione e al mantenimento dell’ordine.
La legge che da questa emendazione risulterebbe, potrebbe intitolarsi «Norme relative alla soppressione degli ordini cavallereschi esistenti e al conferimento e all’uso delle onorificenze».
Ho esaurito il mio compito e vorrei augurarmi che il Governo non tenesse in dispregio la buona volontà della quale gli oppositori danno prova per uscire, in modo soddisfacente per tutti, da una discussione promossa per lo meno in un momento assolutamente inopportuno. Ciò varrebbe a portare un po’ di calma nelle acque agitate. In tempi migliori, si potrà riesaminare il problema di fondo e condurlo ad una organica soluzione. Ed anzi, mi vien fatto di pensare che un impegno in tal senso si potrebbe assumere fra Parlamento e Governo, sostituendo al testo dell’articolo 9 un altro testo, col quale si stabilisca che, entro un paio d’anni dall’entrata in vigore della presente legge, il Governo presenterà al Parlamento un disegno per il regolamento di tutta la materia delle onorificenze.
Se ciascuno di noi saprà superare in se stesso il puntiglio di fazione, per ispirarsi soltanto al vero interesse del Paese, finiremo per trovarci tutti soddisfatti della ragionevole soluzione adottata. (Approvazioni ed applausi).
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il relatore, senatore Fantoni, per esprimere il parere della Commissione sulla proposta del senatore Nobili.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Devo, innanzi tutto, di rispondere al senatore Nobili, a proposito di un accenno che egli ha fatto a quanto ho detto poco fa. Dichiaro di non aver inteso attribuire all’opposizione al progetto di legge l’intenzione di favorire i così detti ordini liberi e indipendenti, attraverso il siluramento del disegno di legge. Ho detto soltanto che, praticamente, il siluramento di questo progetto di legge porterebbe alla non istituzione dell’ordine della Repubblica ed al mantenimento di quegli ordini contro i quali tutti hanno parlato per le loro malefatte.
Per noi, il disegno di legge ha due finalità: la prima è quella dell’istituzione dell’ordine, la seconda quella della disciplina del conferimento, attraverso la quale noi vogliamo creare anche la protezione giuridica dell’ordine della Repubblica. Questa protezione giuridica si risolve, innanzitutto, nel divieto ai cittadini italiani di ricevere onorificenze da parte di Stati esteri, qualora non siano autorizzati dal Presidente della Repubblica; e poi dal divieto di conferire ordini da parte di associazioni di diritto privato, siano magari esse di carattere dinastico o patrimoniale, come si dice, perché noi assumiamo che soltanto allo Stato spetta il diritto di concedere onorificenze, in quanto esso solo è la fons honorum.
Queste due finalità sono inscindibili e, per questa ragione, noi non possiamo ammettere la soppressione degli articoli dall’1 al 6 per passare all’articolo 7. Chiediamo, dunque, al Senato che esso voti l’articolo così com’è.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, per esprimere il parere del Governo.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Non ho nulla da aggiungere alle considerazioni fatte precedentemente. Naturalmente, il Governo è contrario alla soppressione dell’articolo 1.

Votazione per appello nominale.

PRESIDENTE – Faccio presente al Senato che dai senatori Gavina, Buffoni, Fantuzzi, Li Causi, Boccassi, Ferrari, Minio, Spezzano, Menotti, Voccoli, Lanzetta, Picchiotti, Mancini, Rizzo Domenico e Sinforiani è stato richiesto che la votazione su questo emendamento avvenga per appello nominale.
Estraggo pertanto a sorte il nome dei senatore dal quale dovrà cominciare l’appello.
È estratto a sorte il nome del senatore Allegato.
Avverto il Senato che chi voterà intende accettare l’emendamento del senatore Nobili, soppressivo dell’articolo 1; chi voterà no intende respingerlo.
Prego il senatore segretario di procedere all’appello nominale, cominciando la chiama dal senatore Allegato.
CERMENATI, Segretario, fa la chiama.

Segue la votazione.

Rispondono i senatori Adinolfì, Anfossi, Asquini, Barbareschi, Barontini, Benedetti Tullio, Bergmann, Boccassi, Bocconi, Boeri, Buffoni, Caldera, Cappellini, Carmagnola, Cavallera, Cermenati, Cerruti, Conti, Cosattini, Fantuzzi, Farina, Fazio, Ferrari, Filippini, Gasparotto, Gavina, Giacometti, Grieco, Crisolia, Jannelli, Labriola, Lanzetta, Lazzarino, Leone, Li Causi, Lucifero, Lussu, Mancini, Marani, Mariotti, Massini, Menotti, Minio, Molè Salvatore, Molinelli, Momigliano, Musolino, Nitti, Nobili, Parri, Picchiotti, Piemonte, Pieraccini, Priolo, Raja, Ricci Federico, Rizzo Domenico, Romita, Salvagiani, Sapori, Scoccimarro, Sinforiani, Spezzano, Tambarin, Tamburrano, Tissi, Tomasi della Torretta, Tonello, Troiano, Voccoli, Zanardi.
Rispondono no i senatori: Angelini Cesare, Angelini Nicola, Azara, Bastianetto, Battista, Bertone, Bisori, Boggiano Pico, Borromeo, Bosco, Braitenberg, Braschi, Buizza, Cadorna, Canaietti, Gaudenti, Caporali, Carbonari, Carboni, Carelli, Casardi, Cemmi, Cerica, Ceschi, Ciampitti, Ciasca, Ciccolungo, Cingolani, Conci, Corbellini, De Bosio, De Luca, Di Rocco, Donati, Elia, Falck, Fantoni, Farioli, Ferrabino, Focaccia, Gava, Gelmetti, Genco, Gerini, Giardina, Grava, Guarienti, Guglielmone, Italia, Jannuzzi, Lamberti, Lanzara, Lavia, Lepore, Lodato, Lovera, Macrelli, Magli, Magliano, Magrì, Malintoppi, Marconcini, Martini, Menghi, Merlin Umberto, Miceli Picardi, Minoja, Monaldi, Ottani, Page, Pasquini, Pezzini, Piscitelli, Quagliariello, Ricci Mosè, Riccio, Romano Antonio, Romano Domenico, Russo, Saggioro, Salvi, Sanmartino, Santero, Schiavone, Tafuri, Tessitori, Tomè, Tommasini, Toselli, Traina, Tupini, Turco, Uberti, Vaccaro, Valmarana, Varriale, Vigiani, Zane, Zelioli,
Si astengono i senatori Merlin Angelina, Salomone.

Risultato della votazione

PRESIDENTE – Comunico al Senato i risultati della votazione per appello nominale:

Votanti 171
Favorevoli 71
Contrari 98
Astenuti 2

Il Senato non approva.

Senato della Repubblica, seduta del 10 novembre 1950

Ripresa della discussione

PRESIDENTE – All’articolo primo è stato presento dal senatore Terracini il seguente emendamento sostitutivo: «Sostituire alla dizione dell’articolo la seguente: “È istituita l’onorificenza al Merito della Repubblica, conferibile a coloro che abbiano acquistato speciali benemerenze verso la Nazione”».
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – Poiché il senatore Terracini non è presente, dichiaro di far mio questo emendamento.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il senatore Lucifero, per svolgere l’emendamento Terracini da lui fatto proprio.
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – Non ho voluto interloquire nella discussione generale, poiché volevo limitarmi a dar corpo alla mia opposizione partecipando alla votazione. Ho ritenuto, però, di far mio l’emendamento del senatore Terracini per ragioni di sistematica, ricordando che già una volta, trattandosi di materia analoga in sede di Costituente, fui pregato dalla Commissione dei 75 di redigere l’articolo transitorio 14, che regolava la materia affine a questa. Poiché si vuole a tutti i costi approvare questo disegno di legge, ritengo che sia opportuno, almeno, dargli una veste organica e più confacente, anche per non cadere ancora di più nel ridicolo. Osservo che ciò che questo disegno di legge istituisce è l’onorificenza e non l’“ordine”. Solo successivamente, fra coloro che saranno insigniti di questa onorificenza, potrà costituirsi una forma associativa, per quanto anche in questo caso sarà da vedere se possa essere definita “ordine” o no, nel senso cavalleresco della parola. Dicendo invece “ordine”, usiamo un’espressione non aderente alla nostra tradizione, mentre la parola onorificenza è quella adatta.
D’altra parte, l’emendamento Terracini non muta nulla della sostanza voluta da coloro che sono favorevoli a questo disegno di legge, conferendo a questo invece un abito più serio, più confacente alla sua sostanza. Fra le altre cose, debbo dire che se si accetta l’emendamento Terracini, si raggiunge anche il vantaggio di non dover discutere l’emendamento dell’onorevole Merlin Angelina, perché, pur non essendoci dubbio alcuno che, quando in uno Stato dove la Costituzione ha parificato i diritti dei due sessi, si parla di cittadini, si vuole alludere sia agli uomini che alle donne. Tuttavia, dicendo l’emendamento Terracini “a coloro”, se dubbio ancora potesse esistere sulla dizione originale, il testo Terracini questo dubbio elimina, con un pronome che si riferisce a tutti.
Tornando alla questione dell’“ordine”, rilevo come esso sia un germanesimo, in quanto viene fatto molto spesso l’equivoco fra onorificenza e ordine, perché nella lingua tedesca, cioè quella del Paese che ha dato origine a molti statuti feudali, orden significa appunto decorazione e non il corrispondente “ordine” italiano. Approvando l’emendamento Terracini, evitiamo anche una imperfezione linguistica.
Per tutte queste ragioni, propongo al Senato di approvare l’emendamento del senatore Terracini.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il relatore senatore Fantoni, per esprimere il parere della Commissione sull’emendamento Terracini, fatto proprio dal senatore Lucifero.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – La Commissione dichiara di non accettare l’emendamento Terracini. Io non mi perderò in disquisizioni con il senatore Lucifero, che di araldica ne sa più di qualunque altro componente del Senato. Tuttavia, devo osservare che ci sono – almeno per quanto ho appreso – due specie di onorificenze: quelle cavalleresche vere e proprie e quelle semplici. Queste ultime, a differenza delle altre, non danno diritto al titolo equestre, ma solo all’uso della decorazione, come sono quelle al Merito Rurale, al Merito Sportivo, la Medaglia al Valore Atletico e via dicendo. Nella tradizione italica e latina – come, del resto, per certe onorificenze russe – è usata la parola “ordine”, perché essa, in effetti, si coordina con la necessità di un ordinamento, con cariche e gerarchia; il che non sussiste, anzi sarebbe in disarmonia, con l’istituto delle onorificenze semplici. In conseguenza noi, che in questa legge ci siamo attenuti sempre alla tradizione e intendiamo di mantenervici, confermiamo la nostra adesione ai testo ministeriale ed invitiamo il Senato a respingere l’emendamento Terracini, fatto proprio dall’onorevole senatore Lucifero.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo, per esprimere il proprio parere.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Non credo che sia questa una questione di estrema importanza; credo che sia, piuttosto, una questione di forma. Voglio solo fare osservare che l’emendamento Terracini è in contrasto con un altro emendamento del senatore Terracini stesso, perché, dopo aver egli sostenuto con l’emendamento all’articolo primo che «È istituita l’onorificenza al Merito della Repubblica, conferibile a coloro che abbiano acquistato speciali benemerenze verso la Nazione», in fondo viene a creare lo stesso un ordine come struttura, quando egli, con l’emendamento all’articolo 2, dice che il Presidente dell’ordine è il Presidente della Repubblica.
Comunque, si tratta di una questione veramente di forma, per la quale il Governo si rimette al Senato.
TONELLO Tommaso (Gruppo misto) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
TONELLO Tommaso (Gruppo misto) – Dichiaro che voterò in favore dell’emendamento presentato dal senatore Terracini.
PRESIDENTE – Pongo in votazione l’emendamento sostitutivo dell’articolo primo, presentato dal senatore Terracini. Chi l’approva è pregato di alzarsi.
Dopo prova e controprova, non è approvato.

Segue ora un emendamento dei senatori Merlin Angelina, Montagnana Rita e Bei Adele.
Ne do lettura: «Sostituire alla dizione dell’articolo la seguente: “È istituita l’onorificenza al Merito della Repubblica, conferibile ai cittadini, uomini e donne, che abbiano acquistato speciali benemerenze verso la Nazione”». L’onorevole Merlin Angelina ha facoltà di illustrarlo.
MERLIN Angelina (Partito socialista italiano) – Il mio non è un emendamento, ma una proposta sostitutiva dell’articolo 1. Il signor Presidente mi ha fatto osservare che, con la dizione «ai cittadini», verrebbero ad essere esclusi gli stranieri. Io non ho nessuna difficoltà a sostituirla con la dizione «a coloro», poiché, in effetti, le onorificenze si conferiscono non soltanto ai cittadini italiani, ma anche agli stranieri che abbiano acquisito speciali benemerenze verso l’Italia.
Vi è un’altra ragione che costituisce lo scopo principale per il quale, anche a nome delle colleghe Montagnana e Bei, ho presentato questo articolo sostitutivo. A molti, esso può sembrare una cosa superflua, perché esiste già l’articolo 3 della Costituzione, nel quale è precisata l’uguaglianza dei diritti dei cittadini senza distinzione di sesso. Tale precisazione è stata voluta al tempo in cui si è redatta la Costituzione, affinché non dovessero sorgere equivoci in proposito. Perché non ci sia qualcuno che, in avvenire, voglia cavillare in questa materia e perché non avvengano equivoci, non per diffidenza, signori, insisto per specificare “uomini e donne”. È l’esperienza che ci rende prudenti.
Gli immortali princìpi proclamati nell’89, con tanta solennità, dalla rivoluzione francese ed accettati in tutte le Costituzioni dell’800, sono stati un’affermazione platonica, non solo nei riguardi dei diritti della persona umana, ma specialmente nei riguardi dei diritti della donna, tanto che, se le donne hanno voluto entrare nel mondo della politica, delle professioni ecc., hanno dovuto compiere successive lotte, durate oltre un secolo. Qui, in quest’Aula, ho sentito qualcuno – mi pare l’onorevole Cingolani – rievocare la voce di Ludovico Ariosto, ricordando la gran bontà dei cavalieri antiqui; ma non ho sentito nessuno ricordare questi altri versi dell’Ariosto: Le donne son venute in eccellenza/di ciascun’arte ove hanno posto cura. Il poeta ha creato magnifiche figure: da Angelica, sapiente nell’arte antica femminile della seduzione, a Bradamante, donna guerriera, forse in omaggio a quelle dame che ascoltavano estasiate la sua ottava d’oro e davano maggior fulgore al nostro glorioso Rinascimento.
Onorevoli colleghi, in tutti i tempi, presso tutti i popoli, ma specialmente da noi in Italia, ci sono state delle donne che hanno illustrato il Paese nelle arti, nelle professioni e con gli eroismi, ma nessuno mai ha riconosciuto il loro valore, anche quando, in certi campi, poteva essere uguale e, magari, superiore a quello degli uomini. Ricordiamo alcuni esempi di un tempo relativamente recente, il Risorgimento. Agli albori, Eleonora Fonseca Pimentel, che ha affrontato il patibolo, e poi Teresa Casati Confalonieri, Adelaide Cairoli, la principessa Belgioioso, Anita Garibaldi e via via tante altre che sono ricordate dalla storia. Ma quante altre eroine non hanno avuto il minimo riconoscimento!
Veniamo, onorevoli signori, ad altri esempi di coraggio, ugualmente gloriosi, avutisi nel secondo Risorgimento. Migliaia e migliaia di Anite hanno calcato i passi della superba eroina. Io ho qui un opuscolo, dove si cita il nome di queste donne e le gesta che hanno compiuto. In un articolo di questo opuscolo si ricorda: «L’arrivo delle prime colonne tedesche nelle città italiane del nord (…) e fra tanto sgomento, furono le donne per le prime ad agire; e i gesti che possono apparire di pietà furono atti di coraggio. Per merito di queste nuove Anite, gli invasori capirono che non avevano solo contro una schiera di partigiani, ma tutto un popolo». Vi sono anche le cifre, cifre di gloria, e mi piace ricordarle, perché qui nessuno mai le ha citate. Donne appartenenti ai gruppi di difesa della donna: 70.000. Al Comitato nazionale che risiedeva a Milano e che faceva parte del C.L.N.A.I. appartenevano non solo le donne socialiste e comuniste, ma anche la vostra onorevole Laura Bianchini, o colleghi dell’altra parte; apparteneva Ada Gobetti, del Partito d’azione, e Mary Collino Panse, del Partito liberale, e un’altra di cui mi sfugge il nome, del Partito repubblicano. Tutte insieme, senza distinzione di partito politico, hanno costituito le prime opere di soccorso e di difesa dal nazifascismo, in quei momenti difficili.
Noi abbiamo ancora: donne partigiane, 15.000; arrestate, torturate, condannate, 4.653; fucilate e cadute, 663; deportate in Germania, 2.750. Questi sono dati ufficiali, ma tanti altri dati si potrebbero raccogliere, per dimostrare l’eroismo delle donne.
Valga per tutte il ricordo delle 12 medaglie d’oro: Bandiera Irma, Borellini Gina, Bianchi Lidia, Capponi Caria, Davoli Bruna, Degli Espositi Gabriella, Enriquez Anna Maria, Lorenzoni Tina, Marghetto Ancilla, Menguzzato Clorinda, Rosani Rita, Rossi Modesta. A tutte queste donne, naturalmente, è dovuta una ricompensa per quel che hanno fatto per la Repubblica Italiana. Molte di esse sono morte, altre vivono in umiltà.
Devo ricordare che l’onorevole Fantoni, giustamente, ha detto: gli uomini non sono quel che dovrebbero essere, ma sono quel che sono. Per le donne, è la stessa cosa. Noi siamo «vermi nati a formar l’angelica farfalla», ma siamo, purtroppo, vermi con tutte le nostre debolezze. Perché le donne non dovrebbero aspirare alle stesse onorificenze, così sollecitate dagli uomini?
Permettetemi di raccontarvi un episodio. Andai, un giorno, a visitare un modesto ospedale di provincia. Entrata nella sala chirurgica dove s’era appena finito di operare, alla vista dei pezzi anatomici – poiché in questo campo non sono molto coraggiosa – provai un senso profondo di sgomento. Vicino a me era una suora e le domandai: «Suora, assistete a tutte le operazioni?» «Sì», disse lei. E poiché aveva visto sul mio viso i segni dello sgomento, soggiunse: «La prima volta sono svenuta. Ma poi il Signore mi ha dato coraggio e io spero che un giorno il Signore mi premi.» Allora io le dissi «Ma senta, suora, se lei non sperasse nel premio, crede proprio che tralascerebbe di compiere la sua missione?» E la suora mi rispose: «No, non lo farei; lo faccio soltanto per il premio che io attendo». Ed io aggiunsi, facendo la parte del diavolo: «Ma bisogna farlo lo stesso, anche senza ricompensa». La suora mi ripeté «Oh! no! no!» Allora il medico, sorridendo, mi disse: «Sa, signora, la morale kantiana non attacca qui». Capii questo, che la suora era cristiana e si dedicava a quell’opera con grande senso di altruismo e di pietà in quel luogo di dolore, con un senso, vorrei dire, superiore di pietà ed il premio al quale essa aspira trascende dalla ricompensa appariscente. Tuttavia, se quella pia suora, che sacrificava tutta la sua gioventù, tutta la sua umanità a pro degli altri, lo faceva comunque perché attendeva un premio, perché vogliamo negarlo alle persone comuni? O negarlo anche solo alle donne? Per le donne, voglio aggiungere questo: il Cristianesimo, che pone la giustizia al di là della vita terrena, non ammette distinzioni tra uomini e donne. Tutti devono essere giudicati alla stessa maniera, secondo le loro colpe o le loro buone azioni. Dunque, bisogna riconoscere il merito anche su questa terra ed io spero che l’Italia, uscita da un profondo travaglio, l’Italia che deve slanciarsi nell’avvenire attuando princìpi di vera giustizia e di vera libertà, vorrà anche togliere dalle nostre leggi tutto quello che significa mondo del passato, che significa, soprattutto, inferiorità o schiavitù delle donne italiane. (Vivi applausi, molte congratulazioni).
DONATI Albino (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
DONATI Albino (Democrazia cristiana) – Desidero chiarire che della proposta di emendamento dell’onorevole Merlin non c’è solo da decidere sulla questione relativa all’assegnazione delle decorazioni, sia agli uomini che alle donne…
PRESIDENTE – Onorevole Donati, le faccio rilevare che la questione è stata limitata a questo punto. Quando ho messo in votazione l’emendamento del senatore Terracini, siamo rimasti intesi con la senatrice Merlin che restava soltanto impregiudicata la questione se si dovesse aggiungere la dizione «per gli uomini e per le donne». Quindi, eventualmente, l’emendamento verrebbe inserito nel testo della Commissione.
DONATI Albino (Democrazia cristiana) – Mi permetta di aggiungere una parola. Se passasse l’emendamento dell’onorevole Merlin, così come è formulato, dovrebbe passare anche la dizione «che abbiano acquistato speciali benemerenze». Mi permetto di richiamare l’attenzione del Senato sul predicato verbale “che abbiano acquistato”. Se noi adottiamo la forma verbale “abbiano acquistato”, a prescindere dalla volgarità del significato letterale corrente, qualcuno potrà essere indotto a credere che la concessione di queste onorificenze sia fatta solo per coloro che hanno già acquistato speciali benemerenze al momento della pubblicazione della legge. (Interruzioni, proteste).
Se adottiamo, poi, quella di “acquistino” e soltanto quella, si potrà ritenere che la legge condenda sia operante solo per benemerenze acquisite dopo la sua entrata in vigore.
A dissipare ogni dubbio, è necessario resti la formula della Commissione «abbiano acquistato o acquistino», da sostituirsi eventualmente con altra migliore, purché sia chiaro che la legge condenda è operante tanto per premiare benemerenze acquisite ante litteram, quanto per quelle che verranno ad acquisirsi post legem, accertabili, s’intende, al momento della concessione.
PRESIDENTE – Onorevole Donati, il testo della Commissione è quello che è e credo che non ci sia bisogno di precisare che, quando si diceva “abbiano acquistato”, si intendeva riferirsi non ad oggi ma al momento in cui si darà la onorificenza.
DONATI Albino (Democrazia cristiana) – È appunto questo chiarimento che io volevo ottenere.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il relatore, per esprimere il pensiero della Commissione.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – La Commissione aveva ben presente tutte le osservazioni fatte dalla senatrice Merlin e tutte le benemerenze che la donna si è acquistate nelle arti, nelle scienze nell’insegnamento, nella pubblica assistenza ed anche nella casa. Per cui, quando ha formulato l’articolo primo, non ha avuto il minimo dubbio di associare la donna agli uomini nel diritto alla onorificenza. D’altra parte, ciò è in armonia alla Carta Costituzionale, che pareggia nei diritti e nei doveri le donne agli uomini. Se la senatrice Merlin avesse letto attentamente la mia relazione, avrebbe trovato subito la risposta, perché in essa sta scritto: «con formula ampia che non può lasciare adito a distinzioni di sesso o fra cittadini e stranieri, l’articolo 1 esplicitamente afferma la destinazione dell’ordine». Comunque, a maggior tranquillità della senatrice Merlin, resti consacrata questa dichiarazione che faccio a nome della Commissione e, cioè, che l’articolo 1 contempla non solo gli uomini, ma anche le donne.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato, per esprimere il pensiero del Governo.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Io credo che, date le dichiarazioni esplicative fatte dal rappresentante della Commissione sulla sostanza del problema, cioè sulla possibilità che dell’ordine cavalleresco siano fatte oggetto anche persone di sesso femminile, non c’è questione. Si tratta di vedere se debba essere specificato o no. Il Governo non ha ritenuto di doverlo specificare, perché oggi non si specifica più quello che è detto nell’articolo 3 della Costituzione e, cioè, che sono equiparati davanti alla legge gli uomini e le donne.
Vorrei, perciò, invitare la senatrice Merlin di accontentarsi di quella che è l’interpretazione autentica fatta dal Senato. Infatti, in molte leggi dopo l’entrata in vigore della Costituzione non si è fatta più la specificazione, si è sempre inteso pacificamente che, nelle leggi di carattere amministrativo, come per i concorsi, quando si dice «coloro» siano ormai comprese anche le donne, salvo che non si dica che siano escluse, perché solo in questo caso viene specificato. Forse lei, senatrice Merlin, volendo ottenere un piccolo risultato di ordine cavalleresco, pregiudicherebbe quella che è la sostanza del problema. La inviterei, quindi, a non insistere perché sia messo in votazione in suo emendamento.
MERLIN Angelina (Partito socialista italiano) – Io, personalmente, posso anche essere dell’opinione di Garibaldi, di trattare tutti nella stessa maniera; però, ho parlato a nome delle donne che non si fidano più degli uomini. (Commenti. Ilarità).
PRESIDENTE – Domando alla senatrice MerIin se insiste nel suo emendamento.
MERLIN Angelina (Partito socialista italiano) – Non insisto.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Capisco che cosa ha voluto dire la Commissione, cioè ha voluto dire che l’ordine cavalleresco è destinato a dare una particolare attestazione a coloro che acquistino speciali benemerenze. Però, il fatto che dà diritto, che crea una aspettativa per l’onorificenza è un fatto, naturalmente, che precede il conferimento. Quindi, non possiamo dire “che abbiano acquistato o acquistino”, perché l’hanno sempre acquistato. Noi potremmo stabilire una forma di compromesso e invece di “acquistino”, come nel testo ministeriale, si potrebbe porre “che abbiano acquistato”.
RICCIO Mario (Democrazia cristiana) – Faccio proposta di togliere «che abbiano acquistato od acquistino» e di porre invece le parole “che abbiano speciali benemerenze”.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Il Governo è favorevole a questa dizione.
PRESIDENTE – Pongo in votazione l’emendamento presentato in questo momento dal senatore Riccio, di sostituire alle parole «che abbiano acquistato od acquistino» solo le altre «che abbiano».
Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Pongo in votazione l’articolo 1 così emendato.

Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Il seguito di questa discussione è rinviato alla seduta pomeridiana di martedì 14 novembre.

Senato della Repubblica, seduta del 17 novembre 1950

PRESIDENTE (Adone Zoli) – L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: «Istituzione dell’Ordine cavalleresco al Merito della Repubblica Italiana e disciplina del conferimento dell’uso delle onorificenze».
Ricordo al Senato che in una precedente seduta fu approvato l’articolo 1.
Passiamo ora all’esame dell’articolo 2, di cui do lettura:

Art. 2.

«Capo dell’Ordine è il Presidente della Repubblica.
L’Ordine è retto da un Consiglio composto di un Cancelliere, che lo presiede, e di sedici membri.
Il Cancelliere è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri. I membri del Consiglio dell’Ordine sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e sono per metà designati, quattro per ciascuna delle due Camere e nel loro seno, e per metà scelti tra cittadini eminenti.
Il Consiglio elegge nel proprio seno una Giunta di quattro membri. La Giunta è presieduta dal Cancelliere».

A questo articolo è stato presentato un emendamento soppressivo, da parte del senatore Nobili. Tale emendamento è però decaduto, in seguito all’approvazione dell’articolo 1 ed è in ogni caso da considerare ritirato, data l’assenza del presentatore.
È stato inoltre presentato il seguente emendamento da parte del senatore Terracini:
«Sostituire la dizione dell’articolo con la seguente:
Presidente dell’Ordine è il Presidente della Repubblica.
L’Ordine è retto da un Consiglio composto di 16 membri.
I membri del Consiglio durano in carica 5 anni e sono nominati per la prima volta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri. Dallo scadere del primo quinquennio essi verranno eletti dagli insigniti della onorificenza.
Il Consiglio elegge nel proprio seno un Vice Presidente e una Giunta di 4 membri. La Giunta è presieduta dal Vice Presidente.
In caso di assenza o di impedimento del Presidente, il Consiglio è presieduto dal Vice Presidente».
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – Onorevole Presidente, poiché il senatore Terracini non è presente, faccio mia la sua proposta di modificazione.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il senatore Menotti, per svolgere questo emendamento.
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – L’intendimento del presentatore di questo emendamento è quello di innovare l’articolo, sopprimendo la figura del Cancelliere e, in luogo del Cancelliere, porre un vice Presidente eletto. In tal modo, l’Ordine sarebbe presieduto, secondo l’emendamento fatto mio, dal Presidente della Repubblica e, in sua vece, dal Vice Presidente. Il che vuol dire che, normalmente, il Presidente del Consiglio e della Giunta sarà il Vice Presidente dell’Ordine.
Noi crediamo, ugualmente, che non sia il caso di scegliere i membri del Consiglio in parte nel Parlamento e proponiamo che siano scelti fra cittadini degni ed illustri del Paese.
Successivamente, l’emendamento Terracini fatto mio, quando siano trascorsi i primi cinque anni propone che l’elezione del nuovo Consiglio, del nuovo organo dirigente dell’ordine, sia fatto in modo democratico: che, cioè, gli stessi insigniti dell’ordine lo eleggano loro stessi nel loro seno. Si può, con un emendamento, specificare “a scrutinio segreto”. L’essenziale è che il funzionamento dell’ordine sia permeato di un contenuto democratico. Questi sono i motivi per i quali ho fatto mio l’emendamento del senatore Terracini.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole Fantoni, relatore, per esprimere il parere della Commissione.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – La Commissione non crede di poter accettare l’emendamento Terracini, fatto proprio dal senatore Menotti. Con esso si tende a limitare, nel tempo, la durata della carica dei membri del Consiglio dell’ordine, all’elezione loro da parte degli insigniti allo scadere di quelli di prima nomina, all’esclusione dei parlamentari dal Consiglio stesso e, infine, alla sostituzione di un Vice Presidente al posto del Cancelliere. Prendo le mosse da quest’ultima proposta.
Non credo si abbia paura della parola “Cancelliere”. Comunque, cambiando la parola, cambieremmo anche la sostanza delle cose e porremmo il Presidente della Repubblica in condizione che non ritengo, costituzionalmente, ammissibile. Un Vice Presidente, infatti, suppone un Presidente ed il Presidente non potrebbe essere che il Capo dell’ordine e, cioè, il Presidente della Repubblica.
Secondo il disegno di legge, il Cancelliere ha una funzione reale e non solo nominale e, nell’esercizio di codesta funzione, egli deve compiere o proporre provvedimenti che vanno poi sottoposti al Capo dello Stato. Se gli si toglie l’autonomia e l’indipendenza, facendolo soltanto Vice Presidente, vale a dire un subordinato del Presidente, la conseguenza pratica, non plausibile – come dissi – sul piano costituzionale, è l’attribuzione di tali poteri al Presidente della Repubblica. Al quale spetterebbe, conseguentemente, anche l’amministrazione dell’ordine, con le relative responsabilità.
Non ci sembra, d’altronde, accettabile la proposta della nomina a termine e neppur quella dell’elezione da parte degli insigniti dei membri del Consiglio. Non la prima, perché la nomina a vita o senza scadenza fissa dà un’indipendenza superiore a quella che potrebbe avere un Consiglio nominato a termine; non la seconda, la quale non trova riscontro nei precedenti e si manifesta di assai difficile autorizzazione pratica.
Non dimentichiamoci che noi vogliamo, come ho detto nel mio intervento alla fine della discussione generale, che l’onore di appartenenza all’ordine deve essere altissimo; epperò, all’ordine vanno assicurati il massimo prestigio ed il più grande decoro, sia con l’ineccepibilità morale e di merito della persona decorata, sia con il numero limitato dei conferimenti, sia con l’esclusione di chi se ne renda indegno. Ora, l’organo deve essere composto per modo da garantire ed assicurare codesto prestigio, anche di fronte a quelle che potrebbero essere le benevoli condiscendenze del Governo. Non parlo del Governo attuale, ma di qualsiasi Governo. Io non dubito che l’esecutivo si asterrà dalle proposte di conferimento per acquistare voti o per fare opera di corruttela politica perché, in questo caso comprometterebbe il prestigio delle stesse istituzioni repubblicane; ma ritengo che un freno ed un controllo esso debba pur avere. E questo freno e questo controllo saranno tanto più efficaci quanto più saranno autorevoli coloro che saranno chiamati a far parte del Consiglio dell’Ordine. E codesta autorevolezza noi la vediamo attraverso i parlamentari ed i cittadini eminenti.
PRESIDENTE – Per i parlamentari, vi è un emendamento dell’onorevole Tessitori. Per ora, parliamo dell’emendamento sostitutivo dell’onorevole Terracini.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Il senatore Tessitori non c’è ora…
PRESIDENTESe non c’è, è una ragione di più per non parlarne!
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – La Commissione non crede, quindi, di poter accettare, per le ragioni suesposte, l’emendamento dell’onorevole Terracini.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole Andreotti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, per esprimere il parere del Governo.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Concordo con la Commissione nel pregare il Senato di non accettare l’emendamento dell’onorevole Terracini. Nel redigere il testo governativo, infatti, è stato tenuto presente non soltanto lo schema tradizionale degli ordinamenti cavallereschi, ma anche la necessità che, pur attribuendo nell’Ordine il primo posto al Presidente della Repubblica, ci fosse una responsabilità, per il buon funzionamento dell’Ordine stesso, configurata nel Cancelliere.
PRESIDENTE – Pongo in votazione l’emendamento sostitutivo dell’articolo 2, proposto dal senatore Terracini e fatto proprio dal senatore Menotti. Tale emendamento non è accettato né dalla Commissione, né dal Governo. Chi l’approva, è pregato di alzarsi.

Non è approvato.

I senatori Tessitori, Lavia, Tommasini, Rosati, Varriale e Bertone hanno proposto di sopprimere, nel terzo comma, le seguenti parole: «e sono per metà designati, quattro per ciascuna delle due Camere e nel loro seno, e per metà scelti tra cittadini eminenti».
Ha facoltà di parlare il senatore Tommasini.
TOMMASINI Raffaele (Democrazia cristiana) – Il nostro emendamento si spiega da sé. La nostra è una proposta pratica, che risale all’intenzione di non far arrivare alla competenza del Parlamento la nomina di una parte del Collegio dell’Ordine. Si tratta, a nostro parere, di cosa estranea dalla competenza del Parlamento e, pertanto, noi abbiamo ritenuto di proporre tale soppressione. Comunque, ci rimettiamo alla volontà dell’Assemblea.
BOSCO Giacinto (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
ROSCO Giacinto (Democrazia cristiana) – Mi dichiaro favorevole all’emendamento Tessitori, in quanto che mi sembra, tra l’altro, che il testo originario violi un principio essenziale della nostra Costituzione, quale è quello della divisione dei poteri. È vero che noi, in altre occasioni di vera e propria delega della funzione legislativa, abbiamo deciso di fare assistere il Governo da Commissioni parlamentari. Ciò è avvenuto nella legge per la Sila e nella legge di delega per le tariffe doganali. In quei casi, era più che giustificato che il Parlamento desiderasse di seguire l’opera del Governo, il quale esercitava una funzione legislativa delegata. Nel presente caso, però, come statuisce la Costituzione, il conferimento delle onorificenze è compito proprio del Presidente della Repubblica. Mi sembra, quindi, che sarebbe una commistione non logica quella di unire una Commissione parlamentare a quella che è una funzione propria del potere esecutivo. Pertanto, sono favorevole all’emendamento che si propone e contrario al testo presentato dalla Commissione, in quanto, trattandosi dell’esercizio di una funzione propria, il potere esecutivo deve agire senza l’assistenza di Commissioni parlamentari.
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – Desidero anch’io associarmi a quanto è stato detto a sostegno della giustissima proposta del collega Tessitori e di altri. Non voglio ripetere gli argomenti che sono già stati detti dal collega Tommasini e dal collega Bosco, che ha fatto anche riferimento ad un interessante rilievo giuridico costituzionale della questione. Vorrei soltanto far presente che non è opportuno né per il Parlamento, né per il Governo, che i parlamentari siano continuamente spostati in funzioni che sono completamente estranee alla natura del loro ufficio. Il che, mentre molto spesso non serve ad impedire che, egualmente, le cose prendano il corso che debbono prendere, espone le loro individuali persone e il Parlamento intero a critiche che finiscono, tante volte, col non essere neppure ingiustificate. Io credo che il Parlamento, in un Paese che ama la sua libertà, sia qualcosa di sacro, che deve essere toccato il meno che sia possibile, perché ha tutti i mezzi per esercitare i suoi controlli, quando lo vuole, nella sua sede e nelle forme che gli sono proprie. Per il resto, lasciamo che facciano gli altri, ché il Parlamento sarà il giudice, perché dirà se hanno fatto bene. Se i suoi rappresentanti vengono immischiati, diremo cosi, in azioni esecutive, gli si crea una altra difficoltà alle tante che può avere per compiere serenamente la sua opera.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il relatore, per esprimere il parere della Commissione.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – La Commissione si è trovata di fronte ad un testo che è stato presentato dal Governo, il quale, proponendo, fra i membri del Consiglio, dei parlamentari, ha forse ritenuto di rendere un omaggio al Parlamento. La Commissione l’ha accettato apportandovi la modifica relativa alla nomina, ben lontana dal pensare che la presenza di parlamentari nel Consiglio costituisca un’interferenza del legislativo nell’esecutivo, quando non si tratta che di dare dei pareri. Noi invece pensiamo – e lo dissi poco fa discutendo l’emendamento Terracini – che la presenza dei parlamentari accanto ai cittadini eminenti servirà a dare maggiore autorevolezza al Consiglio e maggior prestigio all’ordine. Comunque, se il Senato crederà inopportuno che del Consiglio dell’Ordine facciano parte dei parlamentari, non ha che da pronunciarsi.
È in realtà al Senato che, nella sua sensibilità politica, tocca di dire: voglio o non voglio che dei parlamentari facciano parte del Consiglio, nel quale sarebbero chiamati per dare un parere, ma anche per esercitare un controllo e conferire prestigio. Che se il Senato crederà di dire: non voglio ne facciano parte, per le ragioni dette dal senatore Bosco e dal senatore Lucifero, noi della Commissione ci inchineremo. La Commissione, però, è favorevole al testo proposto dal Governo, con le modifiche da essa apportatevi e non accetta l’emendamento Tessitori, fatto proprio dall’onorevole Tommasini, perché – a parte l’eliminazione dei membri parlamentari – sopprime ogni criterio di selezione nelle nomine dei membri del Consiglio.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole Andreotti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, per esprimere il parere del Governo.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Penso che non si possa accogliere l’obiezione pregiudiziale del senatore Bosco, nel senso di riconoscere che si tratterebbe, in questo caso, di una manifestazione di confusione di poteri, perché i membri dei due rami del Parlamento, pur essendo designati dall’una e dall’altra Camera, non interverrebbero nel Consiglio dell’ordine in rappresentanza del Parlamento.
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – E cosa sono, allora?
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Sono persone eminenti, qualificate ex officio, che farebbero parte del Consiglio in rappresentanza del proprio nome e della propria persona e non del Parlamento.
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – Il mandato dato dal Parlamento rappresenta sempre il Parlamento.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Non è vero, si tratta di una semplice designazione: cioè, il Parlamento sceglie persone eminenti. Io escludo, quindi, che ci sia l’impossibilità giuridica di ammettere questa designazione da parte del Parlamento. Quello che importa è che il Consiglio, il quale dovrà reggere l’ordine cavalleresco, sia composto di persone al di sopra di ogni meschinità, di ogni piccolezza e che riscuotano una fiducia e un prestigio che è in funzione diretta del prestigio che avrà l’Ordine stesso. Se il Senato, però, ritiene che non si debba operare questa scelta e che sia meglio non contemplare l’obbligo di una quota – nel caso specifico, della metà dei membri del Consiglio – da designarsi dal Parlamento, certo il Governo non può che rimettersi al Parlamento stesso. Il Governo riterrebbe infatti scortese, nei riguardi del Senato, esprimere un proprio parere al riguardo.
PRESIDENTE – Pongo in votazione l’emendamento soppressivo dei senatori Tessitori, Lavia, Tommasini ed altri, del quale ho già dato lettura. Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

In seguito all’approvazione dell’emendamento soppressivo dei senatori Tessitori, Lavia, Tommasini ed altri, non ha più motivo di sussistere, al terzo comma, la distinzione tra la nomina del Cancelliere e quella dei membri del Consiglio dell’Ordine. Il comma potrebbe quindi essere così formulato:
«Il Cancelliere e i membri del Consiglio dell’Ordine sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri».
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – La Commissione è d’accordo.
PRESIDENTE – Pongo allora in votazione l’articolo 2 nel seguente testo modificato:

Art. 2.

Capo dell’Ordine è il Presidente della Repubblica.
L’Ordine è retto da un Consiglio composto di un Cancelliere, che lo presiede, e di sedici membri.
Il Cancelliere e i membri del Consiglio dell’Ordine sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri.
Il Consiglio elegge nel proprio seno una Giunta di quattro membri. La Giunta è presieduta dal Cancelliere.

Chi lo approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Do ora lettura dell’articolo 3:

Art. 3.

«L’Ordine è composto di cinque classi: Cavalieri di Gran Croce, Grandi Ufficiali, Commendatori, Ufficiali e Cavalieri.
Per altissime benemerenze può essere eccezionalmente conferita la decorazione di Gran Cordone.
Il numero massimo delle nomine che potranno farsi annualmente nelle cinque classi è determinato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti il Consiglio dei Ministri ed il Consiglio dell’Ordine».
Il senatore Nobili aveva proposto la soppressione dell’articolo, ma in seguito all’approvazione dell’articolo 1, questo emendamento s’intende decaduto.
Il senatore Terracini ha proposto di sostituire la dizione del primo comma con la seguente: «L’onorificenza al Merito della Repubblica è conferibile nel primo, secondo e terzo grado».
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – In assenza dell’onorevole Terracini, faccio mio questo emendamento.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il senatore Menotti, per illustrare l’emendamento.
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – La ragione per la quale sosteniamo questo emendamento è la seguente: a noi sembra che l’articolo, così come è proposto nel testo governativo, al primo comma non fa che ricalcare fedelmente o pressoché fedelmente l’Ordine della Corona d’Italia, con le sue classi e denominazioni arcaiche. Pensiamo che occorre svecchiare, cambiare e rinnovare il sistema con criteri moderni. Così, siamo del tutto contrari a queste denominazioni di Cavaliere, Cordone o di Gran Cordone. Con l’emendamento Terracini, tutte queste cianfrusaglie, scusatemi la parola, vengono soppresse. Pensiamo anche che non occorra istituire molte classi o gradi. Nel testo governativo si propongono cinque classi con denominazione per ciascuna di esse. Nell’emendamento che sosteniamo, invece, ci sono tre soli gradi: primo, secondo e terzo grado, così come in molti Paesi si fa con forme più moderne e sbrigative, senza queste denominazioni che ricordano cose del tutto trapassate.
PRESIDENTE – Onorevole Menotti, le faccio osservare che, quando fu discusso l’articolo, il senatore Terracini presentò un emendamento tendente a sostituire alle parole «è istituito l’Ordine» le altre “è istituita l’onorificenza”. Il Senato non approvò tale proposta di modificazione. Ora, mi pare che l’emendamento in discussione sia collegato con quello già proposto all’articolo 1.
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – L’onorevole Terracini non ha fatto della denominazione una questione fondamentale. Successivamente, noi incontreremo infatti degli emendamenti presentati dal senatore Terracini che cominciano con la parola “Ordine”. Quel che mi pare sia fondamentale in questo emendamento è la questione dei tre gradi.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il senatore Fantoni, per esprimere il parere della Commissione.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – La distinzione in cinque classi è conforme alla tradizione latina italiana. Se si considera, infatti, l’Ordine nobilissimo della Legion d’Onore, si trova che ci sono proprio queste cinque distinzioni: Cavaliere, Cavaliere Ufficiale, Commendatore, Grande Ufficiale e Gran Croce decorato del Gran Cordone. D’altra parte, non dobbiamo dimenticare due cose: innanzi tutto, che siamo in Italia, dove vi sono anche gli ordini della Santa Sede che hanno distinzioni eguali; e non dobbiamo dimenticare che, con un articolo successivo, noi autorizziamo coloro che sono stati decorati nella Corona d’Italia e nell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro a usare dei titoli e delle onorificenze stesse. Mi pare, quindi, che se noi deviamo da questa che è la via tradizionale, ci mettiamo in una situazione di inferiorità di fronte a quella che può essere la vanità umana del titolo. La classificazione proposta lascia, d’altronde, la possibilità di una graduazione ai meriti ed alle cariche. Per queste ragioni, la Commissione ritiene di dover insistere nel testo proposto, al quale, però, potrà essere apportato il correttivo che suggerisce il senatore Lucifero e che io credo senz’altro accettabile.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole Andreotti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, per esprimere il parere del Governo.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Per le ragioni sostanzialmente esposte dalla Commissione, il Governo prega di mantenere il proprio testo, accolto dalla Commissione medesima, perché si tratta di una terminologia che è propria non solo della Legione d’Onore, come ha ricordato il senatore Fantoni, ma anche di tutti gli ordinamenti a cui si è inspirata l’onorificenza che noi andiamo creando con questa legge.
ZANARDI Francesco (Gruppo misto) – Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
ZANARDI Francesco (Gruppo misto) – Dichiaro che voterò contro la legge, perché contrario a tutti i titoli. Però, mi sembra assurdo che in un Paese come il nostro, di gente intelligente, si debbano avere due ordini, uno dei Cavalieri della Corona d’Italia, monarchico, ed uno dei Cavalieri della Repubblica.
La questione è molto importante per gli aspiranti a titoli onorifici, non per me, che io non ho mai voluto e mai vorrò. Si può prevedere che i gradi comuni alle onorificenze tanto della monarchia come della Repubblica portino confusione nel Paese, sì che sarebbe io direi preferibile annullare le onorificenze distribuite in passato, che sono ancora moltissime. Per queste considerazioni, trovo assurda la differenza tra Commendatori vecchi e Commendatori nuovi: la cosa non mi è chiara e tranquilla. Anche per questo, io voterò contro.
RIZZO Domenico (Partito socialista italiano) – Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
RIZZO Domenico (Partito socialista italiano) – Noi voteremo favorevolmente all’emendamento Terracini, soprattutto perché ci pare che occorra creare un motivo di distinzione tra la “chincaglieria” già distribuita e quella da distribuire.
PRESIDENTE – Pongo in votazione l’emendamento sostitutivo del senatore Terracini, fatto proprio dal senatore Menotti, di cui ho già dato lettura. Chi l’approva è pregato di alzarsi.

Non è approvato.

Segue ora un emendamento, presentato dai senatori Tessitori, Lavia, Tommasini, Rosati, Varriale e Bertone, tendente a sostituire la dizione del primo e del secondo comma con la seguente:
«L’Ordine ha cinque classi: Gran Cordone, Grande Ufficiale, Commendatore, Cavaliere Ufficiale e Cavaliere.
La decorazione di Gran Cordone viene conferita per altissime benemerenze o in via eccezionale».
Al fine di rendere più chiara la discussione, è opportuno esaminare prima la parte dell’emendamento che si riferisce al primo comma e, successivamente, la proposta di modificazione relativa al secondo comma.
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – Io credo che bisogna mantenere, con una piccola correzione formale, il testo della Commissione, perché le classi sono cinque, cioè Cavalieri di Gran Croce, Grand’Ufficiali, Commendatori, Cavalieri Ufficiali, Cavalieri. Queste sono le classi. In via eccezionale, il Cavaliere di Gran Croce può essere decorato del Gran Cordone. È una decorazione che si può dare soltanto a chi è Cavaliere di Gran Croce, ma la classe rimane sempre quella. Credo, quindi, che bisogna mantenere la dizione della Commissione con una piccola aggiunta: «Per altissime benemerenze, può essere eccezionalmente conferita ai Cavalieri di Gran Croce la decorazione di Gran Cordone».
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il senatore Tommasini, per illustrare l’emendamento.
TOMMASINI Raffaele (Democrazia cristiana) – Rinuncio a svolgere l’emendamento. Ma osservo che nel primo comma – non so se la Commissione abbia qualche difficoltà in proposito – c’è anche la proposta di dire, anziché “Ufficiali”, semplicemente, “Cavalieri Ufficiali”. E dico poi, per ribattere quello che diceva un collega dell’altra parte, che non si dice bene quando chiamiamo “chincaglieria del passato” queste onorificenze; è, se mai, una “chincaglieria” che viene dal Presidente della Repubblica e non dal Re. C’è differenza, quindi! Mi rimetto, ad ogni modo, alla Commissione, non insistendo nell’emendamento.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – La Commissione non aderisce all’emendamento Tommasini, ma è d’accordo con il senatore Lucifero, del quale accetta la modificazione proposta al secondo comma.
PRESIDENTE – Poiché il senatore Tommasini non insiste nell’emendamento, pongo in votazione il primo comma dell’articolo 3, che rileggo:
«L’Ordine è composto di cinque classi: Cavaliere di Gran Croce, Grande Ufficiale, Commendatore, Ufficiale e Cavaliere».

Chi l’approva, è pregato di alzarsi.

È approvato.

Do lettura del secondo comma, nel testo proposto dal senatore Lucifero ed accettato dalla Commissione:
«Per altissime benemerenze, può essere eccezionalmente conferita ai Cavalieri di Gran Croce la decorazione di Gran Cordone».
Il senatore Terracini aveva proposto di sopprimere questo comma, ma, per l’assenza del presentatore, la sua proposta si intende decaduta.
Pongo pertanto in votazione il secondo comma nel testo di cui ho dato ora lettura. Chi lo approva, è pregato di alzarsi.

È approvato.

Passiamo al terzo comma, che rileggo:

«Il numero massimo delle nomine che potranno farsi annualmente nelle cinque classi è determinato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti il Consiglio dei Ministri ed il Consiglio dell’Ordine».
Il senatore Terracini ha proposto il seguente emendamento, sostitutivo dell’intero comma:
Il numero degli insigniti nei tre gradi non può mai essere superiore ai 30.000. Con decreto del Presidente della Repubblica, udito il parere del Consiglio dell’Ordine, viene annualmente stabilito il numero massimo delle nomine effettuabili nei tre gradi nel corso dell’anno».
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – Non essendo presente il senatore Terracini, faccio mio questo emendamento.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il senatore Menotti, per illustrare l’emendamento.
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – L’emendamento è chiaro e si spiega da sé. Esso risponde al criterio di limitare il numero delle nomine, sia complessivamente, sia nel corso dell’anno. Mi sembra questo un criterio giusto ed obiettivo, che il Senato può accettare senza difficoltà.
PRESIDENTE – Le faccio notare che il principio dell’emendamento «Il numero degli insigniti nei tre gradi eccetera» va modificato, in relazione a quanto precedentemente approvato, nella dizione “Il numero degli insigniti nelle cinque classi eccetera”.
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – Concordo.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole Fantoni, per esprimere il parere della Commissione su questo emendamento.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – La Commissione è contraria all’emendamento del senatore Terracini, perché, trattandosi di ordine che deve premiare anche benemerenze generiche e sostituire, in pratica, i cessati Ordini della Corona d’Italia e dei Santi Maurizio e Lazzaro, fissare un numero chiuso di 30.000 nomine non è assolutamente possibile. Esso potrebbe risultare o esagerato o inferiore alle necessità. La Commissione si è rifatta un po’ a quelli che erano i precedenti e ha calcolato, nel passato, quante erano le nomine annuali, quanti potevano essere in un grado e quanti in un altro ed ha creduto di modificare il testo governativo nel senso che, annualmente, sia stabilito con decreto del Presidente della Repubblica il numero massimo delle nomine che potranno farsi nelle cinque classi. Cioè, la Commissione ha proposto che, all’inizio di ogni anno, con decreto del Presidente della Repubblica, dovrà stabilirsi quanti saranno i decorandi. Più in là non si può andare. Perciò, la Commissione propone la reiezione dell’emendamento Terracini.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il Sottosegretario Andreotti, per esprimere il parere del Governo.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – La Commissione ha innovato sul testo governativo tornando all’antico e, cioè, riprendendo quella disciplina numerica annuale che era propria degli ordini cavallereschi del passato. Per cui, all’inizio di ogni anno, si stabilivano le quote riservate a ciascuna amministrazione, alle quali si aggiungevano le quote fatte per motu proprio e quelle nomine che non rientravano nella quota annuale per il conferimento dell’ordine a cittadini stranieri e a funzionari dello Stato che lasciavano l’amministrazione.
Il Governo accetta l’emendamento della Commissione e prende atto della scomparsa dal testo delle parole «La forma e le caratteristiche delle rispettive decorazioni». Con questo, forma e caratteristiche sono state sottratte alla solennità di un decreto e si lascia, evidentemente, ad un atto di carattere esecutivo lo stabilirle, atto che ha valore una tantum iniziale. Il Governo, quindi, è d’accordo sul testo della Commissione.
PRESIDENTE – Pongo in votazione l’emendamento sostitutivo del terzo comma, proposto dall’onorevole Terracini e fatto proprio dal senatore Menotti, di cui ho già dato lettura. Tale emendamento non è accettato né dalla Commissione, né dal Governo. Chi l’approva, è pregato di alzarsi.

Non è approvato.

Pongo in votazione il terzo comma già letto. Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Pongo in votazione l’articolo 3 nel suo complesso. Chi l’approva, è pregato di alzarsi.

È approvato.

Segue l’articolo 4:

Art. 4.

«Le decorazioni sono conferite con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Giunta dell’Ordine.
Particolari forme di conferimento possono essere stabilite nello Statuto, previsto dall’articolo 6».
Il senatore Nobili aveva proposto di sopprimere anche quest’articolo. Per i motivi già esposti a proposito degli articoli 2 e 3, questa proposta di modificazione s’intende, però, decaduta.
Il senatore Terracini ha presentato il seguente emendamento, sostitutivo dell’intero articolo:
«L’onorificenza è conferita con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri».
I senatori Tessitori, Lavia, Tommasini, Rosati, Varriale e Bertone hanno proposto di sopprimere, nel primo comma, le parole «sentita la Giunta dell’Ordine».
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – Poiché il senatore Terracini è assente, faccio mio il suo emendamento.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il senatore Menotti, per svolgere l’emendamento del senatore Terracini.
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – L’emendamento Tessitori mantiene la possibilità di particolari forme di conferimento, mentre l’emendamento del senatore Terracini elimina questa possibilità. Questo è l’intento del nostro emendamento. Contrariamente a quello che si è fatto con i precedenti articoli, ai quali sono stati presentati altri emendamenti, qui si prevedono delle particolari forme di conferimento che possono essere stabilite dallo Statuto. Ora, coerentemente con questa proposta di emendamento, si propone la soppressione, più avanti, dell’articolo 6. Mi pare, ad ogni modo, che l’importante è che siano previste solo le onorificenze stabilite dagli articoli fin qui approvati e che non si debba prevederne altre, attraverso uno Statuto che non si sa come sarà fatto e che non si sa quali speciali forme di conferimento prevederà.
PRESIDENTE – Non si tratta che del conferimento di onorificenze, senza l’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e della Giunta e, cioè, della concessione di onorificenze già detta motu proprio.
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – Comunque, sono contrario e propongo quindi al Senato di accettare l’emendamento da me illustrato.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il senatore Tommasini, per illustrare l’emendamento del senatore Tessitori.
TOMMASINI Raffaele (Democrazia cristiana) – Parlare della Giunta dell’Ordine diventa pleonastico, perché abbiamo questa gerarchia: il Consiglio dell’Ordine, che è presieduto dal Presidente della Repubblica, e la Giunta dell’Ordine che, come è detto nel penultimo capoverso dell’articolo 2, è eletta dal Consiglio dell’Ordine. Ora, quando si dice che le decorazioni sono conferite con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio, evidentemente la proposta verrà istruita in base allo Statuto che andrà a compilare la Giunta.
PRESIDENTE –Mi permetto farle osservare che il Presidente della Repubblica non fa parte della Giunta dell’Ordine. Non è il Presidente della Giunta, è il Capo dell’Ordine.
TOMMASINI Raffaele (Democrazia cristiana) – Siamo d’accordo. Comunque, la Giunta dell’Ordine, in base all’articolo 6, deve crearsi uno Statuto. Ora, io penso e sono convinto che così sarà, che non sia possibile proporre o nominare o insignire un determinato cittadino di una determinata onorificenza, senza sentire la Giunta dell’Ordine. Comunque, volevo esprimere solo questa mia opinione, rimettendomi poi alla Commissione.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole Fantoni, relatore, per esprimere il parere della Commissione.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Per quanto riguarda la sostituzione della parola “onorificenza”, invece di “decorazioni”, la Commissione è favorevole alla proposta Terracini. Non crediamo, invece, di poter accettare di sopprimere le parole «sentita la Giunta dell’Ordine», di cui all’emendamento Tessitori, perché riteniamo che il parere della Giunta costituisca una garanzia maggiore che coloro i quali saranno decorati rispondano, effettivamente, ai titoli cui noi vorremmo rispondessero di moralità e di dignità e che siano meritevoli. Insistiamo, quindi, perché sia mantenuto il testo della Commissione che è, poi, quello del Governo.
PRESIDENTE – E per quanto riguarda la soppressione del secondo comma, come proposto dal senatore Terracini?
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – La Commissione è contraria ed insiste perché il comma sia mantenuto, in quanto esso dà la possibilità di conferimenti in forma eccezionale.
Nella tradizione nostra e negli statuti, del resto, di altri ordini cavallereschi, esiste il conferimento motu proprio. È una forma eccezionale ancor più onorifica, in quanto non suppone proposte di alcun genere e non richiede pareri: l’adottarla spetta esclusivamente al Capo dello Stato. Mantenendo il capoverso, noi poniamo il Presidente della Repubblica nella possibilità di esercitare anche questa forma di conferimento.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole Andreotti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, per esprimere il parere del Governo.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Sono d’accordo con il parere espresso dal relatore.
PRESIDENTE – Pongo in votazione la proposta di sopprimere, nel primo comma, le parole «sentita la Giunta dell’Ordine», proposta formulata dai senatori Tessitori, Lavia, Tommasini ed altri e contenuta anche nell’emendamento del senatore Terracini, fatto proprio dal senatore Menotti.
La proposta in parola non è accettata né dalla Commissione, né dal Governo. Chi l’approva è pregato di alzarsi.

Non è approvata.

Pongo in votazione il primo comma nel seguente nuovo testo proposto dalla Commissione, che ha accolto sostanzialmente la rimanente parte dell’emendamento Terracini e Menotti al primo comma:
«Le onorificenze sono conferite con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Giunta dell’Ordine».

Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Pongo in votazione l’emendamento soppressivo del capoverso dell’articolo 4 proposto dal senatore Terracini e fatto proprio dal senatore Menotti. Esso non è accettato né dalla Commissione, né dal Governo.

Chi l’approva è pregato di alzarsi.

Non è approvato.

Pongo in votazione il secondo comma, che rileggo:
«Particolari forme di conferimento possono essere stabilite nello Statuto previsto dall’articolo 6».

Chi l’approva, è pregato di alzarsi.

È approvato.

Do ora lettura del seguente comma aggiuntivo, proposto dal senatore Nitti:
«Ai senatori e ai deputati non possono essere conferite onorificenze durante il tempo del loro mandato parlamentare».
Ha facoltà di parlare il senatore Nitti, per illustrare quest’emendamento.
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – Credevo di non dover più intervenire in questa discussione, ma questo è un punto essenziale. Si è detto, ed è nella relazione, che, in fondo, le decorazioni erano già nella Costituzione. Ciò non è vero, perché si è voluto dare una falsa interpretazione ad un passo della Costituzione. Sono a vostra disposizione per rileggerlo. Non voglio stancarvi con un discorso, ma faccio una semplice dichiarazione.
Nessuna cosa è più grave, per un’assemblea, del discredito di cui essa si circonda quando può essere accusata di corruzione. Ora, per un’assemblea parlamentare niente è più dannoso come perdere il prestigio per effetto, soprattutto, di piccole cose. Conferire ordini cavallereschi a deputati e senatori in carica è gravissimo errore. La Francia, che ha fatto già la prova, ha voluto abolire nettamente ogni concessione di titoli cavallereschi a senatori e deputati. Queste concessioni, da sole, bastano a discreditare l’Assemblea. Basterà che io ricordi soltanto il delirio da cui fu presa la nostra Assemblea, quando si disse che non si concedeva più nulla. Trovai molti furori; molti dissero: come mai? I senatori e i deputati in carica, i legislatori, non devono avere ordini cavallereschi? Se la Francia non ha voluto questo – ed Herriot stesso, presidente dell’Assemblea, preferisce conservare solamente la piccola decorazione che aveva avuto quando non era né deputato, né senatore, la decorazione di Cavaliere della Legion d’Onore – ciò è significativo. Or dunque, a che serve questa decorazione nostra? Essa nasce nel momento peggiore, insidiata da tutte le parti. Nasce in un periodo che è il meno adatto per dare onorificenze che possono discreditare l’Assemblea. Siamo nel periodo delle elezioni amministrative: impegna il Governo la sua parola di non dare nessuna onorificenza in questo periodo? È un punto estremamente delicato. Voi aprite la cateratta delle onorificenze.
DONATI Albino (Democrazia cristiana) – Le onorificenze saranno date a coloro che le hanno meritate.
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – Benissimo!
DONATI Albino (Democrazia cristiana) – Voi non lo fareste, forse? È ora di finirla con queste ipocrisie.
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – Io vorrei che i miei amici democristiani fossero severi, perché, passato il primo momento di euforia, essi stessi ne troveranno danno e tutti saranno dolenti di questa cateratta di onorificenze che verranno nel momento peggiore.
Noi andiamo incontro a due o tre anni molto difficili; voi comprendete meglio di me la situazione. Ora, conferire in questo momento, con larghezza, una onorificenza, coprire di onori la gente in un periodo che dovrebbe essere di continenza e di serietà è grande errore. Io vi prego, dunque, di cominciare da noi stessi: non diventiamo ridicoli. Se saremo severi con noi stessi, meriteremo di più la fiducia degli elettori. Ho letto alcune considerazioni del relatore che non mi hanno entusiasmato. Egli sa come io sia disposto a concedergli il mio entusiasmo, ma egli sa che non posso sempre, con la buona volontà, arrivare a questo sforzo. Posso essere indulgente fino a credere esatto tutto quello che egli ha detto, quando ha affermato che la Costituzione stessa aveva parlato delle decorazioni, il che è un vero equivoco. Ma non posso essere d’accordo con lui quando afferma che la distribuzione delle decorazioni è la forma migliore per premiare il merito. Ho ben visto come è difficile premiare il merito dei cittadini, e volete farlo in questo momento…
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Ma questa non è la discussione generale.
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – E perché no? Questo è il punto fondamentale di cui noi dobbiamo più parlare e che dobbiamo più capire. Qui si tratta di capire o no e di salvare la nostra decenza.
L’onorevole Andreotti ha fatto un discorso che mi ha interessato, perché egli ha fatto la maggiore critica che si potesse fare, cominciando col dire il pericolo che correva questa legge, perché gli uomini più intelligenti del Senato avevano parlato tutti contro l’approvazione del progetto. Questa è la verità: questo disegno di legge, se passa, passerà per tolleranza, a furia di bugie scambievoli, ma non passerà che con danno di tutti. L’onorevole Andreotti, per quanto sia fine ed astuto, capisce perfettamente che non è vero che nella Costituzione vi era già il principio obbligatorio (interruzione dell’onorevole Andreotti) di creare gli ordini cavallereschi. Non è vero; questa situazione è stata creata da noi. Per fare che? Io capisco anche una cattiva azione, se dà dei vantaggi; ma qual è il vantaggio di dare le decorazioni? L’onorevole Andreotti si troverà in un’ora terribile, perché avrà almeno 200.000 richiedenti al primo gettito di questa nuova onorificenza che non ha alcuna tradizione, nessuna dignità e che non si sa che cosa sia. Quando si parla della Legion d’Onore, si parla di due secoli.
PRESIDENTE – Onorevole Nitti, la pregherei di stare all’emendamento, senza riaprire questioni che ormai il Senato ha già deciso.
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – Il mio emendamento è proprio questo: evitare la possibilità che vengano concessi titoli cavallereschi a deputati e senatori, cosa che, secondo me, ci affliggerebbe ed umilierebbe e che sarebbe certamente condannata dal sentimento e dalla coscienza popolare.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Onorevoli colleghi, ho provato qualche meraviglia, perché la sola lettura dell’emendamento ha provocato un certo applauso che, in qualche modo, voleva dire all’opinione pubblica italiana che sta a sentire qui o sente attraverso i giornali: «Ma guarda un po’ come siamo bravi noi e come siamo seguaci – non dico di Catone l’Uticense, dopo l’illustrazione che ne ha fatto qui l’onorevole Pastore l’altro giorno – ma della più pura e togata austerità politico-morale».
Ora, guardiamo un po’ in faccia, onorevoli colleghi, la realtà. Anzitutto, vorrei sapere se questo emendamento abbia considerato quei deputati e senatori che hanno incarichi ministeriali e se è, insieme, attivo e passivo. Vale a dire: se ad un deputato o senatore che fosse ministro venga offerto, putacaso, il Gran Cordone o qualche altra decorazione del Nepal, può o non può accettarla? Senatori e deputati possono essere ministri; anzi, possiamo dire che i 500 o 600 deputati e i 344 senatori sono tutti, in potenza, futuri ministri e tutti possono trovarsi in quella situazione su cui attiro l’attenzione degli onorevoli colleghi.
Quando si è fatta la discussione generale, si è detto che uno degli aspetti di questa istituzione di un ordine cavalleresco era proprio questo, di inserirci un po’ in quella che era la consuetudine internazionale. Chiunque ha vissuto in questa consuetudine internazionale sa quanto la forma sia osservata e come una delle forme della forma sia proprio l’uso della “chincaglieria”.
Ora io mi domando se non sia una sottile demagogia questa nostra, che vuole escludere quei deputati e senatori che non solo siano meritevoli, ma che abbiano necessità di avere anche una esteriore compostezza estetica nei rapporti con l’estero. Non parlo per me, perché, ormai, sono vecchio e non ho le decorazioni che ha il Presidente Nitti, che ne ha 43. Parlo per coloro che potrebbero essere nuovi alla vita di relazioni diplomatiche e internazionali. Quindi, sarò solo a votare contro ed ho spiegato il perché del mio voto antidemagogico, ispirato a quella che è la realtà della vita nelle relazioni in campo internazionale.
LOCATELLI Amilcare (Partito socialista italiano) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
LOCATELLI Amilcare (Partito socialista italiano) – Noi votiamo a favore dell’emendamento aggiuntivo del senatore Nitti, tendente a stabilire che ai senatori e ai deputati non possono essere conferite onorificenze durante il tempo del loro mandato parlamentare.
I senatori e i deputati non hanno bisogno di “chincaglierie”, come giustamente le ha chiamate Giuseppe Garibaldi. La più alta, la più giusta delle onorificenze è quella di rappresentante della Nazione ed è data da chi più di tutti ha diritto di premiare qualcuno: dal popolo! (Applausi).
SANMARTINO Salvatore (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
SANMARTINO Salvatore (Democrazia cristiana) – Ho ascoltato con preoccupazione le parole che, contro questo progetto, sono state pronunciate da molti nostri colleghi e, soprattutto, quelle dell’autorevole presidente Nitti. Qui si è detto, addirittura, che è una cosa indecorosa e ridicola questa proposta di legge, che essa sarà la causa della dissoluzione del Parlamento e, per poco, non si è rievocato, come analogo, l’episodio dell’antico Senato romano, convocato da Domiziano perché deliberasse sulla maniera migliore di cucinare una trota regalata all’imperatore. Ma, per fortuna, noi non siamo convocati da alcun imperatore, né per trattare una questione culinaria. Si tratta, invece, di venire incontro ad un bisogno largamente sentito; ed io ritengo che un Parlamento deve provvedere a tutti i bisogni attuali del popolo che pretende di governare. Ritengo infatti che, anche attraverso la parola di quei colleghi che si sono mostrati contrari a questa proposta di legge, è apparsa la necessità e il diffuso desiderio, anche di questi stessi colleghi, di avere una “distinzione”. Perché, spesso, il dire: «io non voglio l’onorificenza» significa, appunto, cercare una “distinzione” di fronte ai molti che l’onorificenza ambiscono; significa proprio mostrare la vanità e la superbia, come l’aveva ben rilevata e definita quel tale filosofo dell’antica Grecia. Egli, vedendo intervenire ad una festa un personaggio coperto di porpora e d’oro e, subito dopo, un cinico vestito di un lurido mantello tutto sbrendoli, disse al giovane che l’accompagnava: «Quella dell’individuo coperto di porpora e d’oro è vanità e superbia, ma quella del cinico coperto di stracci è anch’essa superbia e vanità, perché pure questo cerca, in tal modo, di distinguersi». Per cui al senatore Tonello, che è venuto qui a dirci: «Se mi avessero fatto Cavaliere, io avrei comprato un cane per appendergli al collo la croce e portarmelo appresso per via», io rispondo che il suo è proprio l’espediente di Alcibiade, uomo noto per la sua vanità, il quale, appunto per attirare l’attenzione di tutti, tagliò la coda al suo cane e se lo portò in giro per Atene, dato che a quei tempi, contrariamente al presente, le bestie senza coda erano molto rare e costituivano motivo di meraviglia.
Dunque, con questo progetto, premesso che l’uomo del 1950 vuole una distinzione e vuole che un suo merito o presunto merito venga in qualche modo ufficialmente riconosciuto, noi Governo, noi rappresentanti dello Stato abbiamo il dovere di adeguatamente provvedere. Perché, se no, chi ha desiderio di essere “distinto” può, se deluso, ambire – pur d’essere, in certo modo, in alto – cariche che implicano funzioni pubbliche gravissime. Badate che, nei nostri paesi, c’è della gente che per onorificenza vuole avere la carica di consigliere comunale. Ma non basta: c’è della gente che ambisce cariche anche in assemblee più alte, dove ci sono compiti più delicati e responsabilità più gravi. Ed allora, ripeto, meglio è che noi si venga incontro a questo desiderio, appagandolo innocuamente con una nomina che non costa nulla all’erario. Perciò, vorrei dire all’onorevole Nitti, che si preoccupava giustamente della onorificenza come mezzo di corruzione in tempi elettorali, che, appunto, noi potremmo usarla a scopo epurativo e profilattico per tutta questa gente che vuole essere fatta qualche cosa e che potrebbe finire – se delusa – con l’occupare seggi più alti con grave danno dell’erario pubblico e privato. Sbarazziamoci di costoro con qualche onorificenza e sarà tanto di guadagnato! (Ilarità).
Insomma, noi faremmo quello che propugnavano filosofi come Schopenauer e sociologi, come Lombroso, per altre categorie più basse: noi realizzeremmo la simbiosi della vanità, facendo in modo, cioè, che la vanità, anziché nuocere, venga incanalata in quelle che sono le correnti attive della società, sicché la vanità umana, insomma, rimorchiata o blandita in qualche modo, si possa ancora condurre a fini di utilità e di bene.
Ecco, dunque, perché io sono favorevole all’istituzione di queste onorificenze: ma aderisco ben volentieri alla proposta Nitti, per la quale noi, finché in carica, dobbiamo esserne esenti; anche per analogia con altre istituzioni similari che, appunto, questa incompatibilità hanno stabilito. (Vive approvazioni).
VENDITTI Mario (Partito liberale italiano) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
VENDITTI Mario (Partito liberale italiano) – A nome del mio Gruppo, dichiaro che aderiamo all’emendamento dell’onorevole Nitti.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il relatore Fantoni, per esprimere il parere della Commissione.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Io non ho capito, non sono riuscito a capire la opposizione che l’onorevole Nitti ha fatto a questo disegno di legge.
PRESIDENTE – La prego di limitarsi all’emendamento, anche se l’onorevole Nitti ha un po’ divagato.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Ma l’onorevole Nitti si è permesso espressioni ed affermazioni che toccano la mia relazione.
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – È un suo diritto.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Comunque, io non intendo di riaprire o rientrare nella discussione generale. Io, però, davanti all’emendamento dell’onorevole Nitti, che non vorrebbe conferimenti a senatori e deputati durante l’esercizio del mandato, posso anche permettermi, col rispetto dovutogli, di osservare che egli è insignito di ben 45 onorificenze, fra italiane e straniere, compresa una di Nicolò Il, zar delle Russie, e che nel periodo di oltre mezzo secolo, da quando, cioè, egli fu deputato, ministro e poi Presidente del Consiglio dei Ministri, ha fatto distribuire ben 10.000 cavalierati della Corona d’Italia, altrettanti Ufficiali, ha creato 7.500 Commendatori, 220 Grandi Ufficiali dello stesso ordine e 7 Gran Cordoni… (clamori a sinistra)… fece insignire, poi, un centinaio tra Cavalieri e Ufficiali dell’Ordine Mauriziano, Ordine di cui – secondo le informazioni di un’agenzia giornalistica – il Sovrano era geloso custode e, di conseguenza, permetteva pochi conferimenti. (Alti clamori da sinistra). Devo dire, quindi, che la posizione oggi assunta dall’onorevole Nitti non può non meravigliare.
PRESIDENTE – La prego di restare all’emendamento.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Io sto all’emendamento, questa è una premessa necessaria che ho creduto di dover fare prima di asserire che l’emendamento dell’onorevole Nitti, a mio avviso, suona sfiducia ed offesa, quasi, ai membri del Parlamento, poiché suppone che deputati e senatori, per una croce vilissima – come dite voi – di Cavaliere, possano vendere la propria indipendenza politica di fronte al Governo. Quindi, se io dico che sono contrario all’emendamento (interruzioni e clamori da sinistra), lo dico solo perché non vedo la ragione di opportunità o politica per la quale ci si debba porre contro la tradizione ed il costume italico.
Non desideroso, come dissi parlando nella discussione generale, di decorazioni, né di onorificenze, ho espresso ora, con franchezza e libertà il mio pensiero personale, perché la Commissione, non avendo esaminato l’emendamento Nitti, non s’è pronunciata in merito. Faccia dunque il Senato quello che crede. Tengo però a dichiarare che, se mi sono richiamato al passato, in materia, dell’onorevole Nitti, l’ho fatto perché sono profondamente convinto che non costituisca una offesa alla sua grande personalità politica l’aver egli corrisposto tante onorificenze e l’averne tante ricevute. (Interruzioni e proteste da sinistra).
VENDITTI Mario (Partito liberale italiano) – Non ha capito quello che ha detto il senatore Nitti.
MANCINI Pietro (Partito socialista italiano) – Onori lei, senatore Fantoni, come ha onorato l’Italia l’onorevole Nitti e non dica certe asinerie.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Certe verità, onorevole Mancini, possono tornare non gradite, sebbene nulla tolgano alle alte benemerenze altrui, ma sono sempre verità. (Interruzioni e commenti).
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole Andreotti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, per esprimere il parere del Governo.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Esprimo solo l’avviso sul testo dell’emendamento. Nella sua illustrazione, svolta in sede di discussione generale, il senatore Nitti si richiamò ad un autorevolissimo precedente, quello della Legion d’Onore, nel cui ordinamento è compresa una norma analoga, tanto che, nell’altro dopoguerra, quando si volle dare la possibilità di ricevere l’Ordine della Legion d’Onore, delle varie classi, a membri del Parlamento che avevano acquistato benemerenze durante la guerra, fu necessario un apposito provvedimento di carattere legislativo. In relazione a questo precedente, penso che qui debba tenersi presente una preoccupazione sostanziale, e cioè che il Governo, ad un certo momento, sia pure con tutte le cautele, come il decreto e la consultazione della Giunta dell’Ordine, possa, teoricamente, acquisire dei voti (parliamo in termini un po’ materiali, ma parlamentari) e delle benemerenze, delle simpatie e, magari, degli «squagliamenti», nell’ipotesi migliore, attraverso il conferimento o la promessa di onorificenze a singoli deputati o senatori.
Ora, penso che proprio perché è stata posta questa questione ed è stato avanzato questo possibile dubbio – che, certamente, non va a colpire né il Governo attuale, né gli attuali membri del Parlamento, ma che si proietta un po’ nel futuro – dovremmo riconoscere che, per opportunità di ordine politico circa i rapporti tra Governo e Parlamento, è giusto che nel momento in cui si esercita un mandato parlamentare, non si abbia neppure l’ombra di un legame che possa, in qualche maniera, far considerare come derivante non dalla sola propria convinzione politica l’affermazione di un determinato principio. Ma è necessario questo dirlo in una norma? Io ho il timore che, sancendolo in una norma (così come vedremo in altra sede, quando si parlerà delle incompatibilità) non conferiamo alla figura del deputato, del senatore quel prestigio morale che le conferiremmo lasciando che tutte queste incompatibilità siano acquisite nel costume e siano un qualche cosa (commenti) che, più che derivare dall’ossequio ad una formuletta legislativa, siano invece la conseguenza di un costume che tutti insieme, Parlamento e Governo, dovremmo seguire.
Io, quindi, riconoscendone il fondamento politico e, se volete, l’aspirazione morale, ritengo che dovremmo fare un atto di fede in noi stessi e nei nostri successori e nelle legislature future, non sancendo questo principio in una norma di carattere legislativo.
Penso, poi, che comunque le distinzioni o, meglio, gli interrogativi che ha posto il senatore Cingolani debbano, eventualmente, formare oggetto di una chiarificazione o di una rielaborazione del testo della proposta di emendamento, poiché è noto che non soltanto chi partecipa al Governo, ma chi va in qualche misura all’estero, qualche volta si trova, non per sollecitare, né per conquistarsi degli obblighi nei confronti di una Nazione o di un’altra, ad essere soggetto passivo di una onorificenza. In questo caso, dovremmo stabilire bene se questo divieto di ordine generale debba comprendersi anche nei confronti di altri ordini cavallereschi di altre Nazioni o sia limitato al nostro ordine cavalleresco.
GASPAROTTO Luigi (Gruppo misto) – Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
GASPAROTTO Luigi (Gruppo misto) – Dichiaro di votare l’emendamento del senatore Nitti, perché nulla aggiunge all’alta dignità di chi rappresenta il popolo del suo Paese l’onorificenza cavalleresca, salvo ad appagare, forse, qualche vanità. E poiché il mio buon amico Fantoni ha avuto il poco buon gusto di accennare ai precedenti dell’onorevole Nitti (approvazioni), ricordo che, se Nitti ha avuto delle decorazioni – e ne ho avute anche io anche antiche e recenti – né Nitti, né Gasparotto le hanno mai portate, anzi, Nitti ha fatto molto di più (commenti). Perché, se fino al 1919 i ministri si presentavano all’inaugurazione della legislatura in uniforme e con le decorazioni, questo costume spagnolesco proprio l’onorevole Nitti lo ha abolito.
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – Anche io voterò a favore dell’emendamento proposto dal collega Nitti e ciò per diverse ragioni. Per le ragioni già dette dallo stesso senatore Nitti, per quelle dette dall’onorevole Gasparotto e perché io penso che poteva essere argomento di discussione il presentare o il non presentare questo emendamento. Ma è per me completamente inconcepibile che un Parlamento possa respingere questo emendamento, dopo che gli è stato presentato. (Approvazioni da sinistra). E mi permetta l’onorevole Sottosegretario che in questa discussione, secondo le mie impressioni per lui non piacevole, ha portato tanta serenità, di osservargli che un solo modo ha il Parlamento per dimostrare quella dignità da lui invocata, e cioè approvare questo emendamento dopo che gli è stato presentato. Perché, ripeto, il problema, per me, era presentarlo o non presentarlo. Ma, una volta presentato, non v’è via d’uscita: abbiamo il dovere, favorevoli o no, di approvarlo, perché se non lo approvassimo (e prego gli onorevoli colleghi che, con tanta esagerata passionalità, sono di opposta opinione, di riflettere un momento), il Paese ne trarrebbe un’impressione che, certamente, non gioverebbe a quel prestigio che vogliamo difendere.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Desidero chiedere un chiarimento al proponente. Voglio, cioè, domandare se questo emendamento tocca anche quei deputati e senatori che, essendo ministri, si trovino ad essere soggetti attivi o passivi di decorazione: attivi per la loro funzionalità legittima e rappresentativa all’estero, passivi come riceventi le decorazioni all’estero. Desidero, perciò, che il presidente Nitti mi risponda, altrimenti sento di non poter votare a favore.
PRESIDENTE – Onorevole Cingolani, è chiaro che la proposta formulata dal senatore Nitti, e cioè che i senatori e i deputati, durante il tempo del mandato parlamentare, non siano insigniti di onorificenze, si riferisce esclusivamente alle onorificenze conferite in base a questa legge dal Presidente della Repubblica. Ed è altrettanto chiaro, a meno che l’emendamento non venga modificato, che – siccome gli onorevoli ministri, quando siano senatori o deputati, non cessano, durante il periodo in cui sono al Governo, di appartenere all’una o all’altra Camera – la disposizione in esame si estende anche ai ministri, sempre limitatamente alle onorificenze previste dal disegno di legge.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Io presento un emendamento all’emendamento. Alla parola «onorificenze» aggiungere l’altra: «nazionali».
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – Sono d’accordo.
PRESIDENTE – Ma non c’è bisogno.
BOSCO Giacinto (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
BOSCO Giacinto (Democrazia cristiana) – Signor Presidente, io vorrei proporre una formula semplice e chiara, che potesse esprimere il pensiero di ciò che è stato detto in quest’Aula, e cioè: «Ai senatori e ai deputati, durante il tempo del loro mandato parlamentare, non possono essere conferite onorificenze dell’ordine cavalleresco di cui alla presente legge». Così tutto diventa chiaro.
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – Ma la presente legge si riferisce anche alle onorificenze vaticane.
BOSCO Giacinto (Democrazia cristiana) – Allora si può aggiungere: «Al Merito della Repubblica» dopo le parole «dell’ordine cavalleresco».
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, per esprimere il parere del Governo.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Io penso che se vogliamo ottenere, col cambiamento del minor numero possibile di parole, la chiarezza nel testo, dato che il primo comma di questo articolo 4 suona: «Le onorificenze sono conferite con decreto del Presidente della Repubblica ecc. » – e qui è chiaro che si tratta di queste onorificenze – e poi c’è l’altro comma che dice: «Particolari forme di conferimento eccetera» – che si riferisce sempre alle stesse onorificenze – ove il Senato voglia accettare l’emendamento Nitti, si può iniziare con le parole: «Le onorificenze», per cui è chiaro che le onorificenze di cui parla l’emendamento Nitti si riferiscono al contenuto del primo capoverso. Quindi, l’intera frase sarebbe la seguente: «Le onorificenze non possono essere conferite a senatori e a deputati durante il loro mandato parlamentare». In questo modo, credo che sia eliminato qualsiasi dubbio sulla natura di queste onorificenze.
PRESIDENTE – Domando all’onorevole Nitti se accetta questa modifica al suo emendamento.
NITTI Francesco Saverio (Gruppo misto) – Accetto questo emendamento formale.
PRESIDENTE ‑ Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo, presentato dal senatore Nitti e modificato dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, d’accordo col presentatore. Ne do lettura:
«Le onorificenze non possono essere conferite ai senatori e ai deputati, durante il tempo del loro mandato parlamentare».

Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Pongo in votazione, nel suo complesso, l’articolo 4 nel seguente testo modificato:

Art. 4.

«Le onorificenze sono conferite con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Giunta dell’Ordine.
Particolari forme di conferimento possono essere stabilite nello Statuto, previsto dall’articolo 6.
Le onorificenze non possono essere conferite ai senatori e ai deputati durante il tempo del loro mandato parlamentare».

Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Senato della Repubblica, seduta del 17 novembre 1950

Ripresa della discussione

PRESIDENTE – Riprendiamo la discussione del disegno di legge relativo all’istituzione dell’Ordine cavalleresco «al Merito della Repubblica Italiana». Do lettura dell’articolo 5:

Art. 5.

«Salve le disposizioni della legge penale, incorre nella perdita della decorazione l’insignito che se ne renda indegno. La revoca è pronunciata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta motivata del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dell’Ordine».
Per il motivo già esposto a proposito degli articoli precedenti, è da considerare decaduto l’emendamento soppressivo dell’articolo presentato dal senatore Nobili.
Il senatore Terracini ha proposto di sostituire alla parola «decorazione» l’altra: «onorificenza».
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – La Commissione accetta la proposta di modificazione del senatore Terracini.
PRESIDENTE – Pongo in votazione l’articolo 5, con l’emendamento proposto dal senatore Terracini ed accettato dalla Commissione.

Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Art. 6.

«Lo Statuto dell’Ordine è approvato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dell’Ordine».

È approvato.

Art. 7.

«I cittadini italiani non possono accettare da uno Stato estero onorificenze, decorazioni o distinzioni cavalleresche, se non sono autorizzati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per gli Affari Esteri.
I contravventori sono puniti con l’ammenda sino a lire cinquecentomila.
L’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche della Santa Sede e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro continua ad essere regolato dalle disposizioni vigenti.
Nulla è parimenti innovato alle norme in vigore per l’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche del Sovrano Militare Ordine di Malta».
GASPAROTTO Luigi (Gruppo misto) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
GASPAROTTO Luigi (Gruppo misto) – Poiché il Senato a sua maggioranza, quindi, nella sua piena legittimità, ha riconosciuto l’opportunità della creazione di un ordine cavalleresco, questo ordine non può essere conferito che dallo Stato italiano. E cioè, poiché il Senato ha stabilito che la Repubblica Italiana conferisca ai cittadini benemeriti un titolo cavalleresco, credo che questo diritto debba essere limitato allo Stato, perché non concepisco come esso si possa mettere in palio e, cioè, in concorrenza, con ordini cavallereschi di emanazione di enti extra-statali.
Qui si è parlato di due ordini di cospicua importanza, che hanno lasciato una traccia nella storia: l’Ordine Militare di Malta e l’Ordine del Santo Sepolcro. Da parte mia, non è uscita una parola men che deferente verso questi due enti, dei quali ho già riconosciuto le alte benemerenze storiche.
L’Ordine Militare di Malta fu fondato nel 1000 dai pescatori amalfitani; l’Ordine del Santo Sepolcro ha radici pur esso nella storia. Ma a mio avviso, in una Repubblica democratica, l’Ordine di benemerenza nazionale, ché tale deve essere l’ordine cavalleresco, non può essere conferito che dallo Stato sovrano; e non vi sono Stati sovrani se non quando, ai requisiti della popolazione e del Governo, sia associata la territorialità. Nella realtà del diritto internazionale non esiste lo Stato simbolico, lo Stato fantasma. Il vascello fantasma può trovar posto nelle opere dei poeti e dei musicisti. Lo Stato deve essere una realtà concreta, che eserciti la propria sovranità su un determinato territorio.
Stato sovrano era la Chiesa prima del 1870, Non lo fu dopo la breccia di Porta Pia. Lo è ridiventato, poi, a seguito del Concordato.
Israele costituiva già una grande comunità religiosa e razziale; è diventato Stato oggi, perché ha conquistato un territorio.
Ora, questi due ordini, verso i quali – ripeto – non posso che usare parole riguardose, non sono enti sovrani. Non lo è l’Ordine di Malta, perché non ebbe mai la sovranità sull’isola di Malta, la quale era un feudo dei re di Sicilia. Tanto è vero che il Gran Maestro dell’Ordine dai re doveva ricevere l’investitura e, per questo, offriva il famoso falcone e doveva giurare nelle mani del Viceré di Sicilia. Del resto, anche ammesso che Malta fosse stata, un tempo, territorio dell’Ordine, questo territorio l’Ordine l’ha perduto nel 1798, quando non ha sparato nemmeno un colpo di archibugio contro la flotta di Napoleone, sì che Napoleone lo abolì, appunto – e lo disse – per la viltà dimostrata in quella occasione dal comandante tedesco, allora alla testa dell’Ordine medesimo. Del resto, l’Ordine di Malta riceve ancora oggi l’investitura dal Pontefice, il quale ne approva gli statuti e ha diritto a certe nomine.
Dunque, sovranità quest’Ordine non ne ha. Altrettanto dicasi dell’Ordine del Santo Sepolcro, sottoposto al controllo della Santa Sede. È bensì vero che, con due decreti del regime fascista, a questi ordini venne riconosciuto il diritto di precedenza nelle cerimonie di Corte, il che costituisce un certo riconoscimento ufficiale. Ma non è questo, consentitemi dirlo, titolo di benemerenza per i due ordini, perché, precedentemente a questa concessione, Mussolini venne creato Balì Gran Croce d’Ordine [in realtà, d’Onore, N.d.C.] e di Devozione dell’Ordine con decreto 28 novembre 1929. E il Santo Sepolcro gli ha dato pure, in precedenza, la più alta onorificenza – Gran Croce – il 10 luglio 1930. E notate che, per conferire l’onorificenza di Balì, occorreva dimostrare di disporre di una nobiltà di sangue da parte di padre e di madre e si dimostrasse, cioè, che c’era nelle vene sangue nobile per la bellezza di 200 anni. Certamente, il figlio del fabbro di Predappio – il che, del resto, gli fa onore – non poteva disporre di questi requisiti.
Perciò, io affermo che, per dare un timbro di austerità al nuovo ordine che la Repubblica Italiana si appresta a conferire, quest’ordine non può che essere emanazione dello Stato. Mi consenta il Senato di dire – e non è per seminare discordia o cercare punti di dissidio – che la vera democrazia è sempre stata contraria a questa creazione di privilegi personali. Gli eroi di Garibaldi non hanno mai voluto titoli di nobiltà. Bixio, l’eroe di Maddaloni, Cairoli, l’eroe di Palermo, Missori, l’eroe di Milazzo non sono mai stati insigniti di ordini nobiliari. Uno solo ci fu, Giacomo Medici, creato marchese del Vascello, ma questo era giustificato dal fatto che egli era diventato aiutante di campo di un re, Umberto I. Perciò, quanto più daremo austerità all’ordine, tanto più lo renderemo accetto alla pubblica opinione che, giustamente, non gli è favorevole. (Approvazioni).
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Sono perfettamente d’accordo con l’onorevole Gasparotto, che in Italia è soltanto lo Stato italiano che dà le decorazioni. Per ora, non c’è che questa onorificenza, per la quale è stato presentato questo disegno di legge e sulla quale noi abbiamo discusso. Ma quando l’onorevole Gasparotto parte in guerra contro gli Ordini di Malta e del Santo Sepolcro, in nome della sovranità dello Stato italiano, sfonda una porta aperta, perché né l’Ordine di Malta, né l’Ordine del Santo Sepolcro hanno la velleità di comunque diventare appendici dello Stato italiano.
L’Ordine di Malta, delle benemerenze del quale nel campo sociale e morale io ho parlato altre volte, ha una sovranità speciale che non si può prendere così alla leggera, come l’ha presa l’onorevole Gasparotto. La teoria che la sovranità è legata al territorio e alla popolazione è una teoria superata, di fatto, dalla dottrina e dalla pratica internazionale e l’onorevole Gasparotto, che è uno studioso, su questo converrà certamente. Per quanto riguarda la sovranità dell’Ordine, essa deriva non soltanto da un ricordo storico di questa sovranità o da una pura affermazione di principio, ma anche dal pratico ed effettivo riconoscimento di essa da parte dei diversi Stati. A tale proposito, gli Stati che, oltre a riconoscere la sovranità dell’Ordine, hanno con esso regolari rapporti diplomatici sono: la Santa Sede, Spagna, Argentina, Haiti, San Marino, Panama. Con tali Stati, l’Ordine di Malta ha regolare scambio di agenti diplomatici, col rango di Ministri plenipotenziari ed Inviati straordinari.
Altri Stati che hanno rapporti diplomatici con l’Ordine di Malta sono l’Austria, la Cecoslovacchia, l’Ungheria. Tuttavia, con tali Stati i rapporti diplomatici effettivi (diritto di legazione attiva e passiva) sono interrotti. Con l’Austria ciò è avvenuto fin dal tempo di Hitler e con gli altri Stati all’avvento del regime comunista. Comunque, pur avendo, di fatto, interrotto i rapporti diplomatici, non ne hanno giuridicamente dichiarato la decadenza.
In altri Paesi, l’Ordine è pienamente riconosciuto come potenza sovrana e come soggetto di diritto internazionale. Essi sono Francia, Germania, Filippine, Libano, Perù, Bolivia, Cile, San Domingo, Cuba. Colombia, Svizzera, Grecia. In tali Paesi l’Ordine, oltre ad essere riconosciuto come sovrano, con diritto di conferire decorazioni senza controllo dello Stato, mantiene delegazioni riconosciute ed accreditate, col rango onorifico diplomatico, pur senza godere, de jure, le immunità e privilegi diplomatici. In altri Paesi ancora, l’Ordine ha la sua organizzazione e gli è pienamente riconosciuto il diritto di conferire decorazioni, senza controllo dello Stato. Tali Paesi sono Belgio, Olanda, Inghilterra, Irlanda, U.S.A., Portogallo, Canada. Inoltre, tutti i funzionari dell’Ordine sono muniti di passaporti diplomatici riconosciuti e vistati da tutti indistintamente gli Stati, compresi i Paesi arabi ed orientali.
Tutto ciò può sembrare che non entri nell’argomento, perché, per la soppressione del comma dell’articolo 7 – proposta dal senatore Gasparotto – «Nulla è parimenti innovato alle norme in vigore per l’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche del Sovrano Militare Ordine di Malta», possono essere prospettati due casi. Supponiamo che l’onorevole Gasparotto riesca a farsi approvare l’emendamento soppressivo. L’Ordine di Malta rimane quello che è, con una situazione, di fronte allo Stato italiano, che non sarebbe più quella del 1929, ma, certamente, sempre quella del 1863, cioè quella successiva alla particolare situazione dello Stato italiano di fronte all’Ordine di Malta e di fronte alla Santa Sede dopo il 1861, vale a dire proprio e malgrado la tensione seguita alla proclamazione di Roma capitale d’Italia, quanto mai significativa. Ed è nel 1863 che si ha questo pratico riconoscimento della dignità sovrana dell’Ordine di Malta. Non capisco l’animus dell’onorevole Gasparotto nel raffigurarsi l’Ordine di Malta enucleato dal nostro progetto di legge e ridotto, non certo alla pari degli altri ordini da sopprimere (cenni di assenso dell’onorevole Gasparotto), ma alla pari di un ordine straniero. Con questo fatto stesso, però, riconosce la sovranità dell’Ordine, perché, essendo uno straniero che darebbe onorificenze, l’accettazione ed uso ne dovrebbe essere permessa dal Presidente della Repubblica. Si verrebbe così ad aumentare, praticamente, la dignità sovrana dell’Ordine di Malta.
Vorrei, quindi, pregare l’onorevole Gasparotto di considerare in tutto il suo valore e vigore la disposizione del 1863 e poi quella del 1929, conseguenza logica della Conciliazione, che tutti abbiamo riconosciuta e ratificata, compresi i colleghi dell’altra parte del Senato, con la approvazione dell’articolo 7 della Costituzione. Ma ricordiamo che la disposizione del 1929 non riconosce una tutela della Santa Sede diretta sull’Ordine di Malta, perché la Santa Sede ha una giurisdizione sull’Ordine di Malta unicamente per la parte morale e religiosa.
Tutto sommato, quindi, mi pare che ci troviamo di fronte ad una situazione universalmente riconosciuta anche da uomini che non appartengono alla Chiesa cattolica – come quelli che militano nelle varie confessioni evangeliche – e da eminenti personalità di valore nel campo del diritto internazionale che, pur non avendo nessuna fede religiosa, riconoscono non soltanto le benemerenze storiche, la funzione di regolamentatore di libere adesioni ad un complesso di istituzioni di carattere sociale internazionale; ma hanno riconosciuto all’Ordine la qualità di persona giuridica internazionale, collegata con quella di potenza sovrana anche se privo di territorio, come, per esempio, avviene per tutti gli organismi internazionali universalmente riconosciuti come persone giuridiche internazionali come la Santa Sede, l’O.N.U., la Croce Rossa Internazionale.
Per quanto riguarda l’atteggiamento dell’Italia verso l’Ordine, dal 1863 al 1929 e dal 1929 ad oggi, esso è assolutamente univoco nel riconoscere all’Ordine la sovranità e la personalità di diritto pubblico internazionale. Ricordo solo che, come corollario della partecipazione dell’Ordine alla stipulazione della Convenzione di Ginevra che creò la Croce Rossa Internazionale, i Cavalieri italiani dell’Ordine, per una Convenzione stipulata col Ministero della Guerra prima, della Difesa poi, gestiscono in pace e in guerra tutte le sue vaste attività ospedaliere e assistenziali, sotto il riconosciuto doppio segno internazionale della Croce Rossa e della bianca croce ottagonale dell’Ordine.
Mi pare, dunque, che il Senato possa serenamente, nel quadro della tutela dei diritti dello Stato italiano, riconoscere l’utilità e la necessità di funzionamento di un organismo come l’Ordine di Malta, che si presenta alla pubblica opinione non soltanto con la sua storia gloriosa, ma con l’efficienza piena di un pubblico servizio nazionale ed internazionale. Vorrei, quindi, pregare l’onorevole Gasparotto di rinunziare al suo emendamento soppressivo e il Senato di votare per intero l’articolo proposto. (Approvazioni).
PRESIDENTE – Il senatore Sacco ha presentato, munito delle firme regolamentari, il seguente emendamento al primo comma dell’articolo 7: «Sostituire alle parole “I cittadini italiani non possono accettare da uno Stato estero onorificenze, decorazioni o distinzioni cavalleresche” le altre: “i cittadini italiani non possono portare le insegne di onorificenze, decorazioni o distinzioni cavalleresche loro conferite in Ordini non nazionali o da Stati esteri”».
Ha facoltà di parlare il senatore Sacco, per illustrare il suo emendamento.
SACCO Italo Mario (Democrazia cristiana) – Signor Presidente, a me pare che la dizione dell’articolo 7 sia imprecisa, perché, quando si dice che «i cittadini italiani non possono accettare da uno Stato estero onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche», si pongono in difficoltà i cittadini. Perché, quando si è all’estero, come si può non accettare una decorazione che viene consegnata brevi manu? Caso mai, i cittadini non potranno portare le insegne di onorificenze, decorazioni o distinzioni cavalleresche che non fossero gradite in Italia, ma quando è stata conferita una onorificenza, cosa fa il cittadino italiano per rifiutarla? Non è possibile. Quindi, ho suggerito questa nuova dizione: «I cittadini non possono portare le insegne di onorificenze, decorazioni o distinzioni cavalleresche loro conferite in ordini non nazionali o da Stati esteri».
CARBONI Enrico (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
CARBONI Enrico (Democrazia cristiana) – Non sono d’accordo con le opinioni espresse dal senatore Gasparotto, perché mi pare che egli abbia confuso due concetti: lo Stato come soggetto di diritto internazionale e i soggetti di diritto internazionale, affermando che possono essere soggetti di diritto internazionale solo gli Stati. La dottrina italiana, dall’Anzillotti in poi, non è affatto di questa opinione, tanto che, proprio per uno dei casi da lui citati e che interessa me particolarmente, quello della Santa Sede, conclude che prima del Concordato, prima della creazione dello Stato del Vaticano, la Santa Sede era soggetto di diritto internazionale per la facoltà che aveva di stipulare concordati e per la rappresentanza diplomatica attiva e passiva di cui godeva.
Quindi, i due concetti sono ben distinti e la nostra dottrina internazionalista considera come uno degli errori più dannosi, per intendere quali siano i soggetti di diritto internazionale, quello di confonderli con gli Stati, sì che sarebbero inspiegabili la natura giuridica e della Società delle Nazioni di un tempo e dell’O.N.U. di oggi, le quali sono, senza dubbio, soggetti di diritto internazionale, perché agiscono in questo campo come organismi sovrani. Quindi, posto in chiaro che non è soltanto lo Stato ad essere soggetto di diritto internazionale, ma vi possono essere altri organismi che abbiano tale caratteristica, credo che tra questi, appunto, per la legazione attiva e passiva di cui gode, sia da considerarsi il Sovrano Militare Ordine di Malta e, quindi, non sono assolutamente d’accordo con le conclusioni alle quali arriva il senatore Gasparotto.
PRESIDENTE – Faccio rilevare al senatore Sacco che, poiché nell’articolo 7 si parla sempre di “uso” di onorificenze, sarebbe forse opportuno, anche nel suo emendamento, adoperare la parola “usare” in luogo di “portare”.
SACCO Italo Mario (Democrazia cristiana) – Accetto la sostituzione della parola “portare”con la parola “usare”.
PRESIDENTE – Va bene. Ha facoltà di parlare il senatore Fantoni, per esprimere il parere della Commissione.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Per quel che riguarda l’Ordine di Malta io non aggiungerò nulla a quanto è stato detto dai senatori Cingolani e Carboni, tanto più che non c’è un emendamento in proposito. Per quel che riguarda invece la questione relativa all’Ordine del Santo Sepolcro, debbo fare osservare che quest’ordine ha una posizione ed un ordinamento autonomi, dipendendo esso dal Patriarca di Gerusalemme, ma è amministrato dalla Santa Sede, la quale, con il Breve Quam Romani Pontifices in data 14 settembre 1949, di Pio XII, gli ha deputato un cardinale protettore.
È in considerazione di codesta posizione che la Commissione ha modificato un po’ il testo governativo, ponendo l’Ordine del Santo Sepolcro, che veniva dopo quello di Malta, accanto a quelli della Santa Sede.
E poiché questa posizione giuridica e di fatto è già riconosciuta dalla legislazione italiana con il regio decreto 7 luglio 1943, n. 652, che approva il Regolamento sulla Consulta Araldica, la Commissione vi chiede di respingere l’emendamento soppressivo proposto dal senatore Terracini e svolto dall’onorevole Menotti.
Per quanto riguarda l’emendamento Sacco all’articolo 7, io sarei dell’avviso ch’esso vada respinto. Per me, l’accettazione è qualche cosa di diverso dall’uso che si può o non si può fare delle decorazioni annesse all’onorificenza cavalleresca. Certo che l’uso suppone e presume l’accettazione, come questa dà diritto a quello. Ma preminente è il fatto dell’accettazione. La Commissione, anche in questo caso, si è attenuta alla dizione tradizionale, che ha espressione nell’articolo 80 dello Statuto Albertino il quale, a sua volta, penso abbia avuto presente l’Editto del 1598 di Carlo Emanuele I di Savoia, che proibì ai cittadini di accettare cariche ed onori da prìncipi forestieri. La stessa Costituzione francese del 1791 proibì, sotto pena della perdita della cittadinanza, ai cittadini l’affiliazione a qualsiasi ordine cavalleresco straniero; dove la parola “affiliazione” si pone, evidentemente, sullo stesso piano dell’accettazione. Noto, infine, che l’articolo 275 del Codice penale contempla il fatto dell’accettazione e non dell’uso, per punire quanti, in tempo di guerra, abbiano ricevuto decorazioni ed altre pubbliche insigne onorifiche straniere. Quindi, secondo me, ci si dovrebbe attenere alla dizione del testo. Non disconosco, tuttavia, che anche punendosi l’uso indebito, si viene necessariamente a colpire l’accettazione. Il Senato decida.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, per esprimere il parere del Governo.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Per quanto riguarda l’emendamento Sacco, io non riterrei esattissimo quello che ha osservato al riguardo il relatore, dato che egli, semplificando, ha detto che il primo capoverso, che suona: «i contravventori sono puniti con l’ammenda sino a lire 500.000», si riferisce al contravventore che usa dell’onorificenza. Per mio conto, la contravvenzione è prevista per la accettazione, in quanto è possibile accettare una onorificenza straniera, magari mandando una lettera di ringraziamento, ma non usandone mai. Ma anche questa ipotesi credo che rientri nel divieto stabilito da questa legge. Infatti, per autorizzare i cittadini italiani non solo ad usare, ma anche ad accettare un’onorificenza, è previsto un atto solenne, un decreto del Capo dello Stato su proposta del Ministro degli Affari Esteri, il che è qualcosa di più che formare un registro di questi decorati. È il riconoscimento di una certa sovranità che il Capo dello Stato ha, come tale, sui cittadini e che può, ad un certo momento, con un atto positivo, impedire loro l’accettazione di un ordine cavalleresco da parte di uno Stato straniero.
A me pare che l’emendamento Sacco venga, in qualche modo, a declassare questo rapporto che si instaura tra il Capo dello Stato e il cittadino e che suppone un atto positivo per autorizzarlo ad accettare, nei confronti di uno Stato straniero, una distinzione onorifica. Per questi motivi, pregherei il Senato di mantenere la formulazione: «I cittadini italiani non possono accettare» che, del resto, è la formulazione tradizionale di tutte le disposizioni che si sono avute fin qui in materia.
PRESIDENTE – Onorevole Sacco, insiste sul suo emendamento?
SACCO Italo Mario (Democrazia cristiana) – Dichiaro di insistere.
PRESIDENTE – Vorrei chiedere all’onorevole Sacco ancora una cosa. Se, per esempio, il porre in un biglietto da visita l’indicazione della onorificenza conferita in ordine non nazionale o da Stato estero costituisca, secondo lui, uso dell’onorificenza o meno.
SACCO – Signor Presidente, un ordine cavalleresco, in nessuno Stato estero, può essere rifiutato con un atto formale. Può essere rifiutata anche la nomina a senatore della Repubblica, così può essere rifiutata una onorificenza, ma con una sgarberia. Ma quando si è all’estero, non è possibile dire: un momento, debbo chiedere il permesso. È possibile, quindi, accettare, il che non importa un atto formale. È l’uso poi, che se ne fa in Patria che deve essere regolato, perché poi, di quella onorificenza si potrebbe fare all’estero un uso non vietato, perché la legge italiana non persegue i cittadini italiani che, in Francia, usassero della Legion d’Onore e che non avessero chiesto in Italia il permesso di riceverla. In Francia la può portare, anche se in Italia non la può portare, perché se n’è fatto divieto.
Sul modo col quale si possono ricevere onorificenze, voglio raccontare al Senato un episodio. Nel 1919, il Capo dello Stato Maggiore del mio reparto nei Balcani mi chiama e mi fa vedere una cassetta contenente ben trenta onorificenze di Commendatore, cinquanta di Cavaliere Ufficiale e cento di Cavaliere dell’Ordine di Karageorgevich, per premiare quegli ufficiali che si erano distinti nel salvataggio dell’esercito serbo in ritirata nel 1916. Ebbene, io in mezz’ora ho distribuito quelle 180 onorificenze, anche se nessuno più di quegli ufficiali era presente nei Balcani, e le ho distribuite in questa maniera: a tutti i generali e ad altri ufficiali superiori l’onorificenza di Commendatore, fino ad esaurimento; agli ufficiali di minor grado le onorificenze di Cavaliere Ufficiale e così via. In mezz’ora, le onorificenze erano tutte assegnate.
Ora, come si può pretendere che l’accettazione sia subordinata al placet dello Stato italiano, del Presidente della Repubblica? È impossibile, praticamente, perché si creerebbero posizioni molto difficili. Quindi, l’emendamento che ho suggerito risponde ad una esigenza che, giustamente, l’onorevole Sottosegretario ha ricordato, ma cui non corrisponde quella disposizione draconiana per cui non si possono accettare onorificenze straniere se non si è prima autorizzati. Mi pare che essa sia di così difficile attuazione in pratica, da dover essere corretta.
CARRARA Giovanni (Democrazia cristiana) – Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
CARRARA Giovanni (Democrazia cristiana) – Mi pare che la situazione giuridica che risulterebbe dalla formula del senatore Sacco sia equivoca, perché ne deriverebbe che il cittadino insignito all’estero di una determinata onorificenza, nel territorio nazionale di questa onorificenza non sarebbe più insignito, dato che vi osterebbe la mancanza di autorizzazione.
PRESIDENTE – Il senatore Sacco ha proposto un emendamento sostitutivo, non un emendamento aggiuntivo. Quindi, la necessità della accettazione sparisce, rimane soltanto la possibilità dell’uso.
CARRARA Giovanni (Democrazia cristiana) – Comunque, mi dichiaro contrario all’emendamento Sacco.
CADORNA Raffaele (Gruppo misto) – Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
CADORNA Raffaele (Gruppo misto) – A me sembra che il divieto di portare insegne non si adatti a tutti i casi. Ci sono delle decorazioni estere date per ragioni di guerra e costituirebbe una vera e propria scortesia non portarle quando ci si rechi, ad esempio, nelle ambasciate dei Paesi che tali decorazioni hanno conferito. Chiunque sia invitato, per esempio, all’ambasciata d’America e sia insignito della Legion of Merit, incorrerebbe in una grave forma di scortesia se non ne portasse il distintivo. Altrettanto dicasi per le decorazioni francesi conferite per ragioni belliche recentemente.
RICCI Federico (Partito repubblicano italiano) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
RICCI Federico (Partito repubblicano italiano) – Io sono favorevole all’emendamento del senatore Sacco. Desidero soltanto fare qualche aggiunta, perché egli ha prospettato soltanto il caso di un cittadino italiano cui sia conferita una decorazione mentre si trova all’estero. Ma lo stesso caso può presentarsi anche in Italia. Se noi manteniamo il primo capoverso dell’articolo 7, rischiamo di mettere molti sindaci e molte autorità delle città italiane in una posizione difficile. C’è un congresso, intervengono le autorità estere, offrono al sindaco una decorazione. Che cosa deve fare il Sindaco? Deve, prima di pronunciarsi, aspettare nientemeno che un decreto del Presidente della Repubblica? Evidentemente no. Egli accetterà questa decorazione. Tutt’al più, potrà dire: mi riservo. Ma credo che non lo dirà, perché farebbe una brutta figura. Dunque, non possiamo accettare questa dizione. Evidentemente, il primo capoverso deve essere modificato.
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – Io pure mi associo all’emendamento Sacco e alle osservazioni che sono state fatte. Vorrei far soltanto notare ai colleghi che bisogna tener conto dell’esperienza, in queste cose. In che razza di pasticci possiamo mettere un nostro Ministro, il quale si trova all’estero ad un banchetto del Lord Major e si vede presentare una decorazione? Nossignori, non la posso prendere – dovrebbe dire – perché il mio Paese non la riconosce. Regoliamo, perciò, l’uso delle decorazioni straniere e poi lasciamo che le cose seguano il loro corso normale; altrimenti, arriviamo all’assurdo per cui, com’è stato detto da qualcuno qua dentro, il Presidente del Consiglio italiano avrebbe dovuto restituire le decorazioni che a lui, come tale, gli venivano conferite dagli Stati esteri.
PRESIDENTE – Domando all’onorevole Sacco se insiste anche nel mantenere nel suo emendamento la parola “decorazioni”, nella quale si potrebbero intendere comprese anche le decorazioni di guerra.
SACCO Italo Mario (Democrazia cristiana) – Secondo me, basterebbe dire che i cittadini italiani non possono usare nel territorio della Repubblica onorificenze o distinzioni cavalleresche loro conferite in Ordini non nazionali o da Stati esteri.
DONATI Albino (Democrazia cristiana) – Che non siano autorizzate, però.
PRESIDENTE – Naturalmente. L’emendamento del senatore Sacco non modifica la seconda parte del primo comma.
Pongo allora in votazione l’emendamento del senatore Sacco, sostitutivo della prima parte del primo comma dell’articolo 7, nel seguente testo:
«I cittadini italiani non possono usare nel territorio della Repubblica onorificenze o distinzioni cavalleresche, loro conferite in Ordini non nazionali o da Stati esteri».

Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Pongo ora in votazione la seconda parte del primo comma:
«se non sono autorizzati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per gli Affari Esteri».

Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Pongo in votazione il secondo comma, che rileggo:
«I contravventori sono puniti con l’ammenda sino a lire 500.000».

Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Dai senatori Tessitori, Lavia, Tommasini, Rosati, Varriale e Bertone è stato presentato il seguente emendamento aggiuntivo al secondo comma:
«La pena è triplicata qualora il contravventore faccia comunque uso delle dette onorificenze, decorazioni o distinzioni cavalleresche».
Tale emendamento mi sembra, però, assorbito dal testo del secondo comma ora approvato.
TOMMASINI Raffaele (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
TOMMASINI Raffaele (Democrazia cristiana) – Sono d’accordo nel ritenere l’emendamento assorbito dal testo del secondo comma ora approvato.
PRESIDENTE – Ai terzo comma è stato presentato, dal senatore Terracini, il seguente emendamento, fatto proprio dal senatore Menotti:
«Sopprimere le parole: “e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro”».
Ha facoltà di parlare il senatore Menotti, per svolgere questo emendamento.
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) –Voglio solo dire una cosa, senza entrare nel merito del problema se il Valicano sia o no uno Stato estero. Per noi, la questione delle distinzioni cavalleresche vaticane è cosa regolata e, perciò, non entro nel merito, né intendo fare alcuna osservazione o proporre modifiche. Invece, crediamo di dover sostenere l’emendamento del senatore Terracini tendente a sopprimere, al terzo comma dell’articolo 7, l’estensione all’Ordine del Santo Sepolcro delle disposizioni vigenti per gli Ordini stranieri.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Desidero ricordare al collega che, da un anno a questa parte, l’Ordine del Santo Sepolcro è diventato ordine pontificio con nomina del Santo Padre di un Grande Maestro, nella persona di un Cardinale. Con ciò, quindi, è superata l’osservazione che ha fatto il collega.
PRESIDENTE – Pongo in votazione l’emendamento soppressivo del senatore Terracini, fatto proprio dal senatore Menotti. Chi l’approva è pregato di alzarsi.

Non è approvato.

Pongo in votazione il quarto comma, già letto. Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Pongo in votazione il terzo comma dell’articolo 7, di cui ho già dato lettura. Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Pongo in votazione, nel suo complesso, l’articolo 7 nel seguente testo modificato:

Art. 7.

«I cittadini italiani non possono usare nel territorio della Repubblica onorificenze o distinzioni cavalleresche loro conferite in Ordini non nazionali o da Stati esteri, se non sono autorizzati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministero per gli Affari Esteri.
I contravventori sono puniti con l’ammenda sino a lire cinquecentomila.
L’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche della Santa Sede e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro continua ad essere regolato dalle disposizioni vigenti.
Nulla è parimenti innovato alle norme in vigore per l’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche del Sovrano Militare Ordine di Malta».
Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Senato della Repubblica, seduta del 17 novembre 1950

Ripresa della discussione

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione del disegno di legge. Do lettura dell’articolo 8:

Art. 8.

«Salvo quanto è disposto dall’articolo 7, è vietato il conferimento di onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche, con qualsiasi forma e denominazione, da parte di enti, associazioni o privati. I trasgressori sono puniti con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire duecentocinquanta mila a lire cinquecentomila.
Chiunque fa uso, in qualsiasi forma e modalità, di onorificenze, decorazioni o distinzioni di cui al precedente comma, anche se conferite prima dell’entrata in vigore della presente legge, è punito con l’ammenda da lire cinquantamila a lire trecentocinquantamila.
La condanna per i reati previsti nei commi precedenti importa la pubblicazione della sentenza a sensi dell’articolo 86, ultimo comma, del Codice penale».
A questo articolo, il senatore Berlinguer aveva presentato tre emendamenti. Poiché il senatore Berlinguer non è presente, questi emendamenti si ritengono decaduti.
La Commissione propone di aggiungere il seguente comma:
«Le disposizioni del secondo e terzo comma si applicano anche quando il conferimento delle onorificenze, decorazioni o distinzioni sia avvenuto all’estero».
GENCO Giacinto Mario (Democrazia cristiana) – Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
GENCO Giacinto Mario (Democrazia cristiana) – Poiché un ordine, che non so neanche dove abbia domicilio, ha creduto qualche tempo fa di mandare una onorificenza ad alcuni di noi e, tra questi, sono compreso anche io, e poiché solo ora ho visto il mio nome su una rivista di quest’ordine che i colleghi della estrema sinistra hanno avuto l’amabilità di mostrarmi, dichiaro che voterò a favore dell’articolo 8, perché non ho mai preso sul serio questa pretesa onorificenza.
PRESIDENTE – Pongo in votazione l’articolo 8, nel testo di cui ho dato lettura, con l’aggiunta del nuovo comma proposto dalla Commissione. Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Passiamo ora all’esame dell’articolo 9, di cui do lettura:

Art. 9.

L’Ordine della SS. Annunziata e le relative onorificenze sono soppressi.
Salvo l’uso delle onorificenze già conferite, è soppresso l’Ordine della Corona d’Italia e cessa il conferimento di onorificenze cavalleresche dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Il Governo è autorizzato ad emanare, entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge, le norme necessarie per trasformare o sopprimere gli altri ordini ed onorificenze istituiti prima del 2 giugno 1946, in relazione ai princìpi del nuovo ordinamento costituzionale dello Stato.
Pongo in votazione il primo comma, al quale non sono stati presentati emendamenti. Chi lo approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Al secondo comma è stato presentato, da parte dei senatore Terracini, il seguente emendamento sostitutivo del comma stesso:
«Salvo l’uso delle onorificenze già conferite, sono soppressi l’Ordine della Corona d’Italia, l’Ordine Civile di Savoia, l’Ordine al Merito del Lavoro, l’Ordine Coloniale della Stella d’Italia, la Stella al Merito del Lavoro la distinzione onorifica al Merito Rurale, il distintivo nazionale di Azienda Modello e cessa il conferimento di onorificenze cavalleresche dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro».
I senatori Tessitori, Lavia, Tommasini, Rosati, Varriale e Bertone, poi, hanno proposto di sostituire la dizione del secondo comma con la seguente:
«L’Ordine della Corona d’Italia è soppresso e cessa il conferimento delle onorificenze dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. È tuttavia consentito l’uso delle onorificenze già conferite, escluso ogni diritto di precedenza nelle pubbliche cerimonie».
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – Faccio mio l’emendamento del senatore Terracini.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole Menotti, per svolgere l’emendamento.
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – Mi pare che sia inconcepibile la proposta di soppressione dell’Ordine della Corona d’Italia senza ricordarci che vi sono altri ordini, onorificenze e decorazioni del passato che dovrebbero essere ugualmente soppressi e la cui soppressione andrebbe menzionata in questo articolo della legge. Così, mi pare sia del tutto logica ed accettabile, da parte del Senato, la nostra proposta di sopprimere ugualmente l’Ordine Civile di Savoia, l’Ordine al Merito del Lavoro ecc., molti dei quali sono stati istituiti dal fascismo. Io faccio osservare che, se non se ne facesse menzione, gli ordini continuerebbero a sussistere. Quindi, ritengo che il Senato debba accogliere senza difficoltà l’emendamento presentato dal senatore Terracini.
DONATI Albino (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
DONATI Albino (Democrazia cristiana) – Siamo d’accordo sulla soppressione di tutte le onorificenze contenute nell’emendamento Terracini, salvo, però, quelle dell’Ordine al Merito del Lavoro e della Stella al Merito del Lavoro. Il primo, infatti, non è stato istituito dal fascismo, ma risale al 1898 e il secondo, mi pare, risalga al 1922 o 1923. Sembra a me che il volere sopprimere questi due ordini, destinati a premiare i datori di lavoro e i prestatori d’opera benemeriti, sia un eccesso che ripugna allo spirito della nostra stessa Costituzione, la quale inizia con l’esaltazione del lavoro.
Proprio ieri, la Commissione legislativa permanente del Senato ha eretto in ente di diritto pubblico la Fondazione Gaslini di Genova e da quella discussione è emerso che quell’industriale, che si fregia del titolo di Cavaliere al Merito del Lavoro, ha ceduto tutte le sue proprietà in titoli e in obbligazioni al finanziamento di un ospedale che porta il nome di una sua figliola e che è decoro e vanto d’Italia in quanto, come è stato detto, è uno degli ospedali meglio attrezzati dell’Europa e, forse, del mondo. Orbene, proprio noi dovremmo sopprimere una decorazione che dovrebbe premiare pionieri, industriali, commercianti, agricoltori che hanno dato possibilità di guadagno e di lavoro alle nostre masse lavoratrici, prosperità e benessere in molti centri e zone del territorio nazionale e istituito o finanziato opere insigni di pubblica carità, di cultura e di bene in genere? Proprio noi dovremmo sopprimere la Stella del Lavoro, istituita a premio del lavoro, della fedeltà, della genialità, della buona volontà – collaudata per decenni – dei lavoratori nostri italiani?
Voci – Sono decorazioni fasciste?
PRIOLO Antonio (Partito socialista italiano) – Chi le istituì?
DONATI Albino (Democrazia cristiana) – Ho detto che non è stata istituita dal fascismo. Avrei dovuto dire che è stata istituita dal fascismo per modo di dire, in quanto la Stella è del 1923, mentre l’Ordine risale al 1898. Ora, mi pare che noi possiamo benissimo delegare il Governo a che, entro il periodo di un anno, abbia a portare a questi istituti tutti i ritocchi e tutti gli aggiornamenti che siano utili e necessari, perché i due ordini cavallereschi continuino a premiare il merito del lavoro, sia nel settore dei datori di lavoro che in quello non meno benemerito dei prestatori d’opera. (Applausi dal centro e dalla destra).
CERICA Angelo (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
CERICA Angelo (Democrazia cristiana) – Io ho udito le parole dell’onorevole Donati. Concordo con lui e ad esse mi associo. Io ho vissuto cinque anni in Africa ed ho visto ciò che hanno fatto in quelle terre i nostri fratelli che, dopo 50 anni di duro lavoro, seppero trasformare pietraie e zolle infeconde, trasformare il terreno per cavarne fuori duramente, faticosamente, con lacrime e sudore di sangue, appena appena il sufficiente per vivere e che si sono visti premiati, un giorno, con la Stella al Merito Coloniale, come riconoscimento e premio che lo Stato italiano dava al loro lavoro, alle loro speranze, al loro eroismo, al loro merito di colonizzatori italiani. Questa gente era composta di umili, di modesti, di tenaci lavoratori ed imprenditori, vecchi sottufficiali, vecchi soldati per lo più; tutti nostri fratelli che erano andati in cerca di una terra che li potesse aiutare a vivere. Furono dei pionieri, furono persone che onorarono l’Italia. Ora noi, con l’abolizione di questa onorificenza – atto che essi potrebbero interpretare come sconfessione del merito coloniale – verremmo un’altra volta ad umiliarli, verremmo un’altra volta a farli sentir soli.
L’abolizione della Stella al Merito Coloniale sarebbe da loro e dagli indigeni interpretata come rinnegazione, da parte del Parlamento italiano, del nostro passato coloniale e, cioè, dei nostri meriti coloniali.
PRESIDENTE – Onorevole Cerica, le ricordo che non si tratta di togliere questa onorificenza a coloro che già l’hanno.
CERICA Angelo (Democrazia cristiana) – Onorevole Presidente, mi consenta di esprimere ancora un pensiero, a completamento di quanto voglio esporre al Senato. Noi oggi, in Somalia, abbiamo ancora italiani. Vi sono ancora italiani che, sia pure in territorio tenuto da noi sotto il vessillo dell’O.N.U., rappresentano in quelle lontane terre il lavoro italiano. Ora, per questa gente e per i Somali, che di nuovo si associano alla loro opera, vogliamo o no conservare una onorificenza al merito coloniale o, piuttosto, vogliamo coniare medaglie ricordo da prima comunione o da primi della classe e darle ai nostri fedeli Ascari, ai capi indigeni, agli indigeni per i quali questa famosa patacca – come ho inteso da qualcuno definire le istituzioni onorifiche statali – è tutto quello che di più ambito possa essere conferito?
Io sono vissuto lungamente in mezzo a questa gente, sono stato nella boscaglia somala: li conosco bene, conosco la loro mentalità. Essi ci disprezzerebbero se facessimo questo, perché noi, con ciò, rinnegheremmo tutto il nostro passato coloniale che non è passato fascista, ma passato di lavoro italiano, passato che ha onorato ed onora l’Italia.
Io faccio pertanto appello al sentimento di tutti i senatori, a qualunque partito appartengano. Noi siamo stati defraudati da tutti, in Africa: inglesi o non inglesi, tutti sono stati contro di noi. Rimaniamo almeno noi uniti nel riconoscere allo Stato italiano il diritto e il dovere di conservare una onorificenza al merito coloniale, che va ai lontani e agli oscuri nostri fratelli che in Africa, con duro sacrificio, con esemplare eroismo, onorano colà e difendono il lavoro italiano. (Vivi applausi).
RIZZO Domenico (Partito socialista italiano) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
RIZZO Domenico (Partito socialista italiano) – Io credo che le osservazioni dei senatori Donati e Cerica abbiano interamente trascurato la lettera dell’emendamento. Esso, infatti, comincia così: «salvo l’uso delle onorificenze già conferite». Dunque, per quelli che sono stati insigniti non c’è da fare questione. Nessuno ha mai osato pensare di proporre un emendamento che volesse significare revoca delle onorificenze già date. Per quelli che possono essere, poi, i futuri destinatari, l’onorevole Cerica si chiede come si faccia a trascurare le benemerenze future di quegli elementi che sono ancora in colonia e che potranno compiere bene la loro opera. Ed io allora mi chiedo: perché si propone questo disegno di legge? Per quali ragioni si creano queste nuove onorificenze, se non, appunto, per premiare i benemeriti della Repubblica e, soprattutto, i benemeriti del lavoro nei confronti dello Stato repubblicano? Che se poi, per avventura, si dovesse ancora pensare che per i meriti del lavoro occorra conservare particolari onorificenze passate, si verrebbe ad avallare quella nostra tesi di oppositori, alla stregua della quale riteniamo che questa legge non occorreva fosse proposta. Ma, una volta passata la legge, noi sosteniamo che precisamente i primi, se non i soli destinatari, debbano esserne coloro che acquistino benemerenze per meriti di lavoro. E ci pare, appunto, che a quei destinatari a cui faceva cenno l’onorevole Cerica questa legge debba essere particolarmente riservata.
Ecco perché ci sembra di non aver affatto meritato le censure che ci sono state mosse dai due onorevoli colleghi che mi hanno preceduto. (Applausi da sinistra).
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole relatore, per esprimere il parere della Commissione.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – La Commissione dichiara di far proprio l’emendamento del senatore Tessitori ed altri, sostitutivo della dizione del secondo comma. Per quanto riguarda l’emendamento presentato dal senatore Terracini, la Commissione crede che non ci siano ragioni per accettarlo perché, se il Senato approverà, il Governo, in sede di delega, potrà provvedere a riordinare, a mantenere e a sopprimere quelli che sono gli ordini tuttora esistenti.
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – Ma perché mai a mantenere?
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – A mantenere, per esempio l’Ordine al Merito del Lavoro o al Merito Civile. Il Governo è autorizzato ad armonizzarli con le norme della Costituzione, come potrà riordinare e conglobare, nell’intento di premiare specifiche attività nel campo sociale, del lavoro e dello sport, le distinzioni onorifiche da me accennate nella relazione. Per conseguenza, in quella sede, potrebbero trovare accoglimento anche le proposte fatte dall’onorevole Terracini e dall’onorevole Donati. Non è, dunque, il caso di compromettere la questione.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il Sottosegretario Andreotti, per esprimere il parere del Governo.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Il Governo ha proposto, nell’articolo 9, questa possibilità di delega al Governo stesso per un periodo di tempo limitato – un anno – per apportare una regolamentazione a tutto questo mondo complesso, mondo che non riguarda soltanto due o tre ordini quali quelli qui ricordati; ma anche alcune onorificenze o distinzioni di carattere particolare, in riconoscimento di attività particolari svolte dal cittadino come, per esempio, medaglie per lungo insegnamento, medaglie per lunga navigazione. Nel chiedere al Senato di dare al Governo questa delega, forse occorrerebbe – e se io non comprendo male, questo è il significato che è tenuto in riserva dal senatore Rizzo – chiarirla meglio.
PRESIDENTE – Onorevole Andreotti, della delega ne parleremo dopo.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alle Presidenza del Consiglio – Ma non si può tagliare l’argomento, perché è unico. Se lei volesse far esprimere il parere dal senatore Rizzo che, probabilmente, vorrà parlare dei limiti possibili della delega, io ritengo che potremmo forse, poi, esprimere un nostro avviso in modo conclusivo, sul quale si possa votare definitivamente.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole Rizzo Giambattista, sulla delega al Governo.
RIZZO Giambattista (Gruppo misto) – Il seguito della discussione ha dimostrato che il mio intervento sul terzo comma non era avulso dalla discussione dei precedenti commi e, soprattutto, dall’emendamento del senatore Terracini. Infatti, se fosse approvato l’emendamento Terracini, che elenca gli ordini da sopprimere, io non vedrei quale materia resterebbe per la delega al Governo.
Ma io desidero, ora, porre una questione di ordine generale che, forse, non potremo approfondire, ma che è bene sia posta in un caso che a me sembra un caso limite.
Noi abbiamo approvato una serie di deleghe legislative, per le quali non siamo riusciti mai a precisare che cosa il costituente abbia inteso dire ed abbia voluto, quando ha imposto che l’esercizio della funzione legislativa può essere delegato solo previa determinazione dei princìpi e dei criteri direttivi. Anche in dottrina si è tanto discusso e si continua a discutere. Ma, indubbiamente, questa limitazione (che deve essere particolarmente tenuta presente – e qua proprio mi rivolgo all’onorevole Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio – da coloro che vorrebbero estendere la prassi della delega legislativa) è volta a rendere efficace quel sindacato di costituzionalità sulla legge di delega, che oggi non può essere fatto per mancanza della Corte costituzionale, ma che, indubbiamente, domani troverà ampia attuazione.
Ora, se la limitazione tende a circoscrivere il campo della delegazione, mi sembra che una determinazione dei princìpi e dei criteri direttivi, come quella contenuta nel terzo comma dell’articolo 9, non abbia alcun significato, perché non possono essere ritenuti princìpi e criteri direttivi i «princìpi del nuovo ordinamento costituzionale dello Stato», cui debbono sottostare tutte le leggi e non soltanto quelle di delega. Credo che nessun giurista e nessuna Corte Costituzionale potrebbero ammettere una delega in questi termini.
Ma la mia opposizione alla delega diventa ancora più decisa – per cui dichiaro che voterò contro questo terzo emendamento, mentre voterò a favore dell’articolo 11, che prevede l’autorizzazione ad emanare il regolamento di esecuzione – se leggo la relazione dell’onorevole Fantoni. L’onorevole Fantoni ha voluto dare una sua spiegazione – che ritengo sia anche una spiegazione della Commissione – di questa delega al Governo ed ha ritenuto di tracciare quelle che a suo avviso dovrebbero essere le direttive del Governo nel valersi della delega, concludendo testualmente: «La delega, come contemplata dall’articolo 9, risponde alla norma dell’articolo 76 della Costituzione, in quanto è limitata nel tempo, definita nell’oggetto e determinata nei principi e criteri direttivi»; i quali risultano non più dai princìpi della Costituzione, come poi statuisce l’articolo 9, ma dalle norme che si sottopongono alla approvazione – cioè dalle norme della legge che stiamo discutendo – e dal pensiero della Commissione dianzi espresso.
Ora, onorevoli colleghi, io mi rivolgo al vostro senso di responsabilità perché non sia affermato un precedente che possa, domani, essere invocato in una materia così delicata di rapporti tra potere legislativo e potere esecutivo. Per cui, confido che l’onorevole rappresentante del Governo possa ora acconsentire ad una soluzione che o neghi la delega, votando i precedenti emendamenti che sono stati proposti e che tendono appunto a regolare, sin da ora, questa materia della soppressione e della trasformazione degli ordini; o rinvii ad una legge la disciplina della materia, a meno che non intenda proporre una precisazione di criteri e di principi direttivi che possa essere in armonia con il dettato costituzionale.
CARRARA Giovanni (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
CARRARA Giovanni (Democrazia cristiana) – Non mi pare che le critiche del senatore Rizzo su questo punto siano giuste. Mi pare, invece, che l’articolo 9 risponda pienamente ed esattamente alle condizioni stabilite dall’articolo 76 della Costituzione in materia di delega. Queste condizioni sono le seguenti: oggetto definito, tempo, determinazione di principi e criteri direttivi. Tutte queste condizioni sono rispettate. Per quanto riguarda l’oggetto definito, qual è l’oggetto di questa delega? La fissazione di norme di trasformazione o di soppressione degli ordini. Per quanto riguarda il tempo, esso è stabilito: un anno. I criteri e i principi? Sono quelli della Costituzione in materia di ordini, vale a dire recepisce questo disegno di legge, e non poteva fare diversamente, gli stessi criteri, gli stessi principi, le stesse direttive che sono stabilite dalla Costituzione in questa materia. Mi pare che la norma sia perfettamente esatta e non vi sia altro da dire. (Approvazioni).
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – La questione sollevata dal senatore Rizzo tocca un punctum dolens della nostra vita legislativa che è ormai cronico e che oggi si manifesta in una delle sue forme forse meno acute. Proprio per questo, credo che, saggiamente, l’onorevole Rizzo abbia sollevato la discussione in questa sede, perché forse essa è quella in cui l’esame si potrà fare più serenamente, dato che vi è meno passionalità nel dibattito.
Vorrei fare una osservazione al senatore Carrara: il dire che le direttive per la delega legislativa sono quelle contenute nell’ordinamento costituzionale, significa negare quello che dice la Costituzione perché, allora, per tutto vi è la direttiva dell’ordinamento costituzionale. È evidente che quando la Costituzione parla di linee direttive, non parla delle linee direttive della Costituzione: parla delle linee direttive che dà il Parlamento quando dà la delega, cosa che è profondamente diversa; e che mi pare talmente evidente che un sottile giurista come il collega Carrara può trovare, se deve difendere una causa, questi ed altri argomenti, ma, obiettivamente, non può dire che la direttiva di cui parla l’articolo 76 sia la Costituzione, perché, allora, questa non ne parlerebbe.
Ad ogni modo, l’osservazione che vorrei sottoporre al Senato è questa: se dobbiamo discutere a fondo questo problema oggi, in questa sede, dovremmo andare a stanotte oppure rimandare questa discussione amplissima, che investe questioni politiche e costituzionali e che oggi non possiamo fare. Mi domando se, invece, non si potrebbe lasciare impregiudicata la questione di fondo sopprimendo questo capoverso, perché la legge esecutiva, di cui parla il capoverso dell’articolo 9, è una di quelle che, con termine improprio, sogliamo chiamare “leggine”, che si possono presentare e deliberare in Commissione rapidamente. Quindi, mi pare che non è uno di quei casi in cui la delega legislativa sia indispensabile. Facilmente ci si può sottrarre a discutere così complessa questione in questa sede, riservandola ad altra, non compromettendo, ancora una volta, la questione con una delega di cui si può fare a meno, perché la materia è talmente minuta che si può risolvere per via normale, senza che la delega sia necessaria.
Ad ogni modo, anche per mio conto, intendo associarmi ancora una volta (perché già in altre occasioni ho fatto il rilievo) alle giustissime riserve del senatore Rizzo Giambattista e desidero anche far presente che io non credo che il Parlamento possa pregiudicare così alla chetichella, con una prassi, quella che è una norma precisa della Costituzione che anche per il Parlamento è legge, legge alla quale il Parlamento non può sfuggire.
BISORI Guido (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
BISORI Guido (Democrazia cristiana) – Sto raccogliendo le firme per presentare il seguente emendamento: «Sostituire all’ultimo comma dell’articolo 9 il seguente: “Per gli altri ordini ed onorificenze istituite prima del 2 giugno 1946, si provvederà con separata legge”». Lo illustro rapidamente.
Tacere, sopprimendo del tutto l’ultimo comma, non mi sembra che si possa, perché la legge è organica e non può, quindi, lasciare una lacuna circa taluni ordini, ignorandoli ed omettendo di regolarli. D’altra parte, su questi ordini, oggi, una decisione non è matura: lo riconosceva, in sostanza, anche il testo della Commissione. Bisognerà, dunque, intervenire con un separato provvedimento.
Questo provvedimento – per scansare, circa la delega, le questioni prospettate dal senatore Rizzo – dovrà essere, a mio avviso, non una legge delegata, ma una legge qualsiasi, della quale riparleremo e per la quale faremo fin da ora riserva, in modo che la legge attuale non ignori alcun ordine e non lasci lacune.
È per queste ragioni che proporrei di dire: “si provvederà con separata legge”.
RICCIO Mario (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
RICCIO Mario (Democrazia cristiana) – A nome della Commissione, dichiaro di accettare l’emendamento Bisori.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole Andreotti, per esprimere il parere del Governo.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Premessa l’accettazione dell’emendamento del senatore Bisori, credo necessario dire che il Governo non aveva certamente dimenticato le linee dell’istituto della delega stabilito nella Costituzione. Per conto mio, il criterio direttivo deve riscontrarsi dove è detto: «per trasformare o sopprimere». In questo c’era un criterio direttivo in cui l’alternativa veniva lasciata alla discrezionalità del Governo, delegato a ciò dal Parlamento. Non era certo un caso di delega con il quale potesse essere fatto un colpo di Stato o un attentato alle libertà costituzionali; e proprio perché non c’era nessuna volontà di andare contro il Parlamento, penso che sia stato utile il discuterne. Era una forma di semplificazione dei nostri lavori. Comunque, a nome del Governo, aderisco all’emendamento proposto dal senatore Bisori.
PRESIDENTE – Onorevole Menotti, insiste nel suo emendamento?
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – Vi insisto e chiedo che sia votato per divisione.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – A me pare che, con la proposta del senatore Bisori, noi avevamo ben risolto il problema, poiché non facevamo più una discussione di merito sulle singole distinzioni; mentre, se adesso le poniamo in discussione e l’una viene approvata l’altra respinta, già ci precludiamo la possibilità, in sede legislativa, di poter stabilire in altro modo.
PRESIDENTE – Onorevole Andreotti, appunto per questo avevo chiesto al senatore Menotti se di fronte alla nuova proposta insisteva, ma egli mi ha risposto che insiste.
RICCIO Mario (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
RICCIO Mario (Democrazia cristiana) – Io avevo proposto, e mi pareva che ella ed il Senato avessero accettato, di discutere prima il terzo comma e il relativo emendamento e poi il secondo comma ed i suoi emendamenti. Se così è stato stabilito e così si è proceduto, occorre, in conseguenza, passare prima alla votazione del terzo comma e poi si potrà tornare alla discussione e, quindi, alla votazione del secondo comma e dell’emendamento Menotti.
PRESIDENTE – Con l’intesa che il secondo comma sarà messo ai voti successivamente, pongo allora in votazione il terzo comma nel testo dell’emendamento sostitutivo Bisori:
«Per gli altri Ordini ed onorificenze istituiti prima del 2 giugno 1946, si provvederà con separata legge».
Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Passiamo ora alla votazione, per divisione, dell’emendamento sostitutivo del secondo comma, proposto dal senatore Terracini e fatto proprio dal senatore Menotti, di cui ho già dato lettura.
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – Onorevole Presidente, dichiaro di rinunciare alla votazione per divisione.
PRESIDENTE – Pongo allora in votazione, nel suo complesso, l’emendamento Terracini-Menotti. Chi l’approva è pregato di alzarsi.

Non è approvato.

PRESIDENTE – Pongo in votazione il secondo comma dell’articolo 9, nel testo proposto dai senatori Tessitori, Lavia, Tommasini ed altri ed accettato dalla Commissione, di cui ho già dato lettura. Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Pongo in votazione, nel suo complesso, l’articolo 9 nel seguente testo modificato:

Art. 9.

«L’Ordine della SS. Annunziata e le relative onorificenze sono soppressi.
L’Ordine della Corona d’Italia è soppresso e cessa il conferimento delle onorificenze dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. È tuttavia consentito l’uso delle onorificenze già conferite, escluso ogni diritto di precedenza nelle pubbliche cerimonie.
Per gli altri ordini ed onorificenze, istituiti prima del 2 giugno 1946, si provvederà con separata legge».
Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Senato della Repubblica, seduta del 17 novembre 1950
ripresa della discussione

PRESIDENTE – Riprendiamo la discussione del disegno di legge relativo all’istituzione del nuovo ordine cavalleresco.
Passiamo all’esame dell’articolo 10, che è del seguente tenore:

Art. 10.

«Le spese per l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana» graveranno su apposito capitolo da istituire nello stato di previsione della spesa del Ministero del Tesoro, rubrica “Presidenza del Consiglio dei Ministri”».
Il senatore Nobili e i senatori Cingoiani, Tupini, Lepore, Bisori, Uberti, Traina e Ciampitti hanno presentato due emendamenti soppressivi dell’articolo. Ha facoltà di parlare il senatore Nobili, per illustrare il suo emendamento.
NOBILI Tito Oro (Partito socialista) – Poiché non ho chiesto in tempo di poter fare una dichiarazione di voto sull’emendamento Bisori, all’ultimo comma dell’articolo 9, mi si consenta che, nel prendere la parola a svolgimento dell’emendamento soppressivo dall’articolo 10, io dichiari che tanto più volentieri ho votato l’emendamento sostitutivo di cui sopra in quanto, nello svolgimento del mio emendamento all’articolo 9 avevo già avvertito, anche ai fini più estesi, l’opportunità che, invece di una delega legislativa al Governo per sopprimere o trasformare gli ordini già esistenti, fosse stabilito che, con legge separata, si sarebbe regolata organicamente tutta la materia.
Venendo ora al mio emendamento, tendente a sopprimere l’articolo 10, pel quale dovrebbe essere stanziata in bilancio, sotto speciale capitolo, la spesa necessaria alla istituzione e al mantenimento del nuovo ordine, mi pare che la sua giustificazione, evidentissima per noi, sia almeno evidente per tutti gli altri. E ho appreso con molto piacere che anche l’onorevole Cingolani sarebbe per quest’ordine d’idee.
Non so se la sua adesione possa essere ispirata allo stesso criterio cui è ispirato l’emendamento mio; credo, anzi, di poterlo escludere, per gli stessi motivi che hanno portato lui a sostegno e all’approvazione della istituzione dell’ordine e noi alla opposizione più decisa.
Comunque, ripeto che i motivi dell’emendamento sono, per noi, evidentissimi: della istituzione di questo ordine cavalleresco noi abbiamo assolutamente negato la necessità e la opportunità e, anzi, ne abbiamo dimostrato l’aspetto negativo e controproducente. Sarebbe assurdo, pertanto, pensare che noi possiamo aderire al concetto che le spese della istituzione e del mantenimento dell’ordine possano gravare sul già troppo tartassato contribuente italiano. Si tratta di un ordine e, cioè, di un corpus; e, pertanto, è logico e morale che coloro che ad esso apparterranno provvedano alla sua esistenza.
Comunque, non si parli di stanziamenti di somme a carico dello stremato bilancio dello Stato. (Applausi).
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare il senatore Bisori per svolgere, quale firmatario, l’emendamento del senatore Cingolani ed altri.
BISORI – Io credo di interpretare il pensiero del primo firmatario onorevole Cingolani, assente in questo momento dall’Aula, nel dire che egli, per le considerazioni svolte dal senatore Nobili e per altre, ritiene che al mantenimento dell’Ordine non si debba provvedere con stanziamenti speciali.
UBERTI Giovanni (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
UBERTI Giovanni (Democrazia cristiana) – Debbo far rilevare, per riguardo alla disposizione dell’articolo 10, che in esso non viene indicata la copertura, per cui esso urta contro il disposto dell’articolo 81 della Costituzione. Con l’emendamento soppressivo dell’articolo 10, da noi proposto, si evita la questione e le poche spese necessarie a seguito della presente legge possono essere sostenute dal bilancio della Presidenza dei Consiglio, al capitolo delle spese casuali. In questo modo, la spesa sarà più sicuramente contenuta in limiti modesti, non si ha un aumento di spesa e, quindi, si evita il problema della copertura.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Non ero presente quando il senatore Bisori ha svolto il nostro emendamento. Comunque, l’emendamento tende a far sì che non si crei un capitolo speciale per lo stanziamento di questo ordine, ma che le spese relative vengano a pesare sul bilancio della Presidenza del Consiglio, come del resto è sempre stato nel passato per tutte le decorazioni ed onorificenze.
TOMÈ Zeffirino (Democrazia cristiana) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
TOMÈ Zeffirino (Democrazia cristiana) – Mi sembra che con l’accogliere l’emendamento proposto, relativo all’attribuzione delle spese, si vada contro le categorie dei benemeriti più poveri, più modesti, proprio quelli che meritano un maggiore riconoscimento. Andremmo a finire col mettere qualcuno che merita di essere insignito di queste onorificenze nella situazione di dover rinunciare perché…
MANCINI Pietro (Partito socialista italiano) – Senti senti… Abbiamo anche il rappresentante del proletariato dei Cavalieri! E pensare che ci sono tanti paesi senz’acqua!
TOMÈ Zeffirino (Democrazia cristiana) – Non ho ben capito ancora qual è la portata di questo emendamento soppressivo. Se, attraverso la soppressione, si vuole arrivare ad addossare agli stessi insigniti l’onere delle spese, io mi oppongo.
Voci – Ma non è questo il significato!
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Se il Senato mi permette di dare un chiarimento su questo articolo, io escludo nel modo più assoluto che si possa dire, ove dovessero esserci spese per questo ordine, che queste possono essere portate a carico degli insigniti. Oltre tutto, per una ragione di contabilità, perché avremmo una gestione fuori bilancio e, certamente, siamo tutti contrari ad una gestione del genere; oppure, dovremmo farla entrare nel bilancio dello Stato e, quindi, occorrerebbe sempre una voce apposita per autorizzare la spesa di questa somma. Ma sappiamo qual è la realtà della procedura di conferimento: sorgerà la necessità di un piccolissimo ufficio. Abbiamo, però, già tanti uffici nell’Amministrazione dello Stato che non occorre crearne altri, perché, in uno di quelli già esistenti presso la Presidenza del Consiglio, si troveranno capienza e di persone e di attrezzatura. Certamente, quelli che saranno gli uffici a ciò addetti non saranno mastodontici. Avremo, poi, piccolissime spese di ufficio, ma per questo riguardo abbiamo il Poligrafico dello Stato, che rientra nella spesa generale. Qual è l’unica spesa possibile che possiamo prevedere? È noto che a chi è insignito di una onorificenza del genere lo Stato non dà che un foglio di carta, non dà materialmente l’onorificenza: quella sarà data dal comitato di amici che, credo, benediranno la nomina.
L’unica eccezione è data per quelle persone che, o per la loro caratteristica – ad esempio, di cittadini stranieri e particolarmente di cittadini benemeriti o aventi un ufficio di prestigio specifico – o per persone che, per benemerenze veramente eccezionali, si pongono, direi, al di sopra di quella che sarà la schiera normale di coloro che avranno queste onorificenze. Ma una spesa piccolissima, di questo genere, troverà piena capienza in uno dei capitoli che già oggi esistono nel bilancio dello Stato, il capitolo delle casuali. Vorrei dire di più: che noi, cioè, avremo un risparmio. Infatti, fino a questo momento, se noi ad un Capo di Stato straniero – per esempio a Pandit Nehru – dovessimo fare un presente, fino ad oggi, dato che non vi erano onorificenze, fatta eccezione per quella particolare del Ministero degli Esteri, lo faremmo attraverso un omaggio di varia natura il quale, a parte le spese di rappresentanza, non potendo essere in oggetti d’arte, sarebbe per solito in libri, che costano in genere di più di quanto possono costare queste piccole insegne di carattere materiale rappresentanti le onorificenze. Penso quindi che questo ordine, questa onorificenza porterà nel bilancio dello Stato non un aumento di spesa, ma una diminuzione. Comunque, è sicuro che queste piccole eventuali spese trovano piena capienza nel bilancio dello Stato.
PRESIDENTE – Ha facoltà di parlare l’onorevole relatore Fantoni, per esprimere il parere della Commissione.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore – Non aggiungerò parole a quanto ha detto l’onorevole Andreotti. Mi permetto solo di osservare che se noi dovessimo seguire il senatore Nobili nel suo terreno, cioè far pagare all’insignito le spese delle onorificenze, non faremmo altro che metterci sullo stesso piano di quegli ordini fasulli od autonomi di cui abbiamo testé deciso l’abolizione.
Premesso questo, la Commissione non insiste nell’articolo 10 che, quindi, viene abbandonato, perché pensa che le spese potranno essere coperte dal bilancio del Tesoro e, precisamente, dai capitoli 49 e 50, che riguardano le spese della Presidenza del Consiglio.
PRESIDENTE – Pongo allora in votazione l’emendamento soppressivo dell’articolo 10. Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

Do ora lettura dell’articolo 11, che diventa 10:
«Il Governo è autorizzato ad emanare le norme occorrenti per l’attuazione della presente legge».
Lo pongo in votazione. Chi l’approva è pregato di alzarsi.

È approvato.

MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
MENOTTI Clarenzo (Partito comunista italiano) – Ognuno di voi ricorderà la discussione generale, in occasione della quale ho sentito colleghi che si sono pronunciati contro il disegno di legge e, in generale, contro l’istituzione di ordini e di onorificenze, altri, invece, che si sono pronunziati a favore. È noto a tutti che i colleghi di questa parte, in via di principio, si sono pronunziati a favore. Noi eravamo favorevoli ieri; siamo anche ora favorevoli all’istituzione di una onorificenza a chi ha avuto particolari benemerenze verso la Repubblica. Però, nostro intendimento – quale era allora quando, in Commissione, grazie soprattutto al senatore Terracini, particolarmente competente in questa materia come in altre e, poi, in Aula, abbiamo collaborato all’elaborazione di questa legge – nostro intendimento era quello di introdurvi, per lo meno parzialmente e nella lettera e nello spirito, i nostri desiderata, che erano quelli di cambiare ciò che esisteva nel passato, di fare una legge nuova con un ordinamento nuovo in questa materia e adottare nuovi criteri per quanto riguarda le onorificenze e, soprattutto, per quanto riguarda la loro destinazione. E dicendo destinazione, intendevamo dire che in questa legge fosse accentuato il criterio di conferire onorificenze agli uomini del lavoro, ai lavoratori siano essi della scienza, dell’arte, del braccio, lavoratori veri e propri. Noi eravamo fermamente, come siamo, fermamente convinti che una tale legge sarebbe stata giusta, che una tale legge sarebbe stata accolta dal Paese con favore, qualora essa avesse premiato veramente i meriti e si fosse tenuta lontana dal soddisfare inutili e nocive vanità. Eravamo contrari alla creazione di un Ordine del tipo di quelli vecchi, da tutti aborriti: non creare un Ordine chiuso, che costituisce qualche cosa di molto somigliante alla cricca, alla casta. Siamo contrari ad una legge che presenti questo pericolo e la legge, come voi l’avete elaborata e che ora approverete, presenta un tale pericolo. Noi volevamo tenerci lontani dal pericolo di una legge che conferisse una qualche facoltà a coloro che hanno il potere in un determinato momento, di servirsene in periodo elettorale, di servirsene per le decorazioni e le onorificenze ai grandi elettori. E qualcuno si è già espresso qui in tale senso, dicendo: in fondo, nessuno scandalo, ché, se l’hanno meritata, in periodo elettorale potremmo anche dargliela!
Ad un tale criterio ci opponiamo con tutta la nostra energia. La legge, a nostro avviso, così come ci è sottoposta dopo il lavoro compiuto, è lontana, lontanissima dagli obiettivi che noi ci proponevamo e ai quali avremmo dato senza alcuna esitazione la nostra adesione e il nostro voto. Allo stato attuale delle cose, consideriamo che la legge che state per approvare non è utile, non è la legge attesa dal Paese. Io direi di più – e lo dico a titolo mio personale – che questa legge, in questo momento, nella nostra Repubblica, non è una cosa seria. Noi siamo contrari oggi, pervenuti al momento della votazione e pensiamo che se votassimo a favore di questa legge, non renderemmo un servigio al Paese e il nostro voto non raccoglierebbe il favore della maggioranza dei lavoratori. Per questo, non possiamo appoggiare il progetto di legge. Abbiamo dato il contributo che abbiamo potuto con i nostri emendamenti, nel tentativo di migliorare il testo della legge. I nostri emendamenti sono stati tutti respinti, il nostro tentativo è stato stroncato dalla maggioranza. Dichiariamo, perciò, che voteremo contro.
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
LUCIFERO Roberto (Gruppo misto) – Ho già avuto occasione, durante la discussione, di associarmi alle parole di vari oratori e, soprattutto a quelle dell’onorevole Nitti, dell’onorevole Rizzo Giambattista, che hanno detto i motivi della nostra opposizione. Nel corso della discussione, credo di avere fatto il mio dovere di parlamentare italiano, cercando di portare il mio contributo perché una legge malinconica, ma ormai inevitabile, riuscisse il meno peggio che fosse possibile. Aggiungo, al momento conclusivo, che non vorrei che questa collaborazione data nel legiferare fosse fraintesa e, quindi, voglio sottolineare che per i motivi per i quali siamo stati contrari al passaggio agli articoli, oggi, ancora una volta, ci pronunciamo contro l’entrata in vigore di questa legge che non risponde ad alcuna necessità, non incita nessuna buona qualità e dà uno strumento a quanto di deteriore si può trovare nella manovra, nell’attività e nel trafficantismo politico.
PICCHIOTTI Giacomo (Gruppo socialista) – Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
PICCHIOTTI Giacomo (Gruppo socialista) – Dichiaro, a nome del Gruppo socialista, che noi non abbiamo né ritorni di fiamma, né siamo Maddalene pentite per chiedere pietà. Siamo stati contrari prima, durante e dopo e, quindi, siamo in linea con il nostro pensiero. Il nostro Gruppo voterà contro questa legge inutile e vana.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
CINGOLANI Mario (Democrazia cristiana) – Noi voteremo a favore, come conseguenza logica delle intenzioni che hanno avuto i presentatori del disegno di legge, dello spirito con il quale esso è stato discusso in Commissione e del modo con il quale è stato votato, dopo larga discussione, il passaggio agli articoli.
Questo voler demolire a posteriori lo spirito di un’onorificenza repubblicana, che in principio tutti avevano affermato utile sull’esempio di una grande nazione proletaria come è la Russia, mi pare che sia una specie… (Proteste dalla sinistra). Noi riteniamo che non si faccia nessuna offesa al popolo lavoratore con questa onorificenza. Le vostre proposte di emendamento sono state in parte accettate e in parte no. La stessa modificazione della intestazione, che ha mutato la parola «decorazione» in «onorificenza», è opera del senatore Terracini.
Per i lavoratori, tutti sanno che c’è da rivalutare in pieno l’Ordine della Stella al Merito del Lavoro e l’Ordine dei Cavalieri del Lavoro; quindi, non c’è nessuna intenzione di creare una casta di Cavalieri con queste onorificenze, che tendono a premiare tutti gli italiani che, tanto in alto quanto in umili posti, hanno bene servito la Repubblica. (Applausi).
RICCI Federico (Partito repubblicano italiano) – Domando di parlare.
PRESIDENTE – Ne ha facoltà.
RICCI Federico (Partito repubblicano italiano) – La discussione degli articoli di questa legge non fa mutare il mio avviso contrario e nemmeno mi fa cambiare idea la dichiarazione del rappresentante del Governo che, dal punto di vista del bilancio, questa istituzione potrebbe rappresentare un attivo. Mi pare stranissimo. Per quanto uomo di cifre, io non arrivo a capire come si possa da questa istituzione ricavare l’attività; se questo fosse possibile, dichiaro che quasi quasi voterei a favore… Ma, siccome non è possibile e siccome in ogni caso, al di sopra delle considerazioni un po’ scherzose che ora ho fatte, vi sono considerazioni che riguardano la dignità e l’educazione del Paese, io mi appello ancora una volta al Governo e ai colleghi esprimendo il voto che, almeno in questi momenti così gravi in cui fermentano tante importanti questioni, si sospenda la deliberazione progettata, sicché non abbia corso questa legge che, per la frivolezza del suo oggetto, fa quasi l’effetto di una umiliazione inflitta al popolo italiano. (Commenti).
PRESIDENTE – Prima di porre in votazione il disegno di legge nel suo complesso, avverto che, in dipendenza della soppressione nell’articolo 1 del disegno di legge della parola “cavalleresco”, l’intitolazione del disegno di legge resta così modificata:
«Istituzione dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e disciplina del conferimento e dell’uso delle onorificenze».
Ha facoltà di parlare l’onorevole Fantoni, per esprimere il parere della Commissione.
FANTONI Luciano (Democrazia cristiana), relatore –‑ Come ho scritto nella relazione, la Commissione – accogliendo una proposta, se non erro, del senatore Terracini – ha deciso di togliere dal testo governativo l’aggettivo “cavalleresco”. Quindi, dal momento che non ci furono proposte per ritornare al testo primitivo, il titolo della legge deve restare quello adottato dalla Commissione stessa, e cioè quello di «Istituzione dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e disciplina del conferimento e dell’uso delle onorificenze».
PRESIDENTE ‑ Pongo ora in votazione il disegno di legge nel suo complesso. Chi l’approva è pregato di alzarsi.

Dopo prova e controprova, è approvato.

Il disegno di legge sull’istituzione dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana» e sulla disciplina della materia onorifica, approvato con modificazioni dal Senato nella seduta del 17 novembre 1950, è trasmesso il 20 dello stesso mese alla Presidenza della Camera dei Deputati.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

È istituito l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, destinato a dare una particolare attestazione a coloro che abbiano speciali benemerenze verso la Nazione.

Art. 2.

Capo dell’Ordine è il Presidente della Repubblica.
L’Ordine è retto da un Consiglio composto di un Cancelliere, che lo presiede, e di sedici membri.
Il Cancelliere e i membri del Consiglio dell’Ordine sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri; sentito il Consiglio dei Ministri.
Il Consiglio elegge nel proprio seno una Giunta di quattro membri. La Giunta è presieduta dal Cancelliere.

Art. 3.

L’Ordine è composto di cinque classi: Cavalieri di Gran Croce, Grandi Ufficiali, Commendatori, Ufficiali e Cavalieri.
Per altissime benemerenze può essere eccezionalmente conferita ai Cavalieri di Gran Croce la decorazione di Gran Cordone.
Il numero massimo delle nomine che potranno farsi annualmente nelle cinque classi è determinato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti il Consiglio dei Ministri ed. il Consiglio dell’Ordine.

Art. 4.

Le onorificenze sono conferite con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Giunta dell’Ordine.
Particolari forme di conferimento possono essere stabilite nello Statuto previsto dall’articolo 6.
Le onorificenze non possono essere conferite ai senatori ed ai deputati durante il tempo del loro mandato parlamentare.

Art. 5.

Salve le disposizioni della legge penale, incorre nella perdita della onorificenza l’insignito che se ne renda indegno. La revoca è pronunciata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta motivata del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dell’Ordine.

Art. 6.

Lo Statuto dell’Ordine è approvato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dell’Ordine.

Art. 7.

I cittadini italiani non possono usare nel territorio della Repubblica onorificenze o distinzioni cavalleresche loro conferite in Ordini non nazionali o da Stati esteri, se non sono autorizzati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per gli Affari Esteri.
I contravventori sono puniti con l’ammenda sino a lire cinquecentomila.
L’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche della Santa Sede e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro continua ad essere regolato dalle disposizioni vigenti.
Nulla è parimenti innovato alle norme in vigore per l’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche del Sovrano Militare Ordine di Malta.

Art. 8.

Salvo quanto è disposto dall’articolo 7, è vietato il conferimento di onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche, con qualsiasi forma e denominazione, da parte di enti, associazioni o privati. I trasgressori sono puniti con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire duecentocinquantamila a lire cinquecentomila.
Chiunque fa uso, in qualsiasi forma e modalità, di onorificenze, decorazioni o distinzioni di cui al precedente comma, anche se conferite prima dell’entrata in vigore della presente legge, è punito con l’ammenda da lire cinquantamila a lire trecentocinquantamila.
La condanna per i reati previsti nei commi precedenti importa la pubblicazione della sentenza, ai sensi dell’articolo 36, ultimo comma, del Codice penale.
Le disposizioni del secondo e terzo comma si applicano anche quando il conferimento delle onorificenze, decorazioni o distinzioni sia avvenuto all’estero.

Art. 9.

L’Ordine della SS. Annunziata e le relative onorificenze sono soppressi.
L’Ordine della Corona d’Italia è soppresso e cessa il conferimento delle onorificenze dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. È tuttavia consentito l’uso delle onorificenze già conferite, escluso ogni diritto di precedenza nelle pubbliche cerimonie.
Per gli altri Ordini ed onorificenze, istituiti prima del 2 giugno 1946, si provvederà con separata legge.

Art. 10.

Il Governo è autorizzato ad emanare le norme occorrenti per l’attuazione della presente legge.

Il disegno di legge è trasmesso alla I Commissione (Affari Interni-Ordinamento politico ed amministrativo-Affari di Culto-Spettacoli-Attività sportive-Stampa), che lo discute in sede legislativa.

Camera dei Deputati, I Commissione in sede legislativa

Seduta del 26 gennaio 1951

PRESIDENTE – L’ordine del giorno, quindi, reca la discussione del disegno di legge: «Istituzione dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e disciplina del conferimento e dell’uso delle onorificenze», già approvato dal Senato.
Poiché il Sottosegretario di Stato Andreotti non può partecipare alla seduta, trovandosi all’estero, la discussione di questo disegno di legge è rinviata ad una prossima seduta.
Se non vi sono osservazioni, così può rimanere stabilito.
Così rimane stabilito.

Camera dei Deputati, I Commissione in sede legislativa

Seduta del 9 febbraio 1951

PRESIDENTE (Giovanni Battista Migliori) – L’ordine del giorno reca, infine, la discussione del disegno di legge: «Istituzione dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana» e disciplina del conferimento e dell’uso delle onorificenze, già approvato dal Senato.
L’onorevole Nasi ha chiesto di parlare per una questione pregiudiziale. Ne ha facoltà.
NASI Virgilio (Partito socialista italiano) – Onorevoli colleghi, in un momento come l’attuale, in cui lo spettro della guerra tormenta tutte le famiglie e le popolazioni esasperate vedono salire i prezzi dei generi di prima necessità; mentre il numero dei disoccupati aumenta di giorno in giorno, penso che l’approvare un disegno di legge di questo genere costituirebbe, per esse, uno spettacolo irritante. Ci vuol altro che pensare a distribuire delle patacche!
Al Senato è stato detto che questa è la fiera delle vanità. Io non dico che non si debba istituire un ordine onorifico, ma che questo sia il momento adatto per farlo ho ragioni per dubitarne fortemente. È stato anche detto, al Senato che questo disegno di legge risponde ad un motivo umano. Io non so se la frase sia felice o no. Forse, è più felice dire che esso risponde ad un motivo realistico. Realmente, se si dovesse fare della malignità, l’istituzione dell’ordine cavalleresco potrebbe portare a considerazioni molto realistiche, dalle quali voglio tenermi lontano. Perché, quando ho inteso delle prossime elezioni, ho pensato: va bene, questo è un incentivo per le elezioni; ma, d’altra parte, ritengo che i partiti di maggioranza abbiano tali mezzi, che non hanno bisogno di ricorrere al cavaliere o al commendatore per fare proseliti. Il Sottosegretario, ho letto, ha dato un motivo, al Senato, che non mi persuade affatto: la legge servirebbe per agganciare certi ceti e certe classi alla vita dello Stato, senza di che essi finirebbero per allontanarsene. Ora, se ci sono in Italia ceti e classi che si allontanano dalla vita dello Stato unicamente perché non ricevono la croce di cavaliere, io queste classi e questi ceti, non potendoli sopprimere, li lascerei al loro destino.
Mi fermo a queste considerazioni e ripeto che a me non sembra il momento di discutere questa questione. E mi riferisco anche ad un altro argomento che mi viene ora in mente: per non aumentare il discredito che c’è nella pubblica opinione verso il Parlamento. Questo riguarda un altro motivo di cui mi occuperò presto: quello della incompatibilità dei cumuli degli stipendi dei parlamentari. Ora, nel momento in cui molte leggi della Costituzione non sono state fatte, in cui le leggi di struttura non sono state neanche realizzate, noi ci occupiamo, alla vigilia di gravi eventi e mentre dobbiamo pensare ai 250 miliardi per le spese militari, di una materia così… brillante, ma così vana! Propongo, pertanto, che si rinvii la discussione di questo disegno di legge ad un’epoca migliore.
CASALINUOVO Aldo (Partito liberale italiano), relatore – Io mi rimetto alla Commissione.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Dire che questo disegno di legge non è di estrema importanza perché dobbiamo fare cose più necessarie e che, quindi, questa materia va accantonata, mi pare che sia un metodo di lavoro non giusto. Se il disegno di legge fosse stato presentato oggi o anche solo dopo gli avvenimenti di Corea, forse si potrebbe prestare ad una critica di ordine psicologico e si potrebbe giustamente sostenere che ci sono altre preoccupazioni da proporre ai parlamentari. Ma questo disegno di legge era fermo al Senato da un paio d’anni. Ad un certo momento, per il corso ordinario dei lavori, è stato approvato dal Senato. Quindi, quelle eventuali ripercussioni negative della pubblica opinione sono scontate.
Quanto alla bontà in sé del provvedimento, se risponde alle esigenze di vanità di certi ceti o se risponde ad una preoccupazione del Governo e dello Stato, in generale, di riconoscere determinate benemerenze di cittadini e di stranieri in una sfera che va al di fuori di un premio di ordine materiale, questo è problema di merito del provvedimento e noi avremo occasione di approfondirlo discutendo il provvedimento stesso.
Per esprimere un parere più compiuto, contrario all’accantonamento del disegno di legge, dirò che esso non ha soltanto lo scopo di creare un nuovo ordine cavalleresco, ma anche quello di stroncare o, almeno, di disciplinare l’uso di determinati ordini aventi, egualmente, il fine di soddisfare la vanità, ma che non possono essere considerati alla pari di un ordine che ha la sua origine dalla volontà dello Stato di riconoscere pubblicamente dei meriti ed espresso dal Parlamento nelle debite forme. Se noi accantonassimo questo disegno di legge, lasceremmo questo stato di fatto ancora per molto tempo. È vero che si potrebbe accantonare una parte e non l’altra. Ma, siccome in questo momento ci troviamo a dover esprimere un avviso sulla sospensiva, sull’accantonamento sine die, praticamente, del disegno di legge, esprimo parere contrario e prego invece la Commissione di voler passare alla discussione generale e, quindi, all’esame degli articoli.
NASI Virgilio (Partito socialista italiano) – Vorrei solamente osservare all’onorevole Sottosegretario che, siccome il disegno di legge al Senato è passato tutt’altro che facilmente e che, quindi, le ripercussioni ci sono state, insisterei su questo ordine d’idee: che quanto agli ordini cavallereschi non governativi o non riconosciuti – che è la cosa più importante da approvare, siccome il disegno di legge è diviso in due parti, i primi sei articoli che riguardano l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana» e gli altri quattro che riguardano le altre onorificenze già comunque esistenti – si potrebbe sospendere la prima parte e prendere in considerazione la seconda. Ritengo che questa ultima sia così complessa che il relatore arriverà, ad un certo punto, a dire che bisognerà che la Commissione precisi quali ordini dovranno essere soppressi e quali saranno riconosciuti o tollerati.
CASALINUOVO Aldo (Partito liberale italiano), relatore – Effettivamente, il disegno di legge si compone di due parti: la prima, che riguarda l’istituzione dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, la seconda che disciplina gli ordini secondari. Ma, ritengo che non si possa accedere a questa soluzione proposta dall’onorevole Nasi. Si può vedere se è il caso di rinviare o no, ma non si può dividere il provvedimento esaminandone una parte e prescindendo dall’altra.
PRESIDENTE – Pongo in votazione la proposta di sospensiva dell’onorevole Nasi.

Non è approvata.

L’onorevole Casalinuovo, relatore, ha facoltà di riferire.
CASALINUOVO Aldo (Partito liberale italiano), relatore – Il 14 maggio 1949 veniva comunicato alla Presidenza del Senato il disegno di legge presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro degli Affari Esteri, con il Ministro di Grazia e Giustizia e con il Ministro del Tesoro, dal titolo «Istituzione dell’Ordine cavalleresco al Merito della Repubblica Italiana e disciplina del conferimento e dell’uso delle onorificenze».
Il Senato, soppresso dal titolo l’attributo “cavalleresco”, approvava, con talune modifiche, il disegno stesso ed il 20 novembre 1950 il Presidente di quel ramo del Parlamento ne trasmetteva il testo al Presidente della Camera.
Il disegno di legge veniva, quindi, attribuito alla competenza della nostra Commissione in sede legislativa.
La ragione fondamentale che ha determinato il Governo alla presentazione del disegno di legge va riposta nella ritenuta opportunità, rispondente a criteri di equa considerazione sociale, di poter dare un tangibile riconoscimento a coloro che abbiano benemeritato verso la Patria.
L’istituzione dell’ordine non pare possa contrastare con i principi della democrazia. Essa, invece, interpretando e confermando una inveterata tradizione, li convalida e li esalta, poiché il riconoscimento sarà in primo luogo e più largamente indirizzato alla valorizzazione di modeste, ma probe esistenze, dedicate, in silenziosa umiltà ma con sentimento di laborioso sacrificio, al servizio del Paese in ogni settore della vita.
L’istituzione dell’ordine vuol pervenire al conferimento di un concreto attestato verso coloro i quali, nelle pubbliche amministrazioni, nella elaborazione scientifica, nella attività delle arti e delle lettere, nella industria, in ogni campo del lavoro, nell’insegnamento, nelle opere di assistenza e di beneficenza, hanno meritato la gratitudine della Patria.
La secolare attività degli ordini cavallereschi che, prima del 2 giugno 1946, poggiava, in Italia, sull’articolo 78 dello Statuto Albertino, è rimasta sospesa dopo il mutamento delle forme istituzionali dello Stato.
Ma già nella più recente nostra legislazione si trovano dei provvedimenti che considerano, sia per le necessità della soppressione o della trasformazione dei vecchi ordini dopo la instaurazione della Repubblica, sia per le nuove esigenze, la disciplina delle onorificenze.
Così, con il decreto legislativo 5 ottobre 1944, n. 370, veniva disposta la soppressione, per ragioni politiche, dell’Ordine dell’Aquila Romana e, con decreto legislativo 2 gennaio 1947, n. 4, l’Ordine Militare di Savoia veniva trasformato in Ordine Militare d’Italia.
Inoltre, con decreto legislativo 27 gennaio 1947, n. 703, ora sostituito dal decreto legislativo 9 marzo 1948, n. 812, veniva istituito l’ Ordine della Stella della Solidarietà Italiana, quale particolare attestato a favore di tutti coloro, italiani all’estero o stranieri, che avessero specialmente contribuito alla ricostruzione dell’Italia.
L’attuale istituzione dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana si riallaccia direttamente, peraltro, ad una norma costituzionale. L’articolo 87 della Costituzione, disciplinando i poteri conferiti al Presidente della Repubblica, stabilisce anche, che il Presidente della Repubblica «conferisce le onorificenze della Repubblica».
La portata della norma costituzionale, pur non essendo tale, a mio avviso, da imporre in maniera categorica la istituzione di onorificenze della Repubblica (poiché il Presidente in tanto può conferire queste in quanto esistano) costituisce, indubbiamente, la migliore riprova che nessuna incompatibilità esiste fra la forma repubblicana dello Stato, il suo indirizzo democratico e la possibilità di onorificenze nazionali, mentre evidenti ragioni consigliano di rendere praticamente operante, pur se non imperativa, la norma costituzionale.
Il disegno di legge, così come ci viene trasmesso dal Senato, si compone di dieci articoli, che disciplinano:

  1. a) la istituzione dell’ordine (articolo 1);
  2. b) la sua organizzazione interna (articoli 2 e 6);
  3. c) la revisione specifica delle singole onorificenze (articolo 4);
  4. d) la procedura per il conferimento delle onorificenze (articolo 4) e per la loro revoca a causa di indegnità (articolo 5);
  5. e) la tutela giuridica dell’ordine e delle onorificenze (articoli 7, 8 e 9).

Per quanto concerne la disposizione istitutiva dell’ordine, la formulazione della norma è semplice; posto che nessun contrasto, come abbiamo premesso, esiste con i principi democratici e che, in sostanza, si tratta di pervenire alla formulazione di una legge esplicativa di una norma costituzionale.
Stabilisce l’articolo 1 del disegno: «È istituito l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, destinato a dare una particolare attestazione a coloro che abbiano speciali benemerenze verso la nazione».
Nel testo governativo, in luogo della formula: «a coloro che abbiano speciali benemerenze», si leggeva l’altra: «a coloro che acquistino speciali benemerenze». La Commissione del Senato, per togliere ogni dubbio che la concessione possa riguardare solo benemerenze future e non anche passate, aveva proposto che la parola «acquistino» fosse sostituita dalla dizione «abbiano acquistato od acquistino». Ma il Senato si fermò, in definitiva, sulla formula già riferita, secondo la quale la particolare attestazione può essere attribuita a coloro «che abbiano speciali benemerenze verso la nazione».
E questa formula, nella sua ampiezza (senza distinzioni di sesso o di cittadinanza) e nella sua semplicità, appare la più idonea ad eliminare la possibilità che sorgano contrasti di interpretazione, i quali non avrebbero davvero ragion d’essere.
Per quanto concerne l’organizzazione interna dell’ordine, (mentre l’articolo 6 rinvia allo Statuto tutto quello che possa formare oggetto di regolamento per la vita concreta ed il funzionamento dell’ordine, riservando l’approvazione dello Statuto stesso ad un decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dell’Ordine), l’articolo 2 provvede a garantire le premesse essenziali ed indispensabili per la direzione dell’ordine.
Capo dell’ordine è il Presidente della Repubblica, cioè la stessa suprema autorità cui compete il conferimento delle onorificenze.
L’ordine è retto da un Consiglio, composto da un Cancelliere, che lo presiede, e da sedici membri.
Nell’attribuire il titolo di “Cancelliere” al Presidente del Consiglio dell’Ordine, il Governo – ed il Senato, che ne ha seguito la denominazione – si sono attenuti allo schema tradizionale usato per gli ordini cavallereschi, per i quali è appunto il Cancelliere – senza arrivare alla più pomposa ed ormai superata figura del Gran Maestro – responsabile del funzionamento.
Il Cancelliere ed i membri del Consiglio dell’Ordine sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri.
Il Consiglio dell’Ordine elegge nel proprio seno una Giunta. Questa, secondo il testo trasmessoci dal Senato, è composta da quattro membri.
Presidente della Giunta è lo stesso Cancelliere dell’Ordine.
Debbo avvertire, in rapporto al Consiglio dell’Ordine, che, secondo espressa norma contenuta nel testo governativo del disegno di legge, i membri ‑ pur nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri – dovranno essere designati per metà dalle Camere, mentre l’altra metà doveva essere scelta tra i funzionari dello Stato di grado non inferiore al IV, in servizio o a riposo, ovvero fra cittadini eminenti. La Commissione del Senato, modificando la norma del testo governativo, aveva ritenuto di stabilire – ferma restando la competenza del Presidente della Repubblica ad emettere il decreto di nomina, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri – che i membri del Consiglio dovessero venire designati per metà dalle due Camere, fra i componenti delle Camere stesse (quattro per la Camera dei Deputati e quattro per il Senato) e per metà scelti fra cittadini eminenti. Ma il Senato, accogliendo un emendamento dei senatori Tommasini, Tessitori e Lana, i quali dichiararono di non ritenere addirittura decoroso che i membri del Parlamento facessero parte del Consiglio dell’Ordine, soppresse la disposizione; di guisa che l’articolo 2 rimase formulato così come appare nel testo che viene all’esame della nostra Commissione.
Ed in effetti, poiché non può esservi dubbio che il Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri, elegga i componenti del Consiglio dell’Ordine fra persone eminenti; e poiché, d’altra parte, può non apparire opportuno che i parlamentari siano designati con legge ad assumere compiti estranei alla loro funzione di legislatori, credo che la migliore soluzione da adottare sia quella di approvare l’articolo 2 nella formulazione del Senato.
Nessuna considerazione degna di rilievo è da fare per quanto concerne la previsione particolare delle singole onorificenze (articolo 3); la procedura per il loro conferimento (articolo 4); la disciplina della revoca per ragioni di indegnità (articolo 5).
In sostanza, il disegno di legge stabilisce che l’Ordine è composto di cinque classi, che sarebbero, poi, quelle tradizionali di Cavaliere di Gran Croce, Grande Ufficiale, Commendatore, Ufficiale e Cavaliere, aggiungendo altresì che, per altissime benemerenze, può essere conferita ai Cavalieri di Gran Croce la decorazione di Gran Cordone.
Mancando, in questo momento, ogni dato per stabilire il numero massimo delle nomine da conferire annualmente per ciascuna delle cinque classi, il disegno riserva, opportunamente, la determinazione di detto numero ad un decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri ed il Consiglio dell’Ordine.
È ancora stabilito, per quanto concerne la procedura, che le onorificenze siano conferite con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Giunta dell’Ordine, mentre particolari forme di conferimento possono essere stabilite dallo Statuto dell’Ordine.
Con aggiunta al testo ministeriale, determinata da evidenti ragioni di opportunità, il Senato ha stabilito che le onorificenze non possono essere conferite ai senatori ed ai deputati durante il periodo del mandato parlamentare.
Nell’articolo 5 è stabilito che, salve le disposizioni della legge penale, incorre nella perdita dell’onorificenza l’insignito che se ne renda indegno, ovviamente attribuendosi il potere di disporre la revoca al Presidente della Repubblica, su proposta motivata dal Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dell’Ordine. Possono, invero, verificarsi situazioni morali tali che, pure esulando dalla possibilità di applicazione di sanzioni penali accessorie, esigano, a tutela della dignità e del prestigio dell’Ordine, la revoca del conferimento.
Si perviene, così, a quella che è la parte più delicata del disegno di legge, relativa alla tutela giuridica dell’ordine e delle onorificenze.
È di chiara evidenza la necessità che, una volta istituito l’ordine quale espressione ufficiale della Repubblica, esso sia protetto da disposizioni tali che conferiscano prestigio alle sue onorificenze e ne tutelino la dignità ed il valore morale.
Detta protezione giuridica, secondo il disegno di legge, si attua attraverso un complesso di disposizioni, tutte dirette a porre in particolare risalto, nel quadro della legittimità, la particolare autonomia dell’ordine.

  1. a) A tal fine dispone, anzitutto, l’articolo 7 del disegno, alla stregua di una tradizione già considerata dall’articolo 80 dello Statuto Albertino, che i cittadini italiani non possono usare nel territorio della Repubblica onorificenze e distinzioni cavalleresche loro conferite in ordini non nazionali o da Stati esteri, se non sono autorizzati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per gli Affari Esteri.

Il testo governativo rapportava il divieto non all’uso nel territorio nazionale, ma all’accettazione di simili onorificenze; opportunamente il Senato, considerando che il divieto di accettazione potrebbe, talvolta, determinare delle situazioni di disagio per cittadini italiani che risiedono all’estero, ritenne di limitare la necessità dell’autorizzazione soltanto all’uso nel territorio nazionale.

  1. b) In secondo luogo, il disegno prevede (articolo 8) il divieto del conferimento di onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche, con qualsiasi forma e denominazione, da parte di enti, associazioni o privati, nonché il divieto dall’uso, in qualsiasi forma e modalità, di tali onorificenze, decorazioni e distinzioni.
  2. c) Infine, il disegno di legge, affrontando il problema della sorte degli ordini preesistenti al mutamento delle forme istituzionali, dispone la soppressione dell’Ordine della SS. Annunziata e della Corona d’Italia, nonché la cessazione del conferimento delle onorificenze cavalleresche dell’Ordine Mauriziano (articolo 9).

Per quanto concerne l’Ordine della SS. Annunziata, la statuizione espressa della soppressione si sarebbe ritenuta necessaria per esigenze di completezza e per evitare ogni possibile dubbio. Ma è da osservare che, mentre la fine dell’ordine può ritenersi già avvenuta di fatto, essendo state le relative decorazioni ritirate dall’ex sovrano all’atto dell’abbandono del territorio nazionale, è più esatto parlare, dato il suo carattere esclusivamente dinastico, di mancato riconoscimento da parte del nostro Stato, anziché di soppressione. La questione si inquadra, quindi, nella disciplina generale degli articoli 7 e 8.
Per l’Ordine della Corona d’Italia, invece, nazionale e non dinastico, il legittimo provvedimento di soppressione rientra nelle facoltà dello Stato. Esso viene in tutto sostituito dall’istituendo Ordine al Merito della Repubblica.
Per l’Ordine Mauriziano, infine, più esattamente si parla di cessazione del conferimento delle onorificenze e non di soppressione, in quanto, secondo la norma transitoria XIV della Costituzione, l’Ordine Mauriziano continua ad essere conservato con personalità giuridica pubblica, sebbene con le più limitate finalità di ente ospedaliero.
Nella relazione ministeriale è altresì precisato che la disposizione riguarda le onorificenze cavalleresche dell’Ordine Mauriziano, restando in tal modo salvo il conferimento della Medaglia Mauriziana al Merito Militare dei dieci lustri che, secondo le disposizioni da cui è regolata, costituisce una decorazione militare e non una onorificenza cavalleresca, mentre l’attuale sua disciplina può essere modificata in conformità del nuovo ordinamento repubblicano, eventualmente con le stesse norme di attuazione della legge previste dall’articolo 10.

  1. d) La tutela giuridica, così circoscritta da autorizzazioni e da divieti, è contemplata nella previsione legale da un complesso di sanzioni penali, dirette a garantire la osservanza delle molteplici prescrizioni.

Debbo, in proposito, avvertire che il Senato ha apportato delle modifiche al testo del disegno ministeriale, le quali segnano un deciso e rigoroso inasprimento delle sanzioni penali in relazione a quanto aveva invece stabilito il testo governativo. Così, mentre l’articolo 7 del testo governativo puniva i contravventori al divieto di usare onorificenze straniere senza l’autorizzazione del Presidente della Repubblica con l’ammenda fino a lire 150 mila, il Senato ha aumentato il limite massimo a lire 500 mila.
Riguardo al divieto da parte di enti, associazioni o privati di conferire onorificenze, decorazioni o distinzioni cavalleresche, sancito dall’articolo 8, il disegno ministeriale aveva ipotizzato, per i trasgressori, una contravvenzione, comminando la pena dell’arresto fino a sei mesi e dell’ammenda da lire 100 mila a lire 500 mila, mentre il Senato ha trasformato la fisionomia del reato, sostituendo alla figura contravvenzionale una ipotesi delittuosa ed alla pena indicata la reclusione da sei mesi a due anni e la multa da lire 250 mila a 500 mila.
Ancora, per l’uso abusivo delle onorificenze indicate dall’articolo 8, il disegno governativo comminava la pena dell’ammenda da lire 50 mila a lire 300 mila, mentre il Senato ha elevato il massimo a lire 350 mila, ferma restando, per tutti i reati previsti dall’articolo 8, la pubblicazione della sentenza di condanna, con esplicito richiamo all’articolo 36 del Codice penale.
In merito alle sanzioni penali, ritengo che le ragioni le quali hanno indotto il Senato ad inasprire i limiti segnati nel testo governativo, traggano origine da obiettivo, concreto fondamento e vadano, quindi, condivise.
Ed invero, ritenuta la necessità di porre un freno al moltiplicarsi di ordini cavallereschi che, con il gettito continuo ed indiscriminato delle onorificenze, costituirebbe un grave attentato alla serietà ed al prestigio delle distinzioni dell’istituendo ordine della Repubblica, la sanzione penale deve essere tale da rappresentare una effettiva remora ed appare più saggiamente consigliata da notevoli ragioni di politica criminale – ferma restando la figura contravvenzionale per le minori violazioni alle quali si à accennato – attribuire le caratteristiche di delitto alla più grave trasgressione, così come l’articolo 498 del Codice penale classifica fra i delitti la usurpazione di titoli e di onori.
Al contrario, sempre in tema di sanzioni penali, pare che debba essere disattesa una ulteriore modifica apportata dal Senato al testo ministeriale, con l’aggiunta di un inciso che, ampliando la sfera della repressione, finisce con l’incidere negativamente su principi giuridici i quali non possono venire violati.
Il testo ministeriale, disciplinando nel primo capoverso dell’articolo 8 la contravvenzione inerente all’uso di onorificenze diverse da quelle dell’ordine della Repubblica, faceva esplicito riferimento alla prima parte dello stesso articolo 8, richiamando «l’uso di onorificenze, decorazioni o distinzioni di cui al precedente comma» e così chiaramente lasciando intendere che il divieto dovesse avere per oggetto soltanto l’uso delle onorificenze conferite in violazione della nuova legge, dopo l’entrata in vigore della stessa.
Il Senato ha invece ritenuto di stabilire che il divieto dell’uso dovesse anche riferirsi alle onorificenze «conferite prima della entrata in vigore della presente legge».
L’indirizzo del Senato non può essere seguito. La validità delle onorificenze, da qualsiasi ordine conferite in periodo di piena legittimità, con l’acquiescenza dello Stato, non può venire oggi inficiata dalla nuova legge, che ne reprima addirittura l’uso con la minaccia di sanzioni penali. Il principio che coloro i quali furono insigniti prima della entrata in vigore di una legge diretta a vietare o limitare l’attività degli ordini non esse inquietandos – già sancito nel 1936, di fronte ad una situazione analoga, da una commissione cardinalizia nominata dalla Santa Sede – deve qui trovare piena conferma.
D’altra parte, in rapporto alle onorificenze già conferite, non vi è ragione di stabilire, per quelle degli altri ordini, una disciplina diversa e più rigorosa di quella che lo stesso disegno di legge, con l’approvazione del Senato, riserva alle onorificenze dell’Ordine della Corona d’Italia e dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, nei rapporti dei quali fa appunto salvo l’uso delle onorificenze conferite prima dell’entrata in vigore della legge.
L’uguaglianza di trattamento s’impone, nel rispetto della tradizione giuridica, pur se qualche ordine abbia ecceduto nel numero delle conferite onorificenze, specie quando è notorio che anche per le onorificenze della Corona d’Italia, se fino ad un certo punto venne osservato un criterio di rigorosa selezione, alla vigilia del referendum si giunse ad una vera ed indiscriminata inflazione.
È per questi motivi, onorevoli colleghi, che vi propongo di eliminare, nel capoverso dell’articolo 8, l’aggiunta del Senato e di rafforzare, nella esplicita dizione della legge, il concetto della legittimità dell’uso delle onorificenze conferite prima della entrata in vigore della presente legge.
Ultimo argomento è quello delle deroghe che il disegno di legge pone all’accolto sistema della soppressione degli ordini diversi dall’istituendo Ordine al Merito della Repubblica Italiana, operata mediante il divieto, tutelato da sanzioni penali, della concessione e dell’uso delle onorificenze.
Sono escluse dalla disciplina del divieto le onorificenze, le decorazioni e le distinzioni cavalleresche della Santa Sede, dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro e del Sovrano Militare Ordine di Malta, per le quali l’articolo 7 del progetto dispone che l’uso continua ad essere regolato dalle vigenti disposizioni, senza alcuna innovazione.
Ed invero:

  1. a) per quanto concerne la Santa Sede, il riconoscimento si riallaccia all’articolo 41 del Concordato e trova il suo giuridico fondamento, oltre che in quella norma, nel regio decreto 10 luglio 1930, n. 974, e nell’articolo 1, paragrafo 1°, lettera c), nonché 33 e seguenti del regio decreto 7 giugno 1943, n. 652, relativo al regolamento della Consulta Araldica;
  2. b) per quanto concerne l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro (le cui onorificenze sono disciplinate dall’articolo 1, paragrafo 2°, nonché dall’articolo 35 del citato regio decreto 7 giugno 1943, n. 652), il riconoscimento poggia sulla sostanziale equiparazione delle onorificenze stesse a quelle della Santa Sede, cui è devoluta l’amministrazione dell’Ordine.
  3. c) per quanto riguarda, infine, il Sovrano Militare Ordine di Malta, riconosciuto fin dal 1863, la equiparazione delle onorificenze a quelle nazionali scaturisce da una lunga tradizione, che trova il suo immediato fondamento legislativo nel capo IV, titolo III, allegato A, del decreto legislativo 30 maggio 1947, n. 604, concernente «Provvedimenti in materia di tasse sulle concessioni governative», dove, esplicitamente, si dispone che «non è soggetto ad autorizzazione e, conseguentemente, al pagamento della tassa di concessione governativa, l’uso di onorificenze e decorazioni del Sovrano Ordine Militare Gerosolimitano di Malta, essendo esse equiparate agli Ordini Equestri nazionali».

Nel quadro delle deroghe si inserisce il problema dei cosiddetti ordini liberi o indipendenti, la cui attività, in seguito alla pubblicazione della legge, verrebbe necessariamente a cessare.
Nella relazione al progetto governativo era indicata la possibilità di una disamina della situazione dei singoli ordini, per eventuali discriminazioni. In essa, infatti, si leggeva: «Da taluno si è obiettata la necessità di una discriminazione fra i diversi ordini cosiddetti liberi o indipendenti, sotto il profilo dell’opera di assistenza e di utilità sociale che alcune di queste istituzioni perseguono. Potrà il Parlamento vagliare se tale obiezione meriti accoglimento, al fine di riservare, eventualmente, un trattamento diverso ad alcune delle istituzioni in parola, sulla base di criteri obiettivi e determinati e nei limiti compatibili con quella doverosa tutela delle onorificenze della Repubblica, cui si è sopra accennato».
Ma il Senato, partendo da molteplici considerazioni relative al sorgere ed al rifiorire in questi ultimi anni, nella vacanza di onorificenze ufficiali, di ordini cavallereschi con larga distribuzione di titoli e di insegne, è arrivato ad una soluzione radicale del problema e, sottolineando il principio che il conferimento delle onorificenze, delle decorazioni e delle distinzioni cavalleresche attenga esclusivamente ai poteri del Presidente della Repubblica, non ha creduto ammissibile, né opportuna discriminazione di sorta.
Va osservato, in proposito, che, pur convenendo sulla fondamentale esattezza di talune osservazioni contenute nella relazione del Senato, una presunzione assoluta ed indiscriminata della illegittimità di tutti gli ordini liberi o indipendenti finirebbe con il contrastare con le buone regole del diritto e della equità, le quali impongono, specialmente nella materia in esame, di accogliere l’invito del Governo e di pervenire ad una valutazione selettiva dei singoli casi.
E ciò perché sarebbe sommamente ingiusto escludere, a priori e senza discernimento, che vi possano eventualmente essere ordini liberi, nei rapporti dei quali militino ragioni analoghe a quelle che hanno consigliato il riconoscimento del Sovrano Ordine Militare di Malta e per i quali il riconoscimento dello Stato possa apparire autorizzato dalla chiara derivazione delle origini, dalla lunga tradizione, dalla attività ininterrotta, dagli apprezzamenti nel campo internazionale, dalla funzione assistenziale svolta ed alla finalità sociale perseguita, dal favorevole pronunciato della magistratura.
Va piuttosto considerato che, di fronte al numero dei ripetuti ordini ed alla insuperabile necessità di adeguate ricerche araldiche, ogni discriminazione sarebbe, in questa sede, impossibile e che evidenti ragioni di convenienza, di fronte alla conclamata urgenza di addivenire alla istituzione dell’ordine della Repubblica (salvo le riserve dei colleghi), consigliano il rinvio ad altra legge.
E poiché, in contrasto con la norma del disegno ministeriale che comportava una delega al Governo, per la emanazione delle norme necessarie per trasformare o sopprimere gli altri ordini ed onorificenze istituiti prima del 2 giugno 1946 – in relazione ai princìpi del nuovo ordinamento costituzionale dello Stato – il testo approvato dal Senato, molto opportunamente, rinvia ad altra legge la disciplina di detti ordini ed onorificenze (quali l’Ordine Civile di Savoia, l’Ordine al Merito del Lavoro, l’Ordine Coloniale della Stella d’Italia, la decorazione della Stella al Merito del Lavoro), basterà estendere il rinvio agli altri ordini con personalità giuridica internazionale che meritino particolare considerazione per l’opera di assistenza e di utilità sociale svolta in Italia.
Ho creduto necessario di informare così dettagliatamente la Commissione su ogni punto del disegno di legge. Naturalmente, in relazione alle proposte di modifiche che ho illustrato nel corso della relazione, ho preparato gli emendamenti che presenterò a suo tempo e sui quali discuteremo.
PRESIDENTE (Roberto Lucifredi) – Dichiaro aperta la discussione generale.
ROSSI Paolo (Partito socialista dei lavoratori) – Avrei una prima osservazione da fare. Perché dire “Cavaliere dell’Ordine” e non, invece, motociclista o aviatore? Non siamo più nel secolo equestre; siamo nell’epoca del motore! Dirò, comunque, i motivi eteronomi che mi ispirano ad approvare il disegno di legge.
Se condividessi l’opinione espressa dall’onorevole Nasi, che, cioè, l’istituzione di un ordine cavalleresco è un potere conferito al Governo allo scopo di creare una classe affezionata alla Repubblica o – per dirla con un termine meno cortese – per giovarsi elettoralmente, per corrompere politicamente, per esercitare delle influenze, allora sarei nettamente contrario. Ma penso l’opposto.
Il Re Sole disse: «Tutte le volte che do un Cordone di San Luigi faccio un ingrato e novantanove scontenti». Lo stesso avverrà per l’ordine della Repubblica: ogni croce assegnata farà un ingrato e novantanove scontenti. Il miglior sistema lo adottò Carlo V il quale, a cavallo, disse: «Estote totos marchiones». In tal modo, l’effetto sarebbe scontato.
La verità è che il Governo si pone, con l’istituzione di questo ordine, il problema della moralizzazione. Quali sono le difficoltà? Moltissime. Mi dicono che vi sono, adesso, da 500 mila ad oltre un milione di cavalieri, commendatori ecc. di quegli ordini che ho sentito qualificare come fasulli, ordini che ammonterebbero ad oltre 300. Ora, questi cavalieri, questi commendatori, questi cavalieri di gran croce sono profondamente attaccati al titolo, per la semplice ragione che lo hanno pagato. Essi sono sicuri di averne la proprietà. Se questi titoli fossero stati dati gratuitamente, potremmo privarli facilmente; ma, essendo stati comperati, privandone i possessori, questi si riterranno spogliati.
Non si può quindi parlare, onorevole Nasi, di strumento di corruzione. È veramente un atto di moralizzazione, perché, ben lungi dall’acquistare degli amici, il Governo che ha il coraggio di proporre una legge di questo genere, è sicuro di acquistarsi circa un milione di nemici, che sono i cavalieri creati da tutti gli ordini che saranno messi fuori legge.
Seconda ed enorme difficoltà che il Governo deve affrontare è l’equiparazione tra i vecchi ordini cavallereschi e i nuovi. Fra i due tipi di ordini, quale avrà la prevalenza? Vi saranno alcuni che preferiranno rimanere commendatori o grandi ufficiali della Corona d’Italia; altri, invece, vorranno essere cavalieri della Repubblica. Ritornano, dunque, in giuoco le vecchie questioni che toccano profondamente la consistenza politica del Paese e si deve riconoscere che è una difficoltà grande che il Governo affronta, senza nulla acquistare. D’altra parte, proprio per delle ragioni di serietà, è necessario disciplinare il conferimento di queste onorificenze. Ad esempio, in Isvizzera, esse non si usano affatto, tanto che il Presidente della Confederazione Elvetica si chiama signor tale o dottor tale e non avviene, come nel nostro Paese e anche in altri Paesi, questa corsa alle onorificenze. Ritengo, infine, che questo disegno di legge non potrà assolutamente essere uno strumento di corruzione politica, semmai uno strumento che regoli concretamente la materia.
SAILIS Enrico (Democrazia cristiana) – Se io dovessi seguire l’interno impulso del mio animo, sottoscriverei le dichiarazioni dell’onorevole Nasi. Evidentemente, il mondo non ha eccessivamente progredito, se gli uomini ambiscono ancora, e in questo periodo, di ottenere onorificenze. Tuttavia, i Costituenti hanno messo, fra le prerogative del Capo dello Stato, anche quella di conferire onorificenze; per cui, non ci resta che attuare la Costituzione.
NASI Virgilio (Partito socialista italiano) – Ma non ha l’obbligo!
SAILIS Enrico (Democrazia cristiana) – Comunque, il Capo dello Stato ha questa facoltà e noi la dobbiamo attuare attraverso una legge ordinaria. Inoltre, malgrado la mia avversione a qualsiasi tipo di onorificenza, devo riconoscere che, fortunatamente, le onorificenze oggi non contrastano, sostanzialmente, con i principi di uno Stato democratico, in quanto esse non stabiliscono delle differenze, delle gerarchie nella capacità giuridica dei cittadini. Si tratta soltanto di parvenze, di pure esteriorità che, tuttavia, noi dobbiamo sforzarci di disciplinare nel modo più perfetto. È indubbio che il cuore degli uomini, e anche quello delle donne, desidera le onorificenze; ma queste debbono essere conferite per meriti concretamente acquisiti. Quindi, le onorificenze dovrebbero essere un riconoscimento di benemerenze acquisite e una distinzione formale, non sostanziale. Conseguentemente, a mio avviso, dovrebbero sparire i conferimenti meccanici, come avveniva per il passato, e cioè, quando un ufficiale o un alto funzionario dello Stato giungeva ad un determinato grado, automaticamente veniva conferita, immancabilmente, una onorificenza.
In questo modo, onorevoli colleghi, le onorificenze si sono declassate. È necessario, dunque, disciplinare questa materia in modo che le onorificenze siano mantenute ad un livello sufficientemente alto per quanto riguarda la dignità e il prestigio di esse. È stato bene che, nell’articolo 8, si sia vietato il conferimento di onorificenze, di decorazioni e di distinzioni cavalleresche, con qualsiasi forma o denominazione, da parte di enti, associazioni o privati. Onorevoli colleghi, non bisogna dimenticare che molti ordini, spesso senza alcuna tradizione, hanno fatto mercato delle onorificenze. Non sono, poi, d’accordo con il collega Rossi, nel senso che bisogna indulgere con coloro che hanno pagato queste onorificenze. Appunto perché le hanno pagate, la legge li deve perseguire, dando anche una manifestazione di severità nei confronti di coloro che hanno commesso eventuali reati con questo commercio di onorificenze.
Sono poi contrario alla proposta dell’onorevole relatore e, cioè, di mitigare il capoverso dell’articolo 8 che, invece, manterrei invariato. Posto che dobbiamo indulgere di fronte alla psicologia umana, questa materia dobbiamo disciplinarla nel migliore dei modi, onde alle onorificenze siano connessi il prestigio e la dignità necessari.
RUSSO Carlo (Democrazia cristiana) – Condivido la perplessità iniziale dell’onorevole Sailis, perplessità che non sono riuscito completamente a superare. Avrei votato a favore della proposta dell’onorevole Nasi, ma mi sono dovuto astenere, per due considerazioni. Prima di tutto, perché la Costituzione stabilisce che il Presidente della Repubblica ha la facoltà di conferire le onorificenze; in secondo luogo, perché questa legge impedisce l’abuso che si è venuto a verificare, in questi anni di carenza legislativa, in questa materia che riguarda il conferimento di onorificenze da parte di ordini, fioriti spesso dal nulla. Per queste ragioni, voterò a favore del disegno di legge. Debbo, inoltre, dichiarare che sono nettamente contrario alle modifiche proposte dall’onorevole relatore all’articolo 8 e all’articolo 9. Ad esempio, all’articolo 8, l’onorevole relatore propone che si distingua l’ipotesi delle onorificenze conferite prima dell’entrata in vigore di questa legge. Faccio osservare che, qualora noi accettassimo questa proposta, daremmo modo a questi ordini, nati talvolta per speculare sul conferimento delle onorificenze, di conferire ancora abusivamente altre onorificenze, nel tempo che intercorre tra l’approvazione della legge e la pubblicazione. A me pare, dato che la Costituzione, come ho detto, stabilisce che le onorificenze debbano essere direttamente conferite dal Presidente della Repubblica, che la dizione del disegno di legge non sia in contrasto con la Costituzione e risponda anche a criteri di equità. Per queste considerazioni, credo che sia opportuno lasciare intatto anche l’articolo 9, senza fare eccezioni per nessun ordine cavalleresco. Concludendo, mi, dichiaro favorevole a che il disegno di legge venga approvato dalla Commissione, senza modificazioni.
VIGORELLI Ezio (Partito socialista unitario) – Vorrei, onorevoli colleghi, che questa discussione fosse in breve conclusa. Dal momento che la legge è qui davanti a noi, approviamola o, comunque, esaminiamola: tanto non cambieremo niente, né in senso favorevole, né in senso dannoso. Soprattutto, non moralizzeremo niente. Quanto alla Svizzera, davvero non mi preoccupo: gli Svizzeri ci hanno sempre chiamati “Commendatori” e tali continueranno a chiamarci. Quanto al Governo, davvero non mi varrò di questo disegno di legge per spiegare la mia attività di oppositore, anche se, presentando questo disegno di legge, il Governo non deve aver avuto molto coraggio.
NASI Virgilio (Partito socialista italiano) – Non penso ad oppormi alla istituzione di un ordine cavalleresco. Mi sono limitato a far presente che il momento attuale e la situazione presente suggerivano di rinviarne la discussione. Quanto al merito, non sono d’accordo con l’onorevole Vigorelli, ritenendo, invece, che una qualche discussione su qualche punto ci debba essere. Per esempio, per quanto riguarda gli ordini così detti «fasulli», non sono dell’opinione che soltanto l’Ordine del Santo Sepolcro e quello dei Cavalieri di Malta debbano essere riconosciuti; ve ne sono altri che hanno gli stessi titoli e gli stessi meriti.
Dal momento, quindi, che si vuol discutere la legge, la si discuta e non limitiamoci ad accettare il testo del Senato sic et simpliciter. In sede di discussione degli articoli, mi permetterò di presentare degli emendamenti: per esempio, chiederò che, come i deputati e i senatori, così anche i magistrati non possano essere… crocefissi. Ciò per non mettere in condizione i giudici di barattare la loro coscienza con una onorificenza. Mi associo, poi, al collega Rossi nel raccomandare prudenza nella distribuzione delle onorificenze.
TURCHI Giulio (Partito comunista italiano) – Non riesco ad appassionarmi né a favore, né contro questo disegno di legge. Non mi appassiono a favore perché, personalmente, ritengo che le onorificenze siano un retaggio del passato; non mi appassiono contro, perché mi rendo conto che questo bisogno sussiste e che una onorificenza può essere ambita e, in certi casi, anche necessaria.
Evidentemente, il problema è quello della distribuzione delle onorificenze. Tuttavia, dal momento che siamo entrati nell’ordine di idee di istituire l’ordine cavalleresco, penso sarà bene staccarci dal passato, anche per quello che si riferisce ai nomi. Diceva giustamente l’onorevole Rossi che oggi i cavalli non hanno più la funzione ed il significato di una volta: perché, dunque, dovremo continuare a chiamare cavalieri coloro che non sono mai stati a cavallo? Penso che sarà bene trovare una dizione diversa.
Nel disegno di legge, poi, non si fa nessuna menzione alle donne. Può darsi che sia sottinteso. Io, tuttavia, proporrò un apposito emendamento, perché sia detto espressamente che le onorificenze possono essere conferite anche alle donne.
PRESIDENTE ‑ Dichiaro chiusa la discussione generale.
CASALINUOVO Aldo (Partito liberale italiano), relatore – Ritengo che, in ordine alla opportunità di votare il disegno di legge, non esistono ormai più dissensi. Tutti i colleghi intervenuti nella discussione generale si sono dichiarati, in sostanza, favorevoli al merito della legge, pur segnalando delle riserve di carattere particolare. Lo stesso onorevole Nasi ha chiarito che la sua richiesta di sospensiva non voleva aver significato di una opinione contraria al contenuto del disegno di legge.
Per ragioni di brevità, ritengo pertanto che non si debba insistere maggiormente sui caratteri generali del provvedimento e propongo senz’altro di passare all’esame degli articoli e, in questa sede, potremo approfondire le questioni di ordine particolare.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Anche io mi limiterò a brevissime dichiarazioni. Non ho bisogno di smentire coloro che hanno accusato il Governo di voler usare delle onorificenze come di un mezzo elettorale. È per lo meno puerile pensare, oggi, ad una cosa del genere. La cosa poteva, forse, essere possibile quando esistevano i capi elettori: oggi vanno alle urne 23 milioni di cittadini e ci vuole altro che una onorificenza per influenzarli… D’altra parte, mi dicono che nel 1945-‘46 è stato fatto largo uso, da parte della monarchia, di questo mezzo; tuttavia, il referendum è andato come è andato.
Quanto all’osservazione dell’onorevole Turchi, relativa alla estensione del provvedimento alle donne, faccio presente che anche in Senato era stato proposto un emendamento del genere. Venne respinto, perché parve pacifico che, avendo le donne uguali diritti degli uomini, le onorificenze potessero conferirsi anche ad esse e, d’altra parte, pareva che una specificazione particolare potesse costituire un dannoso precedente.
PRESIDENTE – Data l’ora tarda, l’esame degli articoli del disegno di legge è rinviato ad altra seduta.

Camera dei Deputati, I Commissione in sede legislativa

Seduta del 14 febbraio 1951

PRESIDENTE (Roberto Lucifredi) – L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: «Istituzione dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e disciplina del conferimento e dell’uso delle onorificenze».
Come i colleghi ricorderanno, su questo disegno di legge, nella precedente seduta, fu chiusa la discussione generale.
Passiamo all’esame degli articoli. Do lettura dell’articolo 1:
«È istituito l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana», destinato a dare una particolare attestazione a coloro che abbiano speciali benemerenze verso la Nazione».
Non essendovi osservazioni, né emendamenti, lo pongo in votazione.

È approvato.

Passiamo all’articolo 2:
«Capo dell’Ordine è il Presidente della Repubblica.
L’Ordine è retto da un Consiglio, composto di un Cancelliere, che lo presiede, e di sedici membri.
Il Cancelliere e i membri del Consiglio dell’Ordine sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri.
Il Consiglio elegge nel proprio seno una Giunta di quattro membri. La Giunta è presieduta dal Cancelliere».
Lo pongo in votazione.

È approvato.

Do lettura dell’articolo 3:
«L’Ordine è composto di cinque classi: Cavalieri di Gran Croce, Grandi Ufficiali, Commendatori, Ufficiali e Cavalieri.
Per altissime benemerenze, può essere eccezionalmente conferita ai Cavalieri di Gran Croce la decorazione di Gran Cordone.
Il numero massimo delle nomine che potranno farsi annualmente nelle cinque classi è determinato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti il Consiglio dei Ministri ed il Consiglio dell’Ordine».
TURCHI Giulio (Partito comunista italiano) – Propongo il seguente emendamento: «al primo comma, sostituire alle parole “Cavalieri di Gran Croce, Grandi Ufficiali, Commendatori, Ufficiali e Cavalieri” le altre: “Stella (o Croce) di prima classe, Stella (o Croce) di seconda classe, Stella (o Croce) di terza classe, Stella (o Croce) di quarta classe, Stella (o Croce) di quinta classe».
Le ragioni di questo emendamento si evincono da quanto è stato detto in sede di discussione generale. Dissi appunto, allora, che non sono contrario all’istituzione dell’ordine. Mi sembra, però, che sia necessario innovare qualche cosa ed una innovazione può essere questa: cambiare le denominazioni dei titoli e delle onorificenze, modernizzandole un poco. I cavalieri, oggi, non ci sono più e, quindi, anche la croce di cavaliere, che aveva un significato quando fu istituita, oggi non l’ha più; essa conserva, solamente, un significato tradizionale.
CASALINUOVO Aldo (Partito liberale italiano), relatore – Sostanzialmente, apprezzo la proposta dell’onorevole Turchi circa la possibilità di una innovazione. Ritengo, però, che essa non sia opportuna, in quanto, anzitutto, in questa materia la tradizione ha il suo valore. Praticamente, la cavalleria esiste o non esiste: se esiste, si basa tutta sulla prassi consuetudinaria. È molto difficile trovare una denominazione diversa, che possa sostituire quella tradizionale di Cavaliere, Cavaliere Ufficiale, Commendatore eccetera, né quella proposta dall’onorevole Turchi mi pare soddisfacente, in quanto sostituire alle denominazioni tradizionali quelle di “Stella”, “Croce” o “Stella crociata” non mi pare che convenga, mentre la cosa migliore è quella di mantenere la denominazione tradizionale.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – La questione fu già sollevata al Senato dai senatori Sacco e Terracini. Si diceva che era anacronistica la denominazione di “Cavaliere”, quando non si va più a cavallo. Ma anche qui vi è stato un mutamento di significato nel termine e, d’altra parte, non si può svisare la configurazione tradizionale di questi sistemi: si ridurrebbe l’efficienza psicologica, che ha una importanza notevole nella materia di cui trattiamo.
PRESIDENTE – Insiste, onorevole Turchi, sul suo emendamento?
TURCHI Giulio (Partito comunista italiano) – Insisto.
PRESIDENTE ‑ Pongo in votazione l’emendamento dell’onorevole Turchi al primo comma dell’articolo, sostitutivo delle parole «Cavalieri di Gran Croce, Grandi Ufficiali, Commendatori, Ufficiali e Cavalieri» con le parole: “Stella (o Croce) di prima, seconda, terza, quarta e quinta classe”.

Non è approvato.

Pongo allora in votazione l’articolo 3, nel testo di cui ho dato precedentemente lettura.

È approvato.

Passiamo all’articolo 4:

«Le onorificenze sono conferite con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Giunta dell’Ordine.
Particolari forme di conferimento possono essere stabilite nello Statuto, previsto dall’articolo 6.
Le onorificenze non possono essere conferite ai senatori ed ai deputati, durante il tempo del loro mandato parlamentare».
NASI Virgilio (Partito socialista italiano) – Propongo a questo articolo due emendamenti. Il primo ha riguardo all’ultimo comma, dove si stabilisce l’esclusione dalle onorificenze dei senatori e deputati durante il tempo del loro mandato parlamentare. Ora, a me pare che, per ragioni altrettanto evidenti, debbano essere esclusi anche i membri dell’Alta Corte Costituzionale finché siano in carica, per mantenerli, come il Parlamento ha voluto, in una sfera di assoluta serenità.
Il secondo emendamento che propongo riguarda i magistrati. Proprio ieri sera, alla radio, il procuratore generale della Cassazione, Battaglini, ha detto che l’autorità della Magistratura è fortemente scossa nell’opinione. Ora, non dico che escludere i magistrati dalle onorificenze sia un modo per salvarli dal discredito, ma è certo un modo per mantenerli fuori dalla tentazione.
LONGHENA Mario (Partito socialista dei lavoratori) – Io propongo, invece, la soppressione di tutto il terzo comma. Tutto ciò che può creare in altri il sospetto che uomini od enti non siano onesti nel fare o nel conferire qualche cosa, mi dispiace. E che proprio noi diciamo che le onorificenze non si possono dare ai parlamentari, quasi sospettando che ce le distribuiamo a larghe mani, mi dispiace particolarmente.
CASALINUOVO Aldo (Partito liberale italiano), relatore – Sull’articolo 4 vorrei, anzitutto, fare una osservazione in relazione ad un rilievo dell’onorevole Sailis, fatto durante la discussione generale. Egli si preoccupava della possibilità dei cosiddetti conferimenti meccanici delle onorificenze, in relazione al grado raggiunto da determinate persone nelle pubbliche amministrazioni e nella vita militare in particolare. Questa forma di conferimento meccanico non è prevista dal disegno di legge. Resta, però, la possibilità che una forma del genere sia inserita nello Statuto previsto dall’articolo 6, in quanto il secondo comma dell’articolo 4 stabilisce che «particolari forme di conferimenti possono essere stabilite nello Statuto, previsto dall’articolo 6». Mi permetto, quindi, di fare una raccomandazione al Governo, perché nella compilazione di questo Statuto si tenga conto della opportuna osservazione dell’onorevole Sailis, per evitare la possibilità di conferimenti meccanici delle onorificenze.
Per quanto riguarda gli emendamenti presentati, faccio presente agli onorevoli Nasi e Longhena che l’ultimo comma dell’articolo 4 ha formato, nella discussione al Senato, oggetto di larga considerazione e che, in definitiva, è prevalsa una opinione opposta a quella espressa dall’onorevole Longhena, nel senso che quelle ragioni effettivamente esistono, ma che una volta proposta una formulazione del genere nel disegno di legge, le stesse ragioni sconsigliano di non accoglierla. Ragioni che sussistono, specialmente, quando un ramo del Parlamento ha approvato la proposta stessa. Ora, se il Senato ha stabilito che le onorificenze non possono essere conferite a senatori e deputati durante il tempo del loro mandato parlamentare, la soppressione non potrebbe essere interpretata alla stregua delle osservazioni esposte dall’onorevole Longhena, ma potrebbe prestarsi a considerazioni di natura diversa. Quindi, sono contrario all’emendamento soppressivo Longhena.
Per quanto si riferisce agli emendamenti aggiuntivi proposti dall’onorevole Nasi, effettivamente la situazione che egli ha illustrato corrisponde ad esigenze che tutti sentiamo: non vi è motivo di una disparità di trattamento. Vorrei, però, pregare l’onorevole Presidente di considerare l’opportunità di sospendere, per un momento, la discussione dei due emendamenti, per parlarne alla fine dell’esame degli articoli e vedere se vi siano altri emendamenti. Dico questo per evitare la possibilità che il disegno di legge sia modificato soltanto in questa parte.
PRESIDENTE – Accantoniamo allora la discussione dell’articolo 4 e passiamo all’articolo 5:
«Salve le disposizioni della legge penale, incorre nella perdita della onorificenza l’insignito che se ne renda indegno. La revoca è pronunciata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta motivata del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dell’Ordine».
Lo pongo in votazione.

È approvato.

Do lettura all’articolo 6:

«Lo Statuto dell’Ordine è approvato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dell’Ordine».
Lo pongo in votazione.

È approvato.

Passiamo all’articolo 7:

«I cittadini italiani non possono usare, nel territorio della Repubblica, onorificenze o distinzioni cavalleresche loro conferite in ordini non nazionali o da Stati esteri, se non sono autorizzati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per gli Affari Esteri.
I contravventori sono puniti con l’ammenda sino a lire cinquecentomila.
L’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche della Santa Sede e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro continua ad essere regolato dalle disposizioni vigenti.
Nulla è parimenti innovato alle norme in vigore per l’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche del Sovrano Militare Ordine di Malta».
NASI Virgilio (Partito socialista italiano) – Credo necessario fare alcune dichiarazioni. Io non sono specializzato in questa materia; comunque ricordo che al Senato vi è stata, su questo articolo, un’ampia discussione in senso polemico e storico. La materia è stata largamente trattata dai senatori Gasparotto, Cingolani e Sacco.
All’articolo 7 si dice, fra l’altro: «L’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche della Santa Sede e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro continua ad essere regolato dalle disposizioni vigenti.
Nulla è parimenti innovato alle norme in vigore per l’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche del Sovrano Militare Ordine di Malta».
Non vi è nulla da obiettare per quel che riguarda la Santa Sede, alla quale si riferiscono gli articoli 41 del Concordato e 7 della Costituzione. La discussione più ampia, al Senato, si ebbe per il Sovrano Militare Ordine di Malta e per l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro. Qui è sorto il problema se questi due Ordini abbiano o no la sovranità di concedere onorificenze. Nello Stato italiano, devono essere concesse onorificenze da altri organi che non siano lo Stato? Sul punto che non sia soltanto lo Stato a concedere onorificenze, sono quasi tutti d’accordo. Invece, circa la specifica indicazione dell’Ordine di Malta e dell’Ordine del Santo Sepolcro, si sono fatte molte osservazioni. Si è detto che l’Ordine di Malta, dal 1300 in poi, non ha mai avuto sovranità. Quindi, sarebbe assurdo riconoscergli una sovranità, la quale dovrebbe presumere un territorio, un governo e una popolazione. Una situazione di questo genere non è stata riconosciuta neanche alla Santa Sede, prima del Concordato.
Non starò a fare la storia dell’Ordine di Malta, anche perché non sono in grado di farla. Mi inchino, come ha fatto il senatore Gasparotto, all’opera di assistenza svolta da questo ordine; però, qui è questione se l’ordine abbia sovranità…
CARIGNANI Giovanni (Democrazia cristiana) – Ha perfino i rappresentanti diplomatici all’estero…
NASI Virgilio (Partito socialista italiano) – Ma non da noi. Quest’ordine e stato messo in auge soprattutto nel periodo fascista. Malgrado fossero richiesti 200 anni di nobiltà per diventarne membri, Mussolini fu nominato Gran Balì. Che ora l’Ordine di Malta si trovi nella situazione incerta e ambigua di tutti quegli ordini che vendono le onorificenze, non mi pare dubbio. Al riguardo, è stata letta una significativa lettera al Senato. Io vi prego, quindi, di tener presente che l’Ordine di Malta non ha la sovranità e, quindi, non ha titoli per concedere onorificenze.
Altrettanto dicasi per l’Ordine del Santo Sepolcro. Quest’ordine è tanto poco autonomo, che la nomina del Gran Maestro deve avere l’approvazione del Pontefice e gli statuti non possono essere approvati se non con l’approvazione del Pontefice. Quindi, anche quest’ordine manca assolutamente di sovranità.
Poiché questa è la situazione, questi due ordini non dovrebbero essere compresi nell’articolo 7. Ciò anche per un’altra considerazione: noi abbiamo altri ordini che sono nella stessa situazione di diritto, di fatto e di precedenti storici. E vi sono decreti dello Stato italiano che riconoscono questi ordini. Essi risalgono tutti al periodo fascista. Pertanto, domando al relatore se l’Ordine Costantiniano, l’Ordine di San Giorgio, l’Ordine Familiare dei Francesi e l’Ordine Celeste della Mercede non si trovino nella stessa situazione degli Ordini di Malta e del Santo Sepolcro. Prego i colleghi di considerare che la situazione giuridica di alcuni di questi ordini è uguale a quella degli Ordini di Malta e del Santo Sepolcro. Quindi non vedo perché nell’articolo 7 siano inclusi soltanto questi due, mentre gli altri sono esclusi. Semmai, dovrebbero essere tutti esclusi o tutti ammessi.
PRESIDENTE – Lei, onorevole Nasi, propone dunque un emendamento soppressivo del terzo e quarto comma dell’articolo 7?
NASI Virgilio (Partito socialista italiano) – Sì. Vorrei che si lasciasse solo la Santa Sede. Pertanto, chiedo la soppressione, al terzo comma, delle parole «e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro» e di tutto il quarto comma.
CASALINUOVO Aldo (Partito liberale italiano), relatore – Per le ragioni esposte in una precedente seduta, in sede di discussione generale, esprimo parere contrario agli emendamenti soppressivi dell’onorevole Nasi. Per quanto riguarda l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro, esso è equiparato agli ordini cavallereschi della Santa Sede e la sua inclusione deriva, appunto, da questa equiparazione. In definitiva, è la Santa Sede che ha l’amministrazione di quest’ordine. Lo stesso onorevole Nasi ha detto che tutto è subordinato alla decisione del Pontefice…
NASI Virgilio (Partito socialista italiano) – Ma occorre la sovranità!
CASALINUOVO Aldo (Partito liberale italiano), relatore – Il diritto, da parte dell’Ordine del Santo Sepolcro, di concedere onorificenze scaturisce dall’esplicito riconoscimento che la Santa Sede ha fatto dell’ordine, assumendo addirittura su di sé l’amministrazione di esso. Pertanto, non vedo perché si dovrebbe scindere l’Ordine del Santo Sepolcro dagli altri ordini della Santa Sede.
Circa il Sovrano Militare Ordine di Malta, ho già detto in sede di discussione generale come, attraverso una lunghissima tradizione, esso sia equiparato agli ordini nazionali: tanto è vero che, nel decreto legislativo 30 maggio 1947, n. 604, è esplicitamente disposto che esso non è soggetto al pagamento della tassa di concessione governativa.
Resta da rispondere all’ultima osservazione dell’onorevole Nasi, in relazione alla quale il suo emendamento soppressivo sarebbe sostituito da un emendamento aggiuntivo. Infatti, egli dice di essere contrario all’introduzione degli Ordini di Malta e del Santo Sepolcro; però, in via subordinata, ove questi due ordini restino nella legge, sarebbe necessario estendere il riconoscimento ad altri ordini che si trovino nella stessa situazione.
Ora, io ho già detto nella mia relazione come, in effetti, vi sono diversi ordini, in aggiunta a quelli indicati dall’onorevole Nasi, i quali vantano le stesse tradizioni del Sovrano Militare Ordine di Malta e sostengono che, se questo è riconosciuto dallo Stato italiano, anch’essi devono essere riconosciuti, in quanto hanno un riconoscimento e nell’ambito internazionale e da parte della Magistratura, e documentano una opera assistenziale apprezzabile almeno quanto quella svolta dal Militare Ordine di Malta.
Però, come ho detto nell’ultima seduta, non mi sembra possibile affrontare, in questo momento, la disamina di questi numerosi ordini e arrivare alla valutazione dei singoli casi (si tratta di circa 200 ordini cavallereschi). Proporrei perciò, di rinviare ad altra legge la valutazione della disciplina giuridica da assegnare ad altri ordini i quali, eventualmente, possono aspirare allo stesso trattamento che il disegno di legge in esame assegna al Militare Ordine di Malta.
In questo senso, credo quindi sia necessario respingere i due emendamenti soppressivi dell’onorevole Nasi, riservandoci di valutare, in un secondo momento, quale debba essere la sorte degli altri ordini equestri assimilati al Sovrano Militare Ordine di Malta.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Per quanto riguarda il riconoscimento delle onorificenze dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro, mi rimetto a quanto ha detto il relatore, nel senso che esso è un derivato di quella tutela che hanno gli ordini cavallereschi della Santa Sede, a norma di disposizioni che sono, di fatto, entrate ormai da molti anni nel sistema dei riconoscimenti legislativi in Italia.
Per quanto riguarda invece il Sovrano Militare Ordine di Malta, è stata sollevata una questione giuridica: cioè se possa esistere la sovranità senza che esista il territorio su cui esercitarla. A me pare che questo problema possa oggi considerarsi superato, poiché, di fatto, esistono organismi di cui non solo è riconosciuta la personalità giuridica internazionale, ma che hanno anche una sovranità e non esercitano alcun governo di territorio, come, ad esempio, le Nazioni Unite, la Croce Rossa Internazionale e, una volta, la Società delle Nazioni.
Inoltre, nella ricerca di quello che è il riconoscimento di questa specifica attività del Militare Ordine di Malta nei diversi Stati, abbiamo visto che in tutte le parti del mondo questo diritto del Militare Ordine di Malta a concedere questa onorificenza non è contrastato, anzi, è positivamente riconosciuto. Infatti, accanto a quelle Nazioni nelle quali il Militare Ordine di Malta ha la rappresentanza diplomatica, ve ne sono altre che, con norma positiva, riconoscono il diritto di questo ordine al conferimento di onorificenze. Tra queste Nazioni ricordo la Francia, il Belgio, l’Inghilterra, gli Stati Uniti, il Portogallo, aventi un alto grado di rispettabilità anche sotto il profilo giuridico. Non solo, ma il Militare Ordine di Malta ha diritto ad avere, per i suoi funzionari, dei passaporti che sono riconosciuti in tutto il mondo; senza dire di tutto l’insieme di altre norme aventi, sì, un contenuto amministrativo che, però, è fondato in questo particolare riconoscimento della qualità di sovranità internazionale del Militare Ordine di Malta.
Nel diritto italiano, queste disposizioni sono state introdotte quando Mussolini non era Balì e nemmeno onorevole, perché sono disposizioni del 1901. Se vi è stato qualche caso, vorrei dire, di mercimonio, questo va riferito al cattivo uso di un mezzo che, di per sé, non è cattivo. Sarebbe come dire: siccome accade qualche volta il fatto che si fa mercimonio di una licenza di importazione, allora togliamo tutte le licenze di importazione.
Noi diciamo, prescindendo da tutte le considerazioni giuridiche fatte: quale è la differenza fondamentale tra questi ordini e quelli di cui all’articolo 8? Che questi ordini hanno, tramite un riconoscimento positivo in norme già esistenti, un riconoscimento pacifico da parte della magistratura, riconoscimento imperniato – ripeto – su norme positive esistenti. Hanno, perciò, il loro diritto di cittadinanza, mentre, per gli altri ordini, fino a questo momento, vi è solo una tolleranza di fatto, senza alcun riconoscimento.
L’articolo 7, giustamente, dice: «Nulla è innovato…». Quindi, lasciamo quello che è stato fatto e la cui origine obiettiva trova dei riscontri in tutti, o in quasi tutti gli Stati del mondo e che, per conto nostro, deve, essere conservato.
Do atto all’onorevole Nasi che ha distinto l’attività assistenziale dell’ordine (su cui, certamente, non può esservi obiezione o discussione) da queste prerogative di carattere giuridico. Ma anche su questo, per le ragioni che ho detto, pregherei la Commissione di voler dare il proprio voto favorevole all’articolo proposto dal Governo e approvato dall’altro ramo del Parlamento.
PRESIDENTE – Onorevole Nasi, mantiene i suoi emendamenti?
NASI Virgilio (Partito socialista italiano) – Li mantengo.
PRESIDENTE – Procediamo allora, per divisione, alla votazione dell’articolo 7. Pongo in votazione i primi due commi dell’articolo, sui quali non sono stati presentati emendamenti:
«I cittadini italiani non possono usare nel territorio della Repubblica onorificenze o distinzioni cavalleresche loro conferite in ordini non nazionali o da Stati esteri, se non sono autorizzati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per gli Affari Esteri.
I contravventori sono puniti con l’ammenda sino a lire cinquecentomila».

Sono approvati.

Passiamo al terzo comma:
«L’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche della Santa Sede e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro continua ad essere regolato dalle disposizioni vigenti»

L’onorevole Nasi propone la soppressione delle parole «e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro».
Pongo in votazione questa proposta.

Non è approvata.

Pongo allora in votazione il terzo comma, di cui ho dato lettura.

È approvato.

Passiamo allora al quarto ed ultimo comma:
«Nulla è parimenti innovato alle norme in vigore per l’uso delle onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche del Sovrano Militare Ordine di Malta».
L’onorevole Nasi ne propone la soppressione.
Pongo in votazione il mantenimento del comma.

È approvato.

Passiamo all’articolo 8:
«Salvo quanto è disposto dall’articolo 7, è vietato il conferimento di onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche, con qualsiasi forma e denominazione, da parte di enti, associazioni o privati. I trasgressori sono puniti con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire duecentocinquantamila a lire cinquecentomila.
Chiunque fa uso, in qualsiasi forma e modalità, di onorificenze, decorazioni o distinzioni di cui al precedente comma, anche se conferite prima dell’entrata in vigore della presente legge, è punito con l’ammenda da lire cinquantamila a lire trecentocinquantamila.
La condanna per i reati previsti nei commi precedenti importa la pubblicazione della sentenza ai sensi dell’articolo 36, ultimo comma, del Codice penale.
Le disposizioni del secondo e terzo comma si applicano anche quando il conferimento delle onorificenze, decorazioni. o distinzioni sia avvenuto all’estero».
AUDISIO Walter (Partito comunista italiano) – Per togliere un dubbio che è sorto da parte dei comandanti partigiani, aggiungerei, per specificare meglio, che sono escluse le decorazioni commemorative concesse dai comandanti partigiani in occasione della guerra di liberazione.
PRESIDENTE – Faccio notare che tutte le decorazioni di tipo militare non sono comprese in questa legge.
RUSSO Carlo (Democrazia cristiana) – La preoccupazione dell’onorevole Audisio non mi pare abbia senso, così come l’articolo è formulato. Se noi votassimo l’emendamento aggiuntivo, che egli intende proporre, effettivamente genereremmo un equivoco, perché verremmo ad ammettere le onorificenze concesse durante la guerra ed escluderemmo le altre.
Io credo che la preoccupazione dell’onorevole Audisio possa essere superata dalle assicurazioni dell’onorevole relatore e da quelle che, eventualmente, potrà dare il Governo, che ci si riferisce, qui, esclusivamente alle onorificenze e decorazioni cavalleresche.
TURCHI Giulio (Partito comunista italiano) – Se è esclusa ogni preoccupazione per quanto riguarda distinzioni e onorificenze di questa natura, mi pare però, allora, che sia necessario modificare il testo del primo comma, giacché non si comprende che cosa possa significare il conferimento da parte di enti, associazioni o privati: forse che vi sono dei privati, i quali conferiscono delle onorificenze?
RUSSO Carlo (Democrazia cristiana) – Sì, vi sono.
TURCHI Giulio (Partito comunista italiano) – Ad ogni modo, anche se vi sono dei privati che conferiscono croci e collari, mi pare che questo dovrebbe essere escluso d’ora innanzi, anche senza bisogno di ripeterlo, perché abbiamo già approvato l’articolo 7, il quale pone fine all’esistenza di ordini cavallereschi e, quindi, alla possibilità per questi di conferire onorificenze. Mi pare, quindi, che il ripeterlo sia un pleonasmo.
PRESIDENTE – Onorevole Turchi, lo scopo di nominarli è quello di poterli colpire con sanzioni penali.
ALICATA Mario (Partito comunista italiano) – Sono d’accordo che il comma ha un valore, perché l’onorevole Turchi ignorava che ci sono delle persone che si autoqualificano capi di ordini cavallereschi e fanno pagare le decorazioni che concedono. Ma noi volevamo, con il nostro emendamento, richiamare l’attenzione sulla circostanza che, durante la guerra di liberazione, ci sono stati comandi partigiani, divisioni, brigate che hanno conferito onorificenze commemorative: non vorremmo, pertanto, che con questa legge si giungesse a proibire di fregiarsene o, addirittura, a punire chi le ha concesse.
CASALINUOVO Aldo (Partito liberale italiano), relatore – Il dubbio non ha ragione di essere. L’articolo 8, infatti, come tutto il disegno di legge, si riferisce esclusivamente alle onorificenze cavalleresche. Le decorazioni partigiane non sono considerate decorazioni cavalleresche, ma militari.
ROSSI Paolo (Partito socialista dei lavoratori) – Sono contrario a tale inclusione, pur essendo convinto che i partigiani abbiano diritto a portare le loro decorazioni, perché, altrimenti, bisognerebbe includere non so quante altre categorie, come ad esempio, coloro che sono stati fregiati della medaglia della Fondazione Carnegie.
AUDISIO Walter (Partito comunista italiano) – Preso atto del chiarimento, ritiro la mia proposta.
CASALINUOVO Aldo (Partito liberale italiano), relatore – Anch’io proporrei un emendamento a questo articolo 8. Esso infatti, al secondo comma, stabilisce che chiunque faccia uso, in qualsiasi forma e modo di onorificenze ecc., è punito ecc. Ora, ho già avvertito in sede di discussione generale come, nel testo presentato dal Governo, l’inciso «anche se conferite prima dell’entrata in vigore della presente legge» non vi fosse, poiché si tratta di un’aggiunta fatta dal Senato ed ho già espresso opinione contraria a questo inciso.
Non mi pare, infatti, che si possa con legge reprimere – e per di più con sanzioni penali – l’uso di onorificenze che sono state conferite in un periodo di piena acquiescenza dello Stato. L’articolo 9, infatti, molto ragionevolmente sancisce che l’Ordine della Corona d’Italia è soppresso, ma che è tuttavia consentito l’uso di quelle onorificenze.
Molte volte, poi, non si può disconoscere che tali onorificenze sono state concesse, oltre che in periodo di piena legittimità, in mancanza anche di una qualsiasi sollecitazione da parte degli interessati. Ma una preoccupazione manifestava al riguardo l’onorevole Russo: e cioè che, eliminando l’inciso, ci possa essere, da oggi sino all’entrata in vigore della legge, una ulteriore inflazione di onorificenze.
Proporrei, pertanto, che le parole «anche se» siano sostituite dalle altre «salvo quelle conferite eccetera», stabilendo non già l’entrata in vigore della presente legge, ma una data particolare come, ad esempio, quella del 20 novembre 1950, che è la data di trasmissione alla Camera del disegno di legge approvato dal Senato. Si tratterebbe, quindi, di sostituire nell’articolo alle parole «anche se conferite prima dell’entrata in vigore della presente legge», le seguenti «salvo quelle conferite prima del 20 novembre 1950».
PRESIDENTE – Ma lei, onorevole Casalinuovo, si è preoccupato dei conferimenti con effetto retroattivo?
CASALINUOVO Aldo (Partito liberale italiano), relatore – Ma poiché da questa legge possono derivare dei procedimenti penali, sarà cura poi del magistrato il determinare questo. Noi non possiamo, in una legge, preoccuparci di eventuali falsi.
CARIGNANI Giovanni (Democrazia cristiana) – L’obiezione dell’onorevole Presidente mi pare veramente seria. Queste aziende – scusate l’espressione un po’ banale, ma tali mi sembra debbano veramente definirsi – che distribuiscono queste onorificenze, evidentemente, qualunque sia la data di blocco che noi proponiamo, potranno sempre, poiché manca qualsiasi controllo da parte dello Stato, emanare ancora decreti di concessione anche dopo 10 anni, salvo a modificare la data.
Mi pare, quindi, che il testo della legge sia il migliore, se vogliamo farla veramente finita con questo mercimonio. Noi sappiamo tutti che cosa sia successo nel Paese in questo periodo di vacatio legis: cose veramente turpi.
RUSSO Carlo (Democrazia cristiana) – Mi associo a quanto ha osservato l’onorevole Carignani: sono favorevole, infatti, a questo disegno di legge soltanto per la funzione limitatrice che esso presenta. Qualora, pertanto, dovesse essere approvato l’emendamento Casalinuovo, verrebbe a cessare l’unica ragione che può renderci favorevoli ad esso e, in questo caso, sarò costretto a votare contro.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Mi associo anch’io agli ultimi colleghi che sono intervenuti. Se noi, infatti, volessimo riconoscere indiscriminatamente il diritto all’uso delle onorificenze antecedentemente conferite, non solo verremmo a creare larghissime maglie per l’evasione, ma daremmo luogo anche ad un’altra difficoltà, di cui il Governo aveva fatto esplicita menzione: da un punto di vista, cioè, di valutazione etica, sociale, giuridica, non possono essere messi tutti in un fascio questi 200 o 300 ordini cavallereschi, perché c’è una piccola o grande parte di essi che ritiene di avere la propria posizione giuridica in regola e, di fatto, esercita una cospicua attività di carattere assistenziale.
Noi, tuttavia, non riteniamo di poter fare alcuna discriminazione, giacché o ci sono veramente tali nobili finalità – ed allora questi enti potranno sostituire alle passate onorificenze altre forme, quali diplomi di benemerenza, lapidi o medaglie a chi abbia lasciato o lasci dei legati ed altre liberalità del genere – mentre, per le altre, nessuno potrà onestamente rimpiangerne la totale soppressione.
Questa legge, cioè, non intende porre nel nulla quelle opere assistenziali che abbiano una reale ragion d’essere, ma riconosce che, nel momento in cui si crea questo ordine ufficiale dello Stato italiano, gli altri hanno almeno perduto la loro ragione d’essere. Questo non significa che coloro che in questo campo intendono continuare ad esercitare una funzione assistenziale non debbano più esercitarla.
Pregherei, perciò, la Commissione di approvare l’articolo così come e stato formulato, ripeto, non tanto dal Governo, ma dal Senato, dopo una lunga ed appassionata discussione in cui non c’è stata una sola voce che si sia levata ad esprimere riserve o a proporre mitigazioni nella disciplina che si veniva a stabilire.
PRESIDENTE – Nessun altro chiedendo di parlare, pongo in votazione l’emendamento sostitutivo, proposto dal relatore Casalinuovo al secondo comma dell’articolo, delle parole «anche se conferite prima dell’entrata in vigore della presente legge», con le parole «salvo quelle conferite prima del 20 novembre 1950».

Non è approvato.

Pongo allora in votazione l’articolo 8 nel testo di cui ho dato precedentemente lettura.

È approvato.

Passiamo all’articolo 9:
«L’Ordine della SS. Annunziata e le relative onorificenze sono soppressi.
L’Ordine della Corona d’Italia è soppresso e cessa il conferimento delle onorificenze dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. È tuttavia consentito l’uso delle onorificenze già conferite, escluso ogni diritto di precedenza nelle pubbliche cerimonie.
Per gli altri Ordini ed onorificenze, istituiti prima del 2 giugno 1946, si provvederà con separata legge».
A questo articolo è stato presentato dall’onorevole Casalinuovo un emendamento soppressivo del primo comma.
CASALINUOVO Aldo (Partito liberale italiano), relatore – Il mio emendamento, soppressivo del primo comma, parte dal fatto che l’Ordine della SS. Annunziata rientra nella disciplina giuridica degli articoli 7 ed 8. È un ordine dinastico e, quindi, la Repubblica non può sopprimere quello che non le appartiene. Rientra negli ordini di cui si può vietare l’uso.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Riconosco un fondamento alla proposta. Però, quando nel disegno di legge si è parlato di soppressione, certamente si è voluto soltanto dire che si toglievano tutti quei riconoscimenti, nel nostro diritto, che competevano agli insigniti di questa massima onorificenza e che erano determinate precedenze, il permanente ferroviario ed alcune altre attribuzioni, quali il diritto di essere sentito nella propria abitazione dal tribunale ecc. Oggi, però, che il disegno di legge è passato al Senato con questa formulazione, una modifica a me pare che assuma tutto un diverso significato e che, senza dubbio, vada al di là di quello che è il pensiero dello stesso relatore che la propone.
Noi, in tal modo, cancelliamo l’ordine dall’ordinamento. Anche se l’espressione non è felice, io credo che convenga mantenere il testo così come è stato formulato.
CASALINUOVO Aldo (Partito liberale italiano), relatore – Dopo le spiegazioni date dal Governo, ritiro il mio emendamento. Desidero, però, fare un’altra osservazione. All’ultimo comma è previsto il rinvio ad altra legge della decisione sugli altri ordini ed onorificenze istituiti prima del 2 giugno 1946. Insistendo nel mio punto di vista, proporrei che il rinvio avesse per oggetto anche gli altri ordini con personalità giuridica internazionale, eventualmente equiparabili all’Ordine di Malta i quali, per l’opera di assistenza e di utilità sociale svolta in Italia, potrebbero meritare particolare considerazione.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Vorrei dar atto all’onorevole Casalinuovo della sua abilità nel far rientrare dalla finestra quello che abbiamo poco fa fatto uscire dalla porta con un voto. Se questi ordini esistono legalmente su un piano internazionale, non li possiamo cancellare con una nostra legge; ma, siccome non sappiamo se realmente hanno una personalità giuridica, mettere qui questa condizione significa proprio dare la possibilità di far passare questi riconoscimenti o, almeno, far tormentare determinati uffici per avere questo riconoscimento. Potremmo, una volta accertata l’esistenza giuridica, prendere l’iniziativa di una disposizione per togliere questa inibizione generale. Oggi, non mi sentirei di dirlo.
CASALINUOVO Aldo (Partito liberale italiano), relatore – Trasformo allora l’emendamento in un voto, che la- Commissione esprimerà al Governo.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Un voto in questo senso sarà accettata dal Governo.
AUDISIO Walter (Partito comunista italiano) – Si sa che, molte volte, le onorificenze sono state elargite a chi pagava qualche cosa per averle. Per moralizzarle, penserei di lasciare a tutti il diritto di essere insigniti. Però, per i benestanti, stabilirei che chi paga almeno un milione di ricchezza mobile faccia una oblazione a favore dei bambini poveri o degli istituti di assistenza. Desidero, qualora la proposta non fosse accettata, che la mia dichiarazione rimanga a verbale.
PRESIDENTE – Esiste una legge sulle tasse di concessine, in cui è prevista anche una tassa di concessione per il conferimento delle onorificenze. In quella sede, si potrà stabilire di graduare la tassa di concessione a seconda del patrimonio degli insigniti.
AUDISIO Walter (Partito comunista italiano) – Prendo atto di questa dichiarazione.
PRESIDENTE – Pongo allora in votazione l’articolo 9, nel testo di cui ho dato precedentemente lettura.

È approvato.

Passiamo all’articolo 10:

Il Governo è autorizzato ad emanare le norme occorrenti per l’attuazione della presente legge.

Lo pongo in votazione.

È approvato.

Torniamo allora all’articolo 4, sul quale vi erano un emendamento soppressivo del terzo comma dell’onorevole Longhena, e due emendamenti presentati dall’onorevole Nasi. Quest’ultimo ritira il suo emendamento, relativo ai membri della Corte Costituzionale, sostituendolo con un ordine del giorno che il Governo dichiara di accettare.
Onorevole Nasi, mantiene l’altro emendamento aggiuntivo?
NASI Virgilio (Partito socialista italiano) – Lo mantengo.
PRESIDENTE – Procediamo allora alla votazione per divisione dell’articolo 4. Do lettura dei primi due commi:
«Le onorificenze sono conferite con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Giunta dell’Ordine.
«Particolari forme di conferimento possono essere stabilite nello Statuto previsto dall’articolo 6 ».
Non essendovi emendamenti, li pongo in votazione.

Sono approvati.

Do lettura del terzo comma:
«Le onorificenze non possono essere conferite ai senatori ed ai deputati durante il tempo del loro mandato parlamentare».
C’è un emendamento soppressivo dell’onorevole Longhena. Lo mantiene, onorevole Longhena?
LONGHENA Mario (Partito socialista dei lavoratori) – Lo mantengo.
PRESIDENTE – Pongo in votazione il mantenimento del comma.

È approvato.

C’è poi l’emendamento aggiuntivo Nasi, del seguente tenore:
«Le onorificenze non possono essere conferite ai magistrati di qualsiasi ordine e grado, durante l’attività della loro funzione».
Questo emendamento non è stato accettato né dal relatore, né dal Sottosegretario.
ANDREOTTI Giulio (Democrazia cristiana), Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio – Riconosco il motivo della norma, già approvata dal Senato, di escludere i parlamentari dal conferimento delle onorificenze, anche se non è bello eccedere nelle esibizioni legislative e meglio sarebbe lasciar operare un sano costume.
Per quanto riguarda i membri della Corte Costituzionale, c’è l’opportunità di non tornare ancora una volta a discutere di questa materia nell’altro ramo del Parlamento. L’onorevole Nasi presenta un ordine del giorno che, se non ha una validità giuridica, perché non è stato votato dall’altro ramo del Parlamento, mi auguro che non sarà derogato dalla Presidenza del Consiglio proponente.
Per quanto riguarda i magistrati, mi pare che, come noi giustamente pretendiamo dagli altri poteri dello Stato e dai cittadini rispetto e riconoscimento del nostro prestigio morale, dobbiamo usare lo stesso metodo anche nei confronti degli altri poteri dello Stato, in particolare della Magistratura. Nel caso particolare, non dobbiamo sancire una pregiudiziale che suona, in qualche modo, come una sfiducia che non mi pare che i magistrati meritino e che penso sia al di fuori dello stesso pensiero dell’onorevole Nasi. Non vedo perché dovremmo dire che il magistrato non può ricevere queste onorificenze. A me non pare opportuno stabilire che il magistrato, ricevendo una onorificenza, viene impossibilitato a decidere con serenità ed indipendenza. Per questo, prego la Commissione di non approvare questo emendamento.
PRESIDENTE – Pongo in votazione l’emendamento aggiuntivo dell’onorevole Nasi di cui ho dato precedentemente lettura.

Non è approvato.

Abbiamo così terminato l’esame e l’approvazione degli articoli del disegno di legge.
Resta l’ordine del giorno dell’onorevole Nasi, relativo ai membri della Corte Costituzionale, in relazione al quale, dati i rilievi del Sottosegretario, è bene che si addivenga ad una votazione, perché questo ordine del giorno sia più impegnativo per i futuri dirigenti degli ordini cavallereschi. Esso è così formulato:
«La Commissione ritiene che l’esclusione della concessione delle onorificenze, contemplata dall’articolo 4, ai membri del Parlamento, sia di fatto estesa ai membri dell’Alta Corte costituzionale».

Lo pongo in votazione.

È approvato.

Il disegno di legge sarà subito votato a scrutinio segreto.

Votazione segreta.

PRESIDENTE. Indico la votazione a scrutinio segreto del disegno di legge esaminato nella seduta odierna.

Segue la votazione.

Comunico il risultato della votazione segreta sul disegno di legge: «Istituzione dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e disciplina del conferimento e dell’uso delle onorificenze».

Presenti 29
Votanti 27
Astenuti 2
Maggioranza 14
Voti favorevoli 21
Voti contrari 6

La Commissione approva.

Hanno preso parte alla votazione:

Almirante, Amadeo, Bima, Carignani, Casalinuovo, Cremaschi Carlo, Delle Fave, Delli Castelli Filomena, De Michele, Di Donato, Lombardi Ruggero, Lombardi Colini Pia, Longhena, Lucifredi, Melloni, Molinaroli, Nasi, Natali Ada, Numeroso, Paganelli, Reali, Riva, Rossi Paolo, Russo Carlo, Sailis, Sampietro Umberto, Turchi.
Si sono astenuti:
Amicone e Audisio.

Sono in congedo:
Migliori e Resta.

La seduta termina alle ore 11.

[1]

Michele D’Andrea

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Seduta del 14 febbraio 1951

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Seduta del 14 febbraio 1951